Metrica: interrogazione
146 settenari (pezzi chiusi) in Adriano in Siria H 
   Dal labbro che t'accende
di così dolce ardor
la sorte tua dipende
(e la mia sorte ancor).
   Mi spiace il tuo tormento;
ne sono a parte e sento
che del tuo cor la pena
è pena del mio cor. (Parte Adriano seguito da tutte le guardie e da’ soldati romani)
   Sprezza il furor del vento
robusta quercia, avvezza
di cento verni e cento
l'ingiurie a tollerar.
   E se pur cade al suolo,
spiega per l'onde il volo
e con quel vento istesso
va contrastando in mar. (Parte)
   Dopo un tuo sguardo, ingrata,
forse non partirei,
forse mi scorderei
tutta l'infedeltà.
   Tu arrossiresti in volto,
io sentirei nel core,
più che del mio dolore,
del tuo rossor pietà. (Parte)
   Numi, se giusti siete,
rendete a me quel cor;
mi costa troppe lagrime
per perderlo così.
   Voi lo sapete, è mio.
Voi l'ascoltaste ancor
quando mi disse addio,
quando da me partì. (Parte)
   Se non ti moro allato,
idolo del cor mio,
col tuo bel nome amato
fra' labbri io morirò.
   Se a me t'invola il fato,
idolo del cor mio,
col tuo bel nome amato
fra' labbri io morirò.
   Addio, mia vita.
                                   Addio,
luce degli occhi miei.
Quando fedel mi sei,
che più bramar dovrò?
   Quando il mio ben perdei,
che più sperar potrò?
   Un tenero contento,
eguale a quel ch'io sento,
numi, chi mai provò!
   Un barbaro tormento,
eguale a quel ch'io sento,
numi, chi mai provò!
   Per te d'eterni allori
germogli il suol romano;
de' numi il mondo adori
il più bel dono in te.
   E quell'augusta mano,
che porgermi non sdegni,
regga il destin de' regni,
la libertà dei re. (Parte)
   Saggio guerriero antico
mai non ferisce in fretta.
Esamina il nemico,
il suo vantaggio aspetta
e gl'impeti dell'ira
cauto frenando va.
   Muove la destra e il piede,
finge, s'avanza e cede,
fin che il momento arriva
che vincitor lo fa. (Parte)
   Tutti nemici e rei,
tutti tremar dovete;
perfidi, lo sapete
e m'insultate ancor?
   Che barbaro governo
fanno dell'alma mia
sdegno, rimorso interno,
Non ha più furie Averno
per lacerarmi il cor. (Parte)
   Leon piagato a morte
sente mancar la vita,
guarda la sua ferita
né s'avvilisce ancor.
   Così fra l'ire estreme
rugge, minaccia e freme
che fa tremar morendo
talvolta il cacciator. (Parte)
   È falso il dir che uccida,
se dura, un gran dolore
e che, se non si muore,
sia facile a soffrir.
   Questa ch'io provo è pena
che avanza ogni costanza,
che il viver m'avvelena
e non mi fa morir. (Parte)
   Digli ch'è un infedele;
digli che mi tradì.
Senti; non dir così;
digli che partirò;
   Ah! Se nel mio martir
tornami a consolar,
   Più bella al tempo usato
fan germogliar la vite
d'esperto agricoltor.
   Non stilla in altra guisa
che da una pianta incisa
dall'arabo pastor. (Nel partire s’incontra in Adriano)
   Barbaro, non comprendo
se sei feroce o stolto;
se ti vedessi in volto,
avresti orror di te.
   Orsa nel sen piagata,
serpe nel suol calcata,
leon che apre gli artigli,
tigre che perda i figli
fiera così non è. (Parte)
   Oh dio! Mancar mi sento,
mentre ti lascio, o caro.
Oh dio! Che tanto amaro
forse il morir non è.
   Ah! Non dicesti il vero,
ben mio, quando dicesti
che tu per me nascesti,
ch'io nacqui sol per te. (Parte)
   Non giunge degli affetti
   Così del re de' numi
fremon, ma sotto al trono,
   Ma d'esser non pretenda
   La differenza intenda

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