Metrica: interrogazione
796 endecasillabi (recitativo) in Adriano in Siria H 
di presentarsi a te. (Ad Adriano)
                                     Venga e s'ascolti. (Aquilio parte. Adriano sale sul trono e parla in piedi)
che col mio sostenuto, e non so come
de' comuni sudori io solo il frutto.
contrastar non poss'io, farò che almeno
mi trovi ognun di voi sempre l'istesso.
alla gloria di Roma, al vostro onore,
come finor, noi serviremo insieme. (Siede)
il suo cesare in te, dal ciglio augusto,
il destino dipende, un guardo volgi
al principe Farnaspe. Ei fu nemico;
l'ire depone e giura ossequio e fede.
necessaria non è. (Piano a Farnaspe)
                                  Madre comune
d'ogni popolo è Roma e nel suo grembo
farsi parte di lei. Gli amici onora,
perdona a' vinti e con virtù sublime
gli oppressi esalta ed i superbi opprime.
(Che insoffribile orgoglio!)
                                                   Un atto usato
vengo a chiederti anch'io. Del re de' Parti
prigioniera la figlia.
                                      E ben?
                                                      Disciogli,
signor, le sue catene.
                                        (Oh dei!)
                                                            Rasciuga
della sua patria il pianto; a me la rendi
e quanto io reco in guiderdon ti prendi.
non cambio o merco; ed Adrian non vende,
su lo stil delle barbare nazioni,
la libertade altrui.
                                   Dunque la doni?
                           Dopo il fatal conflitto,
combatterono i numi, è ignota a noi
del nostro re la sorte. O in altre rive
va sconosciuto errando o più non vive.
il destino non sia, cura di lei
                               Giacché a tal segno è Augusto
questa cura di lei lasci al suo sposo.
Come! È sposa Emirena?
                                                Altro non manca
Ma lo sposo dov'è?
                                    Signor, son io.
Tu stesso! Ed ella t'ama?
                                               Ah, fummo amanti
pria di saperlo ed apprendemmo insieme
a vivere e ad amar. Crebbe la fiamma
col senno e con l'età. Dell'alme nostre
in due spoglie divisa. Io non bramai
che la bella Emirena. Ella non brama
che 'l suo prence fedel. Ma quando meco
esser doveva in dolce nodo unita,
signor, che crudeltà! mi fu rapita.
(Che barbaro tormento!)
                                               Ah, tu nel volto,
signor, turbato sei. Forse t'offende
la debolezza mia. Di Roma i figli
so che colpa è fra voi qualunque affetto
che di gloria non sia. Tanta virtude
Cesare, io nacqui parto e non romano.
(Oh rimprovero acerbo! Ah si cominci
su' propri affetti a esercitar l'impero).
la bella prigioniera arbitra sia.
allor... (dicasi alfin) prendila e parti. (Scende)
d'Augusto i detti? Ei d'Emirena amante,
di te parmi geloso e fida in lei.
Amasse mai costei il mio nemico?
vorrei... No, non lo credo. Ella è mia figlia.
Mio re, che dici mai? Cesare è giusto;
ella è fedele. Ah qual timor t'affanna!
Chi dubita d'un mal, raro s'inganna.
Io volo a lei. Vedrai...
                                        Va' pur ma taci
ch'io son fra' tuoi seguaci.
                                                 Anche alla figlia?
Sì sì, mio re, ritornerò con lei.
che può farmi tremare, e poi si lasci
libero il corso al mio furor. Paventa,
orgoglioso roman, d'Osroa lo sdegno.
e sempre a' danni tuoi sarò l'istesso.
non prevengo Emirena, io son perduto.
a Farnaspe la rende, ancorché amante.
che ad arte io fomentai, farà ritorno
all'amor di Sabina, il cui sembiante
porto sempre nel cor. Numi, in qual parte
Emirena s'asconde? Eccola. All'arte.
                 Ah principessa, ah se vedessi
Augusto è contro te! Farnaspe a lui
che t'ama, che tu l'ami; e mille in seno
smanie di gelosia. Freme, minaccia;
se in te non è la prima fiamma estinta,
ei vuol condurti al proprio carro avvinta.
Questo è l'eroe del vostro Tebro? Questo
è l'idolo di Roma? A me promise
esposta non sarei. Non è fra voi
dunque il mancar di fé colpa agli eroi?
agita i sensi e la ragione oscura,
Emirena, gli eroi cangian natura.
In trionfo Emirena? In Asia ancora
                       Senza parlar di morte
v'è riparo miglior. Cesare viene
ad offrirti Farnaspe; egli il tuo core
spera scoprir così; deh non fidarti
l'arte con l'arte. Il caro prence accogli
con accorta freddezza. I don ricusa
della sua man. Misura i detti e vesti
di tale indifferenza il tuo sembiante
come se più di lui non fossi amante.
di me che mai direbbe? Ah! Tu non sai
di qual tempra è quel core. Io lo vedrei
a tal colpo morir sugli occhi miei.
se puoi, miglior consiglio.
                                                Odimi. Almeno
corri, previeni il prence...
                                                Eccolo.
                                                               Oh dio!
Armati di fortezza. Io t'insegnai
ad evitare il tuo destin funesto. (Parte)
Misera me, che duro passo è questo!
le sembianze che adori?
                                              Ah sì! Son quelle;
e sempre agli occhi miei sembran più belle.
(Mi trema il cor).
                                  Vaga Emirena, osserva
con chi ritorno a te. Più dell'usato
so che grato ti giungo; afferma il vero.
Non so chi sia quello stranier.
                                                       Straniero! (Rimane stupido)
                                  (Oh dio!) No.
                                                             Quei sembianti
No. (Se parlo, io mi scopro e siam perduti).
Prence, questa è colei che teco apprese
a vivere e ad amar?
                                      Io perdo il senno;
non so più dove son né chi son io.
(Le angustie di quel cor risente il mio).
Se mai fosse timore il tuo ritegno,
senti, Emirena: io degli affetti altrui
non son tiranno; ecco il tuo ben; lo rendo,
com'è ragione, al suo primiero affetto.
(Emirena, costanza). Io non l'accetto.
Principessa, idol mio, che mai ti feci?
Sei sdegnata con me? Dubiti forse
della mia fedeltà?
                                   Taci.
                                               Io son quello...
Ma taci per pietà; n'è degno assai
lo stato in cui mi vedi.
                                          Almen rammenta...
nulla io so dir. Del mio destino avverso
Se oppressa non mi vuoi, lasciami in pace.
Lasciami in pace! Ubbidirò, crudele;
ma guardami una volta. In questa fronte
leggi dell'alma mia... No, non mirarmi,
che ubbidisca Farnaspe a' cenni tuoi.
                                A pianger sola. Il pianto
giacché tutto perdei.
                                       Nulla perdesti.
cara, negli occhi tuoi.
                                        Da te sperai (In aria maestosa)
più rispetto, o signor. L'animo regio
era della fortuna, il core è mio.
(Bella fierezza!) E in che t'offendo? Io posso
e l'impero e la man.
                                      No, tu nol puoi;
son promessi a Sabina.
                                            È ver, l'amai
quasi due lustri. Hanno a durare eterni
alfin gli amori? Io non suppongo in lei
tanta costanza; ed or diverso assai
son io da quel che fui. Veduto allora
non avevo il tuo volto; ero privato,
ero vicino a lei. Sospiro adesso
ne' lacci tuoi; porto l'alloro in fronte;
e Sabina è sul Tebro, io su l'Oronte.
                  Che fu?
                                   Dalla città latina
                  Chi giunge mai?
                                                   Giunge Sabina.
                        (Qual soccorso!)
                                                        E che pretende?
Per sì lungo cammin... senza mio cenno...
Non t'ingannasti già?
                                         Senti il tumulto
che la saluta augusta.
                                        Aquilio, oh dio!
Va', conducila altrove. In questo stato
non mi sorprenda. A ricompormi in volto
chiedo un momento. Ah poni ogni arte in uso.
Signor, viene ella stessa.
                                              Io son confuso.
Sposo, Augusto, signor, questo è il momento
che invan finor bramai; giunse una volta;
son pur vicina a te. Soffri che adorno
che costa all'amor mio tanti sospiri.
                         Non rispondi?
                                                      Io non sperai...
Potevi pure... (Oh dio!) Chiede ristoro
la tua stanchezza. Olà. Di questo albergo
passi Sabina e al par di noi si onori.
Che! Tu mi lasci? Il mio riposo io venni
a ricercare in te.
                                Perdona; altrove
grave cura or mi chiama.
                                               Era una volta
tua dolce cura ancor Sabina.
                                                     È vero;
ma la cura più grande oggi è l'impero. (Parte)
Aquilio, io non l'intendo.
                                               E pur l'arcano
è facile a spiegar. Cesare è amante;
questa è la tua rival. (Piano a Sabina)
                                        Pietosa Augusta,
a Cesare ti serbi, un'infelice
compatisci e soccorri. E regno e sposo
e patria e genitor, tutto perdei.
(Mi deride l'altera!)
                                       Un bacio intanto
su la cesarea man...
                                     Scostati. (Ritirandosi) Ancora
non son moglie d'Augusto; e quanto dici
misera tu non sei. Poco ti tolse,
l'avversa sorte. Acquisterai, se vuoi,
più di quel che perdesti; e forse io stessa
mendicherò da te.
                                   La mia catena...
Non più, lasciami sola.
                                           (Oh dei, che pena!)
(Tentiam la nostra sorte).
                                                Il caso mio
non fa pietade, Aquilio?
                                              È grande invero
l'ingiustizia d'Augusto. Ei non prevede
come puoi vendicarti. A te non manca
né beltà né virtù. Qual freddo core
non arderà per te? Sugli occhi suoi
Seguitarlo ad amar, mostrar costanza
e farlo vergognar d'esserti infido.
(Si turba il mar, facciam ritorno al lido). (Parte)
Io piango! Ah no, la debolezza mia
palese almen non sia. Ma il colpo atroce
abbatte ogni virtù. Vengo il mio bene
fino in Asia a cercar; lo trovo infido,
m'ascolta a pena e volge altrove il passo;
né pianger debbo? Ah piangerebbe un sasso.
Feroci parti, al nostro ardir felice
arrise il ciel. Della nemica reggia
le ruine a mirar. Pure è sollievo
quest'ombra di vendetta. Oh come scorre
l'appreso incendio e quanti al cielo innalza
globi di fumo e di faville! Ah, fosse
ch'or la partica fiamma abbatte e doma,
tutto il Senato, il Campidoglio e Roma.
                            Guarda, Farnaspe. È quella
opera di mia man. (Accennando l’incendio)
                                     Numi! E la figlia?
forse de' torti tuoi paga le pene.
Ah Emirena! Ah mio bene! (Vuol partire)
                                                    Ascolta. E dove?
A salvarla e morir. (Come sopra)
                                     Come! Un'ingrata
che ci manca di fé, pone in obblio...
È spergiura, lo so, ma è l'idol mio. (Getta il manto ed entra tra le fiamme e le ruine della reggia)
noi serbiamoci, amici, ad altre imprese.
Vadan le faci a terra. Al noto loco
ritornate a celarvi. (Parte il seguito) E pure, ad onta
del mio furor, sento che padre io sono.
Non so quindi partir. Sempre mi volgo
di nuovo a quelle mura. Eh non s'ascolti
una vil tenerezza. Ah! Forse adesso
però spira la figlia; e forse a nome
moribonda mi chiama. A tempo almeno
fosse giunto Farnaspe. Il lor destino
voglio saper. Dove m'inoltro? Oh dei!
di là cresce il tumulto; e tutto in moto
è il cesareo soggiorno. Oh amico! Oh figlia!
Parto? Resto? Che fo? Senza salvarli
mi perderei. Ma giacché tutto, o numi,
questi deboli affetti a che lasciarmi? (Fugge)
Chi mi soccorre? Almen sapessi... Oh dei,
                             Tu salva?
                                                 Agl'infelici
difficile è il morir. Di quelle fiamme
sei tu forse l'autor?
                                     No, ma si crede.
perché son disperato, in quelle mura
perché fui colto.
                               E a che venisti?
                                                              Io venni
a salvarti e morir.
                                   Ma se tu mori,
credi salva Emirena?
                                         Ah perché mai
mi schernisci così? Troppo è crudele
questa finta pietà.
                                   Finta la chiami?
Come crederla vera? Assai diversa
Il parlar fu diverso, io fui l'istessa.
Ma le fredde accoglienze?
                                                Eran timore
d'irritar d'Adriano il cor geloso.
D'un trionfo il rossor.
                                         Se generoso
la mia destra t'offerse?
                                            Arte inumana
per leggermi nel cor.
                                        Dunque son io...
La mia speme, il mio amor.
                                                    Dunque tu sei...
La tua sposa costante.
                                         E vivi...
                                                          E vivo
fedele al mio Farnaspe. A lui fedele
vivrò sino alla tomba. E dopo ancora
se rimane agli estinti orma di vita.
Non più, cara, non più. Basta, ti credo.
te ne chieggo perdon. Barbare stelle,
misero non son io. Disfido adesso
la vostra crudeltà. M'ama il mio bene;
in faccia all'ire vostre io son felice. (Partendo)
seguir la forza altrui.
                                        Farnaspe, oh dio!
Che mai sarà di te?
                                      Nulla pavento.
che negato mi sia morirti accanto.
può mai meglio di te? Del cor d'Augusto
tu reggi i moti a tuo talento. Ogni altra
dell'amor d'un monarca.
                                              A me non giova,
perché non l'amo.
                                   È necessario amarlo,
perch'ei lo creda?
                                  E ho da mentir?
                                                                  Neppure.
grossolano artifizio e mal sicuro.
La destrezza più scaltra è oprar di modo
ch'altri sé stesso inganni. Un tuo sospiro
interrotto con arte, un tronco accento
ch'abbia sensi diversi, un dolce sguardo
nel suo furto sorpreso, un moto, un riso,
un silenzio, un rossor quel che non dici
farà capir. Son facili gli amanti
a lusingarsi. Ei giurerà che l'ami;
sempre gli potrai dir: «Nol dissi mai».
tal arte a porre in uso.
                                          Eh che purtroppo
voi nascete maestre. Aver sul ciglio
lagrime ubbidienti, aver sul labbro
a' confini del sen, quando vi piace
impallidirvi ed arrossir nel viso
privilegi del sesso; in dono a voi
gli ha dati il cielo e costan tanto a noi.
non dovresti invidiarne. Io giurerei
che fra' pochi non sei tenaci ancora
dell'antica onestà. Quando bisogna,
vezzeggiare un nemico, acciò vi cada
aprirgli innanzi il precipizio e poi
piangerne la caduta, offrirti a tutti
e non esser che tuo, di false lodi
vestir le accuse ed aggravar le colpe
nel farne la difesa, ognor dal trono
i buoni allontanar, d'ogni castigo
lasciar l'odio allo scettro e d'ogni dono
il merito usurpar, tener nascosto
sotto un zelo apparente un empio fine,
né fabbricar che su l'altrui ruine.
le vendette del sesso. Io non credei
di pungerti così. De' detti tuoi
non mi querelo; anzi, a parlar sincero,
credo ch'io dissi e tu dicesti il vero.
Aiuto e non consiglio io ti richiesi.
che un salubre consiglio è grande aiuto.
Adriano sarà che s'avvicina. (Parte)
(Stelle! È qui la rival!)
                                           (Numi! È Sabina!)
ufficiosa e attenta. Estinto appena
è l'incendio notturno e già ti trovo
nelle stanze d'Augusto.
                                           Oh dio, Sabina,
che ingiustizia è la tua! L'amor d'Augusto
non è mia colpa; è pena mia. M'affanno
di Farnaspe al periglio; ecco qual cura
mi guida a queste soglie. Ho da vederlo
perir così senza parlarne? Alfine
Farnaspe è l'idol mio. Gli diedi il core;
e ha remoti principi il nostro amore.
Parli da senno o fingi?
                                           Io fingerei,
se così non parlassi.
                                      E non t'avvedi
che, parlando per lui, Cesare irriti?
Ma non trovo altra via.
                                           Quando tu voglia,
una miglior ve n'è. Da questa reggia
fuggi col tuo Farnaspe. È suo custode
Lentulo il duce. a' miei maggiori ei deve
quantunque egli è; se ne rammenta e posso
promettermi da lui d'un grato core
anche prove più grandi.
                                             Ah, se potesse
riuscire il pensier.
                                    Vanne; è sicuro.
A partir ti prepara. Al maggior fonte
col tuo sposo verrò. Colà m'attendi
prima che ascenda a mezzo corso il sole.
son tanto usata a tollerar lo sdegno...
Ecco la destra mia; prendila in pegno.
Oh me felice! Oh generosa Augusta!
Emirena sarà, forse ritorno
farà 'l mio sposo al primo amor. Non dura
senz'esca il fuoco e inaridisce il fiume
separato dal fonte onde partissi.
Emirena, mio ben... (Numi, che dissi!) (Vuol partire)
Perché fuggi, Adriano? Un sol momento
non mi negar la tua presenza; e poi
torna al tuo ben, se vuoi.
                                              Come! Supponi...
Qual è dunque il mio bene?
                                                    Ah, non celarmi
quell'onesto rossor! Tu non sai quanto
grato mi sia. Non arrossisce in volto
chi non vede il suo fallo. E chi lo vede
è vicino all'emenda.
                                      Oh dio!
                                                       Sospiri?
Lascia me sospirar. Numi del cielo,
chi creduto l'avria! L'onor di Roma,
l'esempio degli eroi, la mia speranza,
È possibile? È ver? Chi ti sedusse?
Parla; di', come fu?
                                     Che vuoi ch'io dica,
se tutto mi confonde? Ah lascia queste
chiamami traditor, sfogati. Io veggo
ch'hai ragion d'insultarmi. I merti tuoi,
replicate promesse io mi rammento.
Ma che pro? Non son mio. Conosco, ammiro
la tua virtù, la tua bellezza e pure...
sol ch'io vegga... Ah Sabina, odio me stesso
per l'ingiustizia mia. So ch'è dovuta
una vendetta a te. Vuoi la mia morte?
Svenami; è giusto. Io non m'oppongo. Aspiri
a svellermi dal crin l'augusto alloro?
Lo depongo in tua man. Saria felice
suddito a sì gran donna il mondo intero.
Ah! Domando il tuo core e non l'impero.
Era tuo questo cor. S'io lo difesi,
tutti, o Sabina, in testimonio i numi.
eran vili per me. Freddo ogni sguardo
lunga stagion credei che fosse.
                                                        E poi?
E poi... Non so. Di mia virtù sicuro
ed amor mi sorprese. Ero nel campo,
e caldo ancor de' bellicosi sdegni,
mi fu Emirena. Ad un diverso affetto
quando è l'alma in tumulto. Io la mirai
domandarmi pietà, bagnar di pianto
questa man che stringea, fissarmi in volto
in atto così dolce... Ah! Se in quell'atto
rimirata l'avesse a me vicina,
parrei degno di scusa anche a Sabina.
Ah questo è troppo. Abbandonar mi vuoi;
hai coraggio di dirlo; in faccia mia
ostenti la beltà che mi contrasta
del tuo core il possesso e non ti basta?
ch'io facessi la scusa al tuo delitto?
tirannia più crudele? Il premio è questo
Barbaro! Mancator! Spergiuro! Ingrato! (S’abbandona sopra una sedia)
più vederla penar. Troppo a quel pianto
mi sento intenerir). Deh ti consola,
bella Sabina. a' lacci tuoi felici
tornerò; sarò tuo.
                                  (Stelle!)
                                                    Che dici? (Guardandolo con tenerezza)
messaggiera d'amore.
                                          Ah, non lo credo.
                             Non la vedrò.
                                                        Ma puoi
                          Ho risoluto e tutto
si può, quando si vuole.
                                             a' piedi tuoi (Ad Adriano)
inchinarsi desia. Non ti ritrova
e lung'ora ti cerca.
                                   (Ecco la prova).
Emirena veder. Tempo una volta
la mia fida Sabina.
                                     (Oh cari accenti!)
È giustizia, è dover. Ma che domanda
la povera Emirena? A lei si niega
quel che a tutti è concesso? È serva, è vero,
par crudeltà non ascoltarla.
                                                   Oh dio! (Si turba)
che potresti temer? Resta e vedrai...
Oh questo no. Già m'ingannasti assai. (S’alza)
volo a cercar. (In atto di partire)
                           No; ferma.
                                                 E a lei potresti
tal giustizia negar?
                                     No; ma per ora...
Non udisti Sabina? Amor mi sprona;
Spiegati alfin. Se non t'intendo, invano
m'affanno a consolar quel core oppresso.
Spiegarmi! E come? Ah non m'intendo io stesso! (Parte)
Tolleranza, o mio cor. La tua vittoria,
matura ancor non è. L'amor d'Augusto,
combattono per noi. La pugna è accesa;
ma non convien precipitar l'impresa.
Ecco la sposa tua. (A Farnaspe)
                                   Bella Emirena.
Sei pur tu, caro prence? Il credo appena.
                                Di tenerezze adesso
tempo non è. Convien salvarsi. È quella
non frequentata oscura via. L'amico
Lentulo a me la palesò. Non molto
si parte in due. Guida la destra al fiume,
la sinistra alla reggia. A voi conviene
evitar la seconda. Andate, amici,
la fortuna vi scorga, amor vi guidi.
                                Eccelsa donna, e come
                              Poco desio. Pensate
qualche volta a Sabina; e fra le vostre
felicità, se pur vi torno in mente,
dalla vostra pietà qualche sospiro.
Ed è ver che sei mia? Ne temo e quasi
parmi ancor di sognar.
                                           Prence, fuggiamo,
qualche strepito d'armi?
                                               Odo; ma donde
                             Da quel cammino istesso
che tener noi dobbiamo.
                                              Aimè!
                                                            Non giova
l'avvilirsi, ben mio. Celati intanto
che l'armi io scopro e la cagion di quelle.
Che sarà mai! Non mi tradite, o stelle. (Emirena si nasconde molto indietro vicino a’ cancelli del serraglio)
Fra l'ombre adesso a raccontar l'altero
vada i trofei della sua Roma.
                                                     E dove
corri, signor, con queste spoglie?
                                                             Amico,
siam vendicati. È libera la terra
dal suo tiranno. Ecco il felice acciaro
che Adriano svenò.
                                     Come!
                                                    Solea
di questa occulta via talor valersi
l'abborrito romano. Un suo seguace
mel palesò. Fra questi eroi del Tebro
l'oro ha trovato un traditore. Al varco
travestito in tal guisa io l'aspettai,
finché passò col servo, e lo svenai.
                       No. Fu previsto il caso.
Finse cader, quando mi fu vicino,
il servo reo. Con questo segno espresso
Cesare espose, assicurò sé stesso.
(Chi sarà quel roman? Stringe un acciaro
e sanguigno mi par. Potessi in volto
                                 Or che farem? Fuggendo
per la via che facesti, incontro andiamo
al tumulto saran. Sugli altri ingressi
veglian servi e custodi.
                                           E ben col ferro
ci apriremo la strada.
                                         Al caso estremo
serbiam questo rimedio. Io voglio prima
altra via di fuggir.
                                   (Parlan sommesso;
intenderli non so).
                                    Fra quelle piante
nascoso attendi. Io tornerò di volo.
Sollecito ritorna o parto solo. (Osroa si nasconde molto innanzi fra le piante del boschetto)
Questo... No. Quel sentier... Ma s'io tentassi
da Sabina mi fu? D'Augusto il caso
forse ancor non è noto; e forse prima
noi fuggiti sarem. Sì, questo eleggo.
Fermati, traditor. (Incontrandosi in Farnaspe)
                                   Numi, che veggo! (Si ferma stupido)
alla fuga, o custodi. (Alle guardie)
                                      Io son di sasso.
(Ah siam scoperti!) (S’avanza ad ascoltare)
                                       Istupidisci, ingrato,
perché vivo mi vedi? A me credesti
di trafiggere il sen. L'empio disegno
nel ferir palesasti.
                                   (Ecco l'errore.
Colui che si nascose è il traditore).
Perfido, non rispondi? A che venisti?
Chi sciolse i lacci tuoi? Parla.
                                                      Non posso.
nel carcere più nero il delinquente.
Fermatevi; sentite; egli è innocente. (Si scopre con impeto)
il traditor s'asconde. Eccolo... (S’incammina verso Osroa)
                                                       Oh dio!
                Vedilo, Augusto. (Accennando Osroa che s’avanza)
                                                È ver, son io.
in abito romano! E quanti siete,
scellerati, a tradirmi?
                                         Io solo, io solo
ho sete del tuo sangue. Il colpo errai;
il fallo emenderò.
                                  Così fra l'ombre
assalirmi, infedel? Coglier l'istante
che inciampo e cado al suol?
                                                     Barbara sorte!
Ecco l'inganno. Il tuo seguace ad arte
cader doveva e tu cadesti a caso;
l'un per l'altro svenai.
                                         Questa mercede,
barbaro, tu mi rendi? Oppresso e vinto
di Roma l'amistà...
                                    Sì, questo è il nome,
empi, con cui la tirannia chiamate;
ma poi servon gli amici e voi regnate.
Siam del giusto custodi. Al giusto serve
chi compagni ci vuol, non serve a noi;
ma la giustizia è tirannia per voi.
interpreti e custodi? Avete forse
parte co' numi? O siete i numi istessi?
procuriam d'imitarli; e il suo costume
chi co' numi conforma agli altri è nume.
avidi dell'altrui; rapite i regni;
vaneggiate d'amor; volete oppressi
tradite le consorti...
                                     Ah, troppo abusi
della mia sofferenza. Olà, ministri,
in carcere distinto alla lor pena
questi rei custodite.
                                      Anche Emirena?
Sì, ancor l'ingrata.
                                   Ah, che ingiustizia è questa?
Qual delitto a punir ritrovi in lei?
posso padre chiamarti io che t'uccido?
Parti, non assalir la mia costanza.
Ah, mi scacci a ragion. Perdono, o padre;
eccomi a' piedi tuoi. (S’inginocchia)
                                        Lasciami, o figlia;
addio, dell'alma mia parte più cara.
                                   Oh divisione amara!
il mio re, la mia sposa.
                                           Amico, assai
debole io fui. Non congiurar tu ancora
contro la mia fortezza. Abbia il nemico
maggior dell'ire sue. Nell'ultim'ora
cader mi vegga e mi paventi ancora.
Con quai nodi tenaci avvinta a questa
miserabile spoglia è l'alma mia!
Ah toglietemi il giorno, astri tiranni!
Come! Ch'io parta? A questo segno è cieco;
è ingiusto a questo segno? E di qual fallo
vuol punirmi Adriano?
                                            Ei sa che fosti
consigliera alla fuga. Ei del custode
ti crede seduttrice; e con tal arte
sa i tuoi falli ingrandir che a chi lo sente,
nel punirti così, sembra clemente.
beneficando una rivale, io volli
procurarmi il suo cor. Non l'odio o l'ira
mi consigliò ma la pietà, l'amore;
onde error non commisi o è lieve errore.
Sabina, io lo conosco e lo conosce
forse Adriano ancor. Ma giova a lui
un lodevol pretesto.
                                      E ben mi vegga
                            Il comparirgli innanzi
di vietarti m'impose.
                                         Oh dei! Ma deggio
partir senza vederlo?
                                        Appunto.
                                                            E quando?
Già le navi son pronte.
                                           Un tal comando
ubbidir non si deve.
                                       Ah no! Ti perdi.
Parti; fidati a me. Lo vincerai
non resistendo. Io cercherò l'istante
                                  Ma digli almeno...
Va'. Senz'altro parlar t'intendo appieno.
perché parta Sabina e poi m'affanno
nel vederla partir. Pensa, o mio core,
che la perdi se resta. Ella risveglia
d'Augusto la virtù. Soffrir non puoi
ma, se lieto esser vuoi, soffrir conviene.
Nulla, signore; è risoluta e vuole
                            Ah, se sdegnata è meco,
                              Ma moderate a segno
son le querele sue che d'altro amante
la credo accesa. Io giurerei che serve
di pretesto alla sua.
                                     No, non mi piace
questa soverchia pace. Andiamo a lei.
del re de' Parti. Il mio consiglio accetti;
vuoi tentar di placarlo; a te lo chiami;
ei vien; t'attende; e nel compir l'impresa
ti confondi e vacilli?
                                       Ah! Tu non sai
agita l'alma mia. Roma, il Senato,
la mia gloria, il mio amor, tutto ho presente;
tutto accordar vorrei; trovo per tutto
qualche scoglio a temer. Scelgo, mi pento;
mi ritorno a pentir. Mi stanco intanto
nel lungo dubitar, tal che dal male
il ben più non distinguo. Alfin mi veggio
stretto dal tempo e mi risolvo al peggio.
di tormentar te stesso. Hai quasi in braccio
la bella che sospiri e non ardisci
di stringerla al tuo seno? Io non ho core
di vederti soffrir. Vado de' Parti
ad introdurre il re.
                                    Senti. E se poi...
Non più dubbi, signor.
                                           Fa' quel che vuoi. (Aquilio parte)
è ragion di natura; e in tanta pena
io viver non saprei senza Emirena.
Che si chiede da me?
                                         Che il re de' Parti
sieda e m'ascolti. E, se non pace, intanto
A lunga sofferenza io non m'impegno. (Siede)
(Del mio destin si tratta).
                                                Osroa, nel mondo
tutto è soggetto a cambiamento; e strano
soli fossero eterni. Alfin la pace
utile al vincitor. Fra noi mancata
è la materia all'ire. Il fato avverso
mi diè benigno il ciel che non rimane
né che perdere a te.
                                      Sì; conservai
l'odio primiero, onde mi resta assai.
(Che barbara ferocia!)
                                           Ah non vantarti
tormenta il possessor. Puoi meglio altronde
il tuo fasto appagar. Sappi che sei
arbitro tu del mio riposo, appunto
qual son io de' tuoi giorni. Ordina in guisa
gli umani eventi il ciel che tutti a tutti
siam necessari; e il più felice spesso
che sperar, che temer. Sol che tu parli,
la principessa è mia. Sol ch'io lo voglia,
tu sei libero e re. Facciamo, amico,
a vantaggio d'entrambi. Io chiedo in dono
da te la figlia e t'offerisco il trono.
(Tremo della risposta).
                                            E ben che dici?
Tu sorridi e non parli? (Ad Osroa)
                                            E vuoi ch'io creda
sì debole Adriano?
                                    Ah! Che purtroppo,
Osroa, io lo son. Dissimular che giova?
meco non vedo in dolce nodo unita,
non ho ben, non ho pace e non ho vita.
a renderti felice, io son contento;
che si chiami la figlia.
                                          Accetti dunque
                             Chi ricusar potrebbe?
il perduto riposo. Aquilio, a noi
Ubbidito sarai. (Sabina è mia). (Parte)
Ora a viver comincio. Olà; togliete (Escono due guardie)
quelle catene al re de' Parti.
                                                    Ancora
non è tempo, Adriano. Io goderei
prima de' doni tuoi che tu de' miei.
                          Non è dover. Partite. (Partono le guardie)
Dal peso ingiurioso io pur vorrei
                                   Son sì contento,
pensando all'avvenir, ch'io non lo sento.
E pur non viene. (Guardando per la scena)
                                  Impaziente anch'io
ne sono al par di te.
                                      La principessa
io vado ad affrettar. (S’alza)
                                       No; già s'appressa. (S’alza trattenendolo)
Bellissima Emirena... (Incontrandola)
                                          A lei primiero (Ad Adriano)
meglio sarà ch'io tutto spieghi.
                                                         È vero.
(Perché son così lieti!)
                                           E pure, o figlia,
fra le miserie nostre abbiamo ancora
di che goder. Lo crederesti? Io trovo
nella bellezza tua tutto il compenso
                                   Che dir mi vuoi!
Lasciami terminar. (Ad Adriano)
                                      Come a te piace.
raccolse amico il ciel che, fatto servo,
il nostro vincitor per te sospira;
offre tutto per te. Scorda gli oltraggi;
s'abbassa alle preghiere; odia la vita
senza di te che per suo nume adora.
Tu dunque puoi... (Ad Emirena)
                                    Non ho finito ancora. (Ad Adriano)
(Mi fa morir questa lentezza). (Da sé)
                                                         Io voglio...
questo del genitore ultimo cenno
nel più sacro dell'alma. Io voglio almeno
la mia vendicatrice. Odia il tiranno
come io l'odiai finora; e questa sia
                                  Osroa, che dici!
t'unisca a lui. Ma forsennato, afflitto
fremer di sdegno e delirar d'amore.
Parli Cesare adesso; Osroa ha finito.
Sconsigliato! Infelice! E non t'avvedi
che opprimer ti dovrà?
                                            Smania, o superbo;
son le tue furie il mio trionfo.
                                                       Oh numi!
Che sguardi! Che parlar! Tanto alle fiere
può l'uomo assomigliar! Stupisco a segno
che scema lo stupor forza allo sdegno.
Figlia, s'è ver che m'ami, ecco il momento
di farne prova. Un genitor soccorri
che ti chiede pietà.
                                     Se basta il sangue,
è tuo, lo spargerò.
                                  Toglimi all'ire
del tiranno roman. Senza catene
                         Sì; ci conobbe Augusto
d'ogn'insidia innocenti e le disciolse
a Farnaspe ed a me. Ma qual soccorso
perciò posso recarti?
                                        Un ferro, un laccio,
                             Padre, che dici? Queste
sarian prove d'amor? La figlia istessa
scellerata dovrebbe... Ah! Senza orrore
non posso immaginarlo. Invan lo speri.
Il cor l'opra abborrisce; e quando il core
sapria nell'opra istupidir la mano.
dell'origine tua. Tremi di morte
al nome sol! Con più sicure ciglia
riguardarla dovria d'Osroa una figlia.
                                     Corri, Emirena. (Con fretta)
               Ad Augusto.
                                        E perché mai?
                                                                     Procura
delle catene sue l'indegna soma,
               A morte?
                                   No. Peggio.
                                                          E dove?
                                                                           A Roma.
E che posso a suo pro?
                                           Va', prega, piangi,
offriti sposa ad Adriano; obblia
le speranze, l'amor. Tutto si perda
                           Egli pur or m'impose
d'odiar Cesare sempre.
                                            Ah tu non devi
un comando eseguir dato nell'ira
ch'è una breve follia. Dobbiamo, o cara,
salvarlo suo malgrado.
                                          Ad altri in braccio
andar dunque degg'io? Tu lo consigli?
E con tanta costanza?
                                         Ah principessa,
tu non vedi il mio cor. Non sai qual pena
questo sforzo mi costa. Allorch'io parlo,
che non senta tremar; stilla di sangue
gelida non mi scorra. Io so che perdo
m'era dolce la vita. Io so che resto
grave agli altri ed a me. Ma l'Asia tutta
che direbbe di noi, se Osroa perisse,
quando possiam salvarlo? Anima mia,
necessario dover la nostra pace.
occupa della terra. Un gran sollievo
per me sarà quel replicar talora
«Chi diè legge al mio cor dà legge al mondo».
a perderti, ben mio, deh non mostrarti
                                    Bella mia speme,
no, non mi perdi. Infin ch'io resti in vita,
t'amerò, sarò tuo, sol però quanto
la gloria tua, la mia virtù concede;
lo giuro a' numi tutti e a que' bei lumi
che per me son pur numi. E tu... Ma dove
mi trasporta l'affanno? Ah! Che ci manca
anche il tempo a dolerci. Osroa perisce,
mentre pensiamo a conservarlo.
                                                            Addio.
                      Che vuoi?
                                           Va'... Ferma... Oh dei!
Vorrei che mi lasciassi e non vorrei.
la fedeltà, la tenerezza a prova
pugnano nel mio seno. Or questa or quella
è vinta, è vincitrice; ed a vicenda
ma, qualunque trionfi, io perdo sempre.
Temerario! Non più. Benché da lui
mi discacci Adriano, è a te delitto
che mi parli d'amor. (Partendo per imbarcarsi)
                                        Sabina, ascolta.
                  (Numi!) Che chiedi? (Tornando indietro)
                                                          A questo segno
odioso io ti son che partir vuoi
                               Ah! Non schernirmi ancora.
di comparirti innanzi...
                                            Io? Quando? Aquilio,
la libertà d'abbandonarmi?
                                                    Oh dei!
ch'io dovessi partir senza mirarlo?
(Se parlo mi condanno e se non parlo).
Perfido! (Ad Aquilio)
                   Non rispondi?
                                                Or tutte intendo
le trame tue. Sappi, Adriano...
                                                        È vero,
signor, Sabina adoro; e lei presente
temei la tua virtù, perciò lontana...
Basta. Che tradimento! Anima rea!
Tu rivale ad Augusto? Olà, costui
                          (Avverso ciel!) (È disarmato)
                                                       Né pensi
la mia sposa a partir.
                                        Tua sposa!
                                                              Io sento
che risano a gran passi. Il dover mio,
                                  Pietà, signore!
Conservami il mio re.
                                          Rendilo e poi
eccomi tua, se vuoi.
                                      Che?
                                                  Sì, ti cedo
l'impero di quel cor.
                                       Tu?
                                                 Sì, sarai
tu il nume mio. Per quel sereno il giuro
raggio del ciel che nel tuo volto adoro,
che porti al crin, per questa invitta mano
ch'io bacio... (S’inginocchia)
                          Ah! Sorgi; ah! Taci. (È donna o dea?
Quando m'innamorò, così piangea).
perdo Emirena; e se all'amor mi fido,
la mia Sabina uccido. Ah, qual cimento,
(E pur mi fa pietà, benché infedele).
Cesare, e non risolvi?
                                         Augusto, alfine...
Ah! Per pietà non tormentarmi. Io tutto
tutto, Sabina, io so.
                                     No, non lo sai.
son le nostre ferite. Uno di noi
dee morirne d'affanno, io se ti perdo,
tu se perdi Emirena. Ah! Non sia vero
che, per salvar d'inutil donna i giorni,
perisca un tale eroe. Serbati, o caro,
alla tua gloria, alla tua patria, al mondo,
se non a me. D'ogni dover ti sciolgo,
ed io stessa sarò la tua difesa.
                Cesare, addio. (In atto di partire)
                                            Fermati. (Arrestandola) Oh grande!
di mille imperi! Ah, quale eccesso è questo
d'inudita virtù! Tutti volete
dunque farmi arrossir? Fedel vassallo,
a favor del tuo re! Figlia pietosa,
tu per il padre tuo! Tradita amante, (A Sabina)
non pensi tu che al mio riposo! Ed io,
il debole sarò? Né mi nascondo
per vergogna a' viventi? E siedo in trono?
E do leggi alla terra? Ah no. Facciamo
tutti felici. Al re de' Parti io dono
e regno e libertà; rendo a Farnaspe
la sua bella Emirena; Aquilio assolvo
e a te, degno di te, rendo me stesso. (A Sabina)
Ecco il vero Adriano; or lo ravviso.
grata quest'alma a' benefizi tuoi...
Se grata esser mi vuoi, lasciami ormai
la pace del mio cor. Poco è sicura,
finché appresso mi sei. Subito parti,
io te ne priego. Ecco il tuo sposo; il padre
colà ritroverai. Lieti vivete;
questi deliri miei d'eterno obblio.
Almen, signor... (Volendogli baciar la mano)
                                Basta, Emirena. (Non soffrendolo) Addio.
Cesare, non turbarti; a te non osa
somigliarsi Adrian. Quando al tuo sguardo
fa spettacol di sé, non paragone.
l'immagine sarebbe; e troppo chiare,
signor, fra voi le differenze sono.
la riceve da te. Fu grande e giusto
ei talvolta e tu sempre. I propri affetti
ei debellò, tu li previeni. Ei scelse
tardi le vie d'onor, tu le scegliesti
de' giorni tuoi fin su la prima aurora.
Lui la terra ammirò, te il mondo adora.
Lo so, tacete, ore seguaci. Al corso
voi m'affrettate invan. Dal cielo ibero
non sperate ch'io parta in sì gran giorno.
già l'inquieto abitator sospira;
l'ostinata sua notte, il pertinace
scintillar delle stelle e la dimora
della sorda a' suoi voti infida aurora;
ch'oggi nasce un Fernando. Antica in cielo
perché nascan gli Alcidi, il sol s'arresta.

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