Metrica: interrogazione
348 settenari (recitativo) in Adriano in Siria B 
Chiede il parto Farnaspe
Valorosi compagni
voi m'offrite un impero
non men col vostro sangue
abbia a raccoglier tutto
Ma se al vostro desio
nel grado a me commesso
A me non servirete.
alla pubblica speme,
Nel dì che Roma adora
da cui di tanti regni
ora al cesareo piede
(Tanta viltà Farnaspe
accoglie ognun che brama
della virtù romana
geme fra' vostri lacci
Prence in Asia io guerreggio,
                        Venga il padre.
in cui tutti per Roma
Finché d'Osroa palese
dell'onor suo geloso,
che il sacro rito.
                               (Oh dio!)
quasi nel tempo istesso
si fece un'alma sola
so che nascono eroi.
da me pretendi invano.
Prence, della sua sorte
Vieni a lei. S'ella siegue
come credi ad amarti,
Comprendesti, o Farnaspe,
innanzi alle tue ciglia,
Sì. Saprai quando torni
tutti i disegni miei.
Dalla man del nemico
il gran pegno si tolga
Son vinto e non oppresso
Ah se con qualche inganno
E se tal fiamma obblia,
È vero, Aquilio, o troppo
da quai furie agitato
ti richiese, gli disse
di Cesare ha destate
giura che in Campidoglio,
che al rossor del trionfo
Se un violento amore
Non è l'Africa sola
Ch'una real donzella
della sua simulata
tranquillità. Deludi
E il povero Farnaspe
Addio. Pensaci e trova,
Principe, quelle sono
                            Affatto
N'ho ancor l'idea presente...
colei che teco apprese
chi si trova in catene.
mi tormentasti assai.
Tu sei Farnaspe! Al nome
più d'una tua vittoria
Ah ritorna più tosto
dee l'amore o l'obblio.
                               Se fosse
se verace è l'affetto.
Son reo di qualche fallo?
dell'amor mio verace?
la tenere accoglienze?
Sventurato Farnaspe!
imparasti a scordarti.
barbara, giacché vuoi
libero almen mi resti
Io perdei la mia pace,
Più rispetto sperava
non si perde col regno,
che se 'l regno natio
Posso offrirti, se vuoi,
Arbitro della terra
fra le spose latine
di Cleopatra il fato,
Era più nuova allora
del popolo seguace
ti seguitai coll'alma
Soffri che adorno alfine
di quel lauro io ti miri
a' soggiorni migliori
se lungamente il cielo
lasciandoti il tuo volto
la pietà, che mi chiedi,
                     Che dovrei? (Con serietà e sdegno)
al fianco alla rivale,
che in vedermi si turba,
volgetevi un momento
nelle perdite nostre
raccolto in quelle mura
Chi sa. Fra quelle fiamme
col suo Cesare avvolta
Se quel folle si perde
di qua gente s'appressa;
volevate involarmi,
E nessuno sa dirmi
                            Almeno
Eccolo. Non sdegnarti.
Augusto. Io torno in vita.
né ancor m'avvengo in essa.
Senti... Come mi lascia!
                 Eterni dei!
Vuoi che de' tuoi trionfi
son que' begli occhi tuoi
Ah qual senso nascoso
celano i detti tui?
                     Principessa!
                 Perché son parto,
Deh pietosi ministri
parlasti, o principessa.
E da lui che temevi?
ne porterò nell'alma
l'immagine scolpita,
Detesto i miei sospetti.
e pure ad onta vostra
i tormenti, gli affanni,
le furie de' tiranni,
il suo labbro mel dice;
                            Conviene
Sarà la morte istessa
terribile soltanto
S'è ver che i mali altrui
nel veder quanto sia
Più oltre, o principessa,
Soccorrilo, procura
miglior uso farebbe
È la menzogna ormai
che sembri a tuo malgrado
E tu quando vorrai
Ed io sempre ho creduto
Credimi principessa...
Addio. Gente s'appressa.
più di quel che credei
ch'egli mi preferisca
Non più Sabina; oh dio
de' cesarei giardini
Ma verrai? Del destino
Ah, che a sì gran contento
è quest'anima angusta.
Chi sa? Quando lontana
del mio caro Adriano
Adriano incostante!
Dimmi pure infedele,
gli scambievoli affetti,
le cento volte e cento
se a te volli serbarlo
il ciel lo sa. Ne chiamo
Le bellezze dell'Asia
a paragon de' tuoi
trascurai le difese
pieno d'una vittoria
quando condotta innanzi
è facile il passaggio
le supplici pupille
Pretenderesti ancora
per non vederti afflitto
E dove mai s'intese
che ho da te meritato?
Verrà, verrà quel giorno
(Qui Sabina!) (In disparte)
                             (Io non posso
a' tuoi lacci felici
Che son vinto, che cedo,
(Qui bisogna un riparo).
S'Emirena una volta
l'afflitta prigioniera
No, Aquilio, io più non deggio
è pur ch'io mi rammenti
ma pur nacque regina.
Veramente, Sabina,
E ben parta Emirena
senza vedermi. Aquilio
Meglio è che il suo destino
sappia dalla mia voce.
la sdegnata Sabina;
torni quest'alma e scosso
benché non sia lontana,
gli sdegni di Sabina
l'opportuna alla fuga,
lunge dal primo ingresso
Sicuri a' vostri lidi
esigga il mio martiro
per esser lieti appieno
in qual clima s'aggiri.
Ferma. (Ad Emirena arrestandola)
                 Perché?
                                  Non odi
l'abborrito romano
complice del segreto
Ma del nemico invece
potevi fra quell'ombre
a mille che concorsi
ricercar se vi fosse
il cammin che prescritto
ch'altri il sappia e v'accorra
Impedite ogni passo
con voci ingiuriose
Qual disegno t'ha mosso?
Il silenzio t'accusa.
Taci. (Ad Emirena)
             L'empio s'asconde
di Farnaspe al periglio
non mostrarti agitata.
Come t'affanni ingrata!
che non sa il tuo pensiero
E che ti giova, o cara,
sol per pochi momenti
mi sono i falli miei
Questo è pur quel Farnaspe
la freddezza primiera?
Ah padre! (Resta immobile)
                      Il re de' Parti
ma se mi lasci in vita
Onde confuso il segno
Troppo ingrata mercede
t'invito, t'offerisco
E chi di lei vi fece
ne' celesti congressi
Se non siam numi, almeno
Numi però voi siete
gl'innocenti rivali,
Padre... Oh dio con qual fronte
Deh se per me t'avanza...
No, sdegnato non sono,
t'abbraccio, ti perdono.
Almen tutto il mio sangue
a conservar bastasse
il rossor di vedermi
Come resiste a tanti
insoffribili affanni!
d'Emirena e Farnaspe
ti crede seduttrice;
se ne querela e dice
che del trono offendesti
che disturbi e scomponi
Non può nome di colpa
le cagioni, gli oggetti
serbando la sua gloria,
Io la trama dispongo
l'assenza del tuo bene;
Aquilio. Che ottenesti?
non trascurai ragione
che male al suo decoro
l'incostanza d'Augusto
Perché? Cesare teme
d'una donna lo sdegno?
          La vuoi tua consorte?
d'Osroa sarà bastante
qual guerra di pensieri
poi d'essermi pentito
Eh finisci una volta
Che dir può il mondo? Alfine
il conservar la vita
abbia triegua il suo sdegno. (Siede)
saria che gli odi nostri
è necessaria al vinto,
tanto ti tolse, e tanto
né che vincere a noi
d'un ben che posseduto
nel più misero trova
uso del poter nostro
Quando basti sì poco
Ah tu mi rendi, amico,
la principessa invia.
Van riguardo. Eseguite (Alle guardie)
Quella fiamma verace... (Ad Emirena)
Tal virtù ne' tuoi lumi (Ad Emirena)
(Senti o figlia e scolpisci
in te lasciar morendo
Né timor né speranza
vedilo a tutte l'ore
Giusti dei, son schernito!
che tu il fulmine accendi
qual rabbia! Qual veleno!
un veleno, una morte,
fosse tanto inumano,
Va'. Ti credea più degna
Misera, a qual consiglio
che il comando rivochi
contro il tuo genitore.
                 Vuol che traendo
i ritegni, i riguardi,
non ho fibra nel seno
non ho che per le vene
afflitto, disperato,
sagrifichiamo a questo
Va'. Consorte d'Augusto
il grado più sublime
nel mio dolor profondo:
Ah se vuoi ch'io consenta
Di vassallo e d'amante
varian fortuna e tempre.
Temerario! E tu ardisci
e nell'ultimo istante
Colpevole è l'affetto,
il barbaro, l'ingiusto,
l'incostante Adriano.
Olà. Del tuo sovrano (Tornando indietro)
Men fiera un'altra volta
Mi discacci, mi vieti
Non fu cenno d'Augusto (Ad Aquilio)
Temei che alfin vincesse
questa mercé mi rendi
Fra poco. Non domando
d'Emirena i disprezzi,
gli odi del genitore...
                Del padre mio.
che non voglio salvarlo;
d'Emirena che piange?
che il padre. E quella mano
che può farti felice
per quel sudato alloro (S’inginocchia)
ch'è sostegno del mondo,
fosse altrove Sabina). (Da sé)
(Il mio scorno è sicuro).
che non arte d'amore,
non mascherato sdegno
Io veggo, Augusto, e 'l vede
sento che più m'accendo,
Troppo, troppo fatali
ti perdono ogni offesa;
se i giorni che 'l dolore (Piange)
Qual sovrumano è questo
tu la sposa mi cedi (A Farnaspe)
sagrifichi te stessa (Ad Emirena)
io sol fra tanti forti
ribollir per le vene
quale incendio d'onore
d'ogni fallo commesso.
                 O tenerezze!
O contento improvviso!
Deh, Cesare, permetti
a quell'alma sdegnosa
quanto da me dipende
e tutti tre spargete
A lui diè luce il trono;

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