Metrica: interrogazione
347 settenari (recitativo) in Semiramide R2 
Olà; sappia Tamiri
che i principi son pronti,
di già l'ora s'appressa,
Dall'Egitto in Assiria
che la real Tamiri
l'ostinate contese
Sperai fra queste mura
principessa d'Egitto
Che ascolto! È teco Idreno?
del monarca numida;
                   La notte istessa
ch'io seco andai, del Nilo
dalla pendente riva
Ma la cagione?
                             Oh dio!
co' pieghevoli salci
spoglia e nome cangiai,
finché il monarca assiro,
fosse merito o sorte,
E all'estinto tuo sposo
Effeminato e molle
Nino, deve al tuo zelo
principessa, t'assidi;
si presenta Mirteo.
                    Odi; la bella, (A Mirteo interrompendolo)
L'Egitto è il regno mio... (A Semiramide)
Del Caucaso natio (A Semiramide interrompendo Mirteo)
vien dal giogo selvoso
Ircano, a quel ch'io veggio,
                 Tacer tu dei.
Parli il prence d'Egitto.
non è il tuo merto ascoso. (Mirteo va a sedere)
Or narra i pregi tuoi. (Ad Ircano)
Si parli. A farmi noto
basta affermar ch'io sono
è l'indurar la vita
                 Or siedi, Ircano. (Ircano va a sedere)
Qual arrivo funesto!)
Sarà. (Dopo aver considerata Semiramide)
             Prence, il tuo nome
dunque è Scitalce?
                                    Appunto.
                         (Qual richiesta!
                  (Io vengo meno).
Fin da l'indico clima
Io... (Che dirò?) Se venni...
picciol merito è questo.
Ma veramente è quegli
Nino, perché non chiedi (Piano a Semiramide)
in quel volto fallace
che Tamiri decida.
                        (Ahimè!) Ma prima
(Son fuor di me). (Come sopra)
                                   (Spergiuro!)
Ircano, al nume, all'ara
seguir l'altrui costume.
Io l'ardire d'Ircano,
ma un non so che...
                                     Sospendi
la scelta, o principessa.
No, principi; v'attendo (S’alza e seco tutti)
ivi a mensa festiva
Che vidi! Che ascoltai! (Fra sé)
Semiramide vive!
Ma non l'uccisi io stesso?
Sprezzi o brami i miei lacci?
Perdonami, o Tamiri.
più confusa ti rendo.
Più che ad ogn'altro spiace
Non curar di quel folle;
godi di tua ventura
Che fai? Non ti rammenti
o limiti o dimore?
È ver; ma il tuo sembiante
e curioso il guardo
Cangia, cangia desio;
Con lingua più gentile
un bel volto si ammira;
si tace, si sospira,
si tollera, si pena;
l'amorosa catena
Felice te, se puoi
sopra gli affetti tuoi
al par di me cadrai
Come? E tu non ravvisi
il girar de' suoi sguardi
il cor che al noto aspetto
No, che bambino ei crebbe
meco fuggì; ma poi
non lungi dalla reggia
potrei sfogarmi in lui.
Ma da tanti nemici
chi ti salvò?
                        Fra l'ombre
del bosco e della notte
mi dileguai; ma prima
del Nilo in su la sponda
                 Da quel momento
potria per la germana
Chi sa? Forse il desio
Signor, brama Scitalce (A Semiramide)
piacciati, o principessa,
or con me si palesa).
(Il rossor lo ritarda).
(Teme quel cor fallace).
Principe, tu non parli?
Signor, nel tuo sembiante
una donna incostante,
che in Egitto adorai,
Tanto simile a Nino
che sotto un'altra spoglia
così meco ragiona?
Io m'ingannai. Perdona (Si ricompone)
uno sfogo innocente;
Pur, se avessi presente
(Quale audacia? Comprenda
questo mio core oppresso
                          Oh dio!
pietosa a' miei martiri
adoro il suo sembiante...
A parlar con Tamiri,
Signor, quali predici
Sudai finora invano
saper che non si trova
perché si fa rivale
                           Tu sei
Nino... (Appressandosi)
                Eh taci una volta; (Con impeto)
Ma, Scitalce, io vorrei
sei tu di mia costanza,
                     Io non intendo
quanto a fingere è avvezzo.
Sarà dunque Scitalce
del nostro affetto antico...
Principi, io vi predico
la destra di Tamiri
ditele i vostri affanni;
Non è sì vile Ircano.
l'importuno rivale
Quanti inventan costoro
la sua caduta è certa,
Ministri, al re sia noto
la sua voce, il mio scritto
Dove, signor? Qual ira (Ad Ircano)
In braccio alla sua sposa
Corro a svenarlo; e poi
             Per odio antico
dovrà, com'è costume,
                     Ecco, o Tamiri,
dove gli altrui sospiri
non s'introdusse mai
Ah se quello foss'io,
Come mai del tuo fato (A Scitalce)
chi mai ti rese umano?
se da senno o per gioco
Più non si tardi. Ognuno
la mensa onori e intanto
il momento funesto).
Compito è il cenno. (Posa la sottocoppa con la tazza avanti a Semiramide e va a lato d’Ircano)
                                      Or prendi,
presenta a chi ti piace;
l'uguaglianza de' merti,
se al talamo ed al trono
l'uno o l'altro solleva.
(Io lo previdi).
                             (Oh sorte!)
(E deggio in faccia a lei
annodarmi a Tamiri?)
Egli è dubbioso ancora. (A Semiramide)
                         E Nino
Porgi a più degno oggetto
che al regno ti destina? (A Scitalce)
Qual cura hai tu, se accetta
o se rifiuta il dono? (Ad Ircano)
Lascialo in pace.
                                Io sono (A Semiramide)
non me, sé stesso offende
l'offerta di mia mano
        Sì; con questo dono
Principe, tu non devi
Troppo il rispetto offendi
a Tamiri dovuto.
Vada la tazza a terra. (Getta la tazza)
E qual furore insano...
Dunque ridotta io sono
Dunque per oltraggiarmi
è deforme a tal segno
Ei col primo rifiuto
a lui trafigga il petto;
(Il mio bene è in periglio
all'offesa Tamiri
Vengo; e di tanto orgoglio
Io primiero al cimento
A vendicar Tamiri
sugli occhi miei Tamiri
Sibari, sia tuo peso
Ch'io ceda il brando mio?
Così comandi e parli
che fosse più fallace
No no; l'Arabo, il Moro
han più idea di dovere,
(Conoscerai fra poco
Perché mi si contende
Ma tu l'ami o non l'ami?
Quante richieste! Alfine
qual core in seno ascondi.
Vedi quanto son io
Come goder mi lice
perché il mio cor non vedi;
Di Scitalce il rifiuto
de' tradimenti suoi
le mie speranze e questa
T'intendo, amor; mi vai
Quanto facile è mai
Sieguimi; invan resisti.
                           Che a Tamiri
che per non ber la morte
differenza non hanno
D'un desio di vendetta
ma col parlar scompongo
col soccorso de' tuoi
Parmi che a poco a poco
mentre cresce la notte,
dell'Eufrate alle sponde
sollecito ti rendi.
delusi rimarranno,
se m'arride il destino,
il valoroso Ircano
Mirteo, son vendicata?
nella sua reggia; e vuole
della sorte del reo
               A Nino. (Come sopra)
                                Ah sì presto,
tu sei l'unico oggetto...
Io tollerar non posso
con assidui lamenti,
con la fronte turbata
Più sventurato amante
                  Ah se sapessi,
                            Il fasto
Deh per pietà...
                               Mirteo, (Con impeto)
Come mi balza in petto
vuoi forse espormi?
                                      Oh dio!
tutto il valor conosco.
Di Tamiri il rifiuto
io ti dirò che in seno
vive del finto Nino
Mi perdoni! E qual fallo?
come mai non avesse
Che sento! E chi t'indusse
se v'è giustizia in cielo,
luce degli occhi miei,
Ah se il mio labbro mente,
di nuovo ingiustamente
come già fece Idreno
perfida, m'ingannasti;
trionfane e ti basti;
Invero è un grand'inganno
a uno straniero in braccio
la patria e il genitore.
Io priego, egli m'insulta;
quand'io rimanga estinto.
                           Assiri,
al re lo scita altero
senza onor, senza fede,
che altro dover non vede
che sol con le rapine,
pregio de' traditori,
Quest'insolente oltraggio
a me rimasta ignota
alcun merto non hanno.
Ecco un rival di meno
che col nome d'Idreno
quando tu pargoletto
Ah non a caso il cielo
regola almen lo sdegno.
Quell'ira ch'io destai
dal timor mi difende
ch'ei palesi il mio foglio;
e di lei che m'accende
Questa dolce lusinga
Ma il rimorso or che giova?
Quando il primo è commesso,
tradimento intrapreso
che all'estrema sventura
Ma se senza tuo danno
tu potessi salvarmi,
placa quell'ira, o caro;
modera quel dispetto;
Se la tua man mi porgi...
Che! La mia man?
                                    Rammenta
che dei tacer. M'avanza
Se la tua man mi porgi,
col felice imeneo
Più rivale in amore
se ben scoperta io sono,
Oh viver fortunato,
oh dolce uscir di vita
(Se men la conoscessi,
altro a dir non mi resta.
degli uomini allo sdegno,
all'ira degli dei
E questa è la mercede
che rendi a tanto amore,
Tradita, disprezzata,
ferita, abbandonata,
mi scopro, ti perdono,
t'offro il talamo, il trono;
e non basta a placarti?
E a pietà non ti desti?
E ancor con tanto orgoglio...
Custodi olà, rendete
va' pur dove ti guida
ingannato io mi fossi?
maggior fede io dovrei
Risolviti, o Scitalce,
                     Alfin, Tamiri, (Risoluto)
di qualche ardor primiero
la tua destra non stringo.
quegli spirti codardi.
Mirteo, per quanto io tardi,
troppo sempre a tuo danno
No no; già tutto è in pace;
(S'impedisca il cimento;
guardami, ingrata, e parti.
in faccia al mondo intero
Ma Scitalce mi piace;
Ecco con qual mercé
avvelenato il nappo
egli la mia germana
Nella reggia d'Egitto
                    Che! Mi tradisci, (A Sibari)
è ver, la tua germana
là del Nilo alle sponde
s'ella fu, s'io son reo.
ad altro amante in seno
solo esporti al periglio
di privarti di vita
e poi trovarsi unita
(Stelle! Che inganno orrendo!)
Come amico e nemico
solo ascoltar vogl'io.
che mal noto fra l'ombre
vedendoti con lei
No; pria si chiami autore
Già che perduto io sono,
Babilonia adornai;
coll'armi io dilatai
sotto spoglia fallace
dalla reggia vicina
porti sul trono il piè.
son reo... (S’inginocchia)
                    Sorgi e t'assolva
coll'idol mio sdegnato
D'ogni esempio maggiori,
di questo giorno, a cui
piovono dal suo trono
sempre influssi benigni,

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