Ciro riconosciuto, Vienna, s. n., 1736

 CIRO RICONOSCIUTO
 
 
    Dramma per musica da rappresentarsi nel giardino dell’imperial Favorita, festeggiandosi il felicissimo giorno natalizio della sacra cesarea e cattolica real maestà di Elisabetta Cristina, imperadrice regnante, per comando della sacra cesarea e cattolica real maestà di Carlo VI, imperadore de’ Romani sempre augusto, l’anno MDCCXXXVI.
    La poesia è del signor abbate Pietro Metastasio, poeta di sua maestà cesarea e cattolica. La musica è del signor Antonio Caldara, vicemaestro di capella di sua maestà cesarea e cattolica.
 
 
 ARGOMENTO
 
    Il crudelissimo Astiage, ultimo re de’ Medi, in occasione del parto della sua figliuola Mandane, dimandò spiegazione agl’indovini, sopra alcun suo sogno, e gli fu da loro predetto che il nato nipote dovea privarlo del regno; onde egli per prevenir questo rischio, ordinò ad Arpago che uccidesse il picciol Ciro, che tale era il nome del nato infante, e divise Mandane dal consorte Cambise, rilegando questo in Persia e ritenendo l’altra apresso di sé, affinché non nascesser da loro, insieme con altri figli, nuove cagioni a’ suoi timori. Arpago non avendo coraggio di eseguir di propria mano così barbaro comando, recò nascostamente il bambino a Mitridate, pastore degli armenti reali, perché l’esponesse in un bosco. Trovò che la consorte di Mitridate avea, in quel giorno appunto, partorito un fanciullo, ma senza vita, onde la natural pietà, secondata dal comodo del cambio, persuase ad entrambi ch’esponesse Mitridate il proprio figliuolo già morto, ed il picciol Ciro, sotto nome d’Alceo, in abito di pastore in luogo di quello educasse. Scorsi da questo tempo presso a tre lustri, destossi una voce che Ciro ritrovato in una foresta bambino fosse stato dalla pietà d’alcuno conservato e che fra gli Sciti vivesse. Vi fu impostore così ardito che approfittandosi di questa favola, o avendola forse a bello studio inventata, assunse il nome di Ciro. Turbato Astiage a tal novella, fece a sé venir Arpago e dimandollo di nuovo se avesse egli veramente ucciso il picciol Ciro, quando gli fu imposto da lui. Arpago che dagli esterni segni avea ragion di sperar pentito il re, stimò questa una opportuna occasione di tentar l’animo suo e rispose di non aver avuto coraggio d’ucciderlo ma d’averlo esposto in un bosco, preparato a scuoprir tutto il vero, quando il re si compiacesse della sua pietosa disubbidienza, e sicuro fra tanto che quando se ne sdegnasse non potean cadere i suoi furori che sul finto Ciro, di cui, con questa dimezzata confessione, accreditava l’impostura. Sdegnossene Astiage ed in pena del trasgredito comando privò Arpago d’un figlio e con sì barbare circostanze che non essendo necessarie all’azione che si rappresenta trascuriamo volontieri di rammentarle. Sentì trafiggersi il cuore l’infelice Arpago nella perdita del figlio; ma pure avido di vendetta, non lasciò di libertà alle smanie paterne se non quanta ne bisognava perché la soverchia tranquillità non iscemasse credenza alla sua simulata rassegnazione; fece credere al re che nelle lagrime sue avesse parte maggiore il pentimento del fallo che il dolor del castigo; e rassicurollo a segno che se non gli rese interamente la confidenza primiera, almeno non si guardava da lui. Incominciarono quindi Arpago a meditar le sue vendette ed Astiage le vie d’assicurarsi il trono con l’oppressione del creduto nipote. Il primo si applicò a sedurre, ad irritare i grandi contro del re ed ad eccitare il principe Cambise fino in Persia, dove viveva in esilio, il secondo a simular pentimento della sua crudeltà usata contro di Ciro, tenerezza per lui, desiderio di rivederlo e risoluzione di riconoscerlo per suo successore. Ed all’uno ed all’altro riuscì così felicemente il disegno, che non mancava ormai che lo stabilimento del giorno e del luogo ad Arpago per opprimere il tiranno con l’acclamazione del vero Ciro, ad Astiage per aver nelle sue forze il troppo credulo impostore col mezzo d’un fraudolento invito. Era costume de’ re di Media il celebrare ogn’anno su’ confini del regno, dov’erano appunto le capanne di Mitridate, un solenne sacrificio a Diana. Il giorno ed il luogo di tal sacrificio, che saran quelli dell’azione che si rappresenta, parvero opportuni ad entrambi all’esecuzione de’ loro disegni. Ivi per vari accidenti ucciso il finto Ciro, scoperto ed acclamato il vero, si vide Astiage assai vicino a perdere il regno e la vita; ma difeso dal generoso nipote, pieno di rimorso e di tenerezza depone su la fronte di lui il diadema reale e lo conforta sul proprio esempio a non abusarne come egli ne aveva abusato (Erodoto, Clio, libro I; Giustino, libro I; Ctesia, Historiae excerpta; Valerius Maximus, liber I, capitulum VII, eccetera).
    L’azione si rappresenta in una campagna su’ confini della Media.
 
 
 PERSONAGGI
 
 ASTIAGE re de’ Medi, padre di Mandane
 MANDANE moglie di Cambise, madre di Ciro
 CIRO sotto nome d’Alceo in abito di pastore, creduto figliuolo di Mitridate
 ARPAGO confidente d’Astiage, padre di
 ARPALICE confidente di Mandane
 MITRIDATE pastore degli armenti reali
 CAMBISE principe persiano, consorte di Mandane e padre di Ciro, in abito pastorale
 
    Comparse di nobili, guardie reali, soldati medi e paggi con Astiage, pastori e soldati persiani con Mitridate, soldati medi con Arpago, paggi con Mandane
 
 
 MUTAZIONI DI SCENE
 
    Nell’atto primo: campagna sui confini della Media sparsa di pochi alberi ma tutta ingombrata di numerose tende per comodo d’Astiage e della sua corte, da un lato gran padiglione aperto, dall’altro steccati per le guardie reali; parte interna della capanna di Mitridate con porta in faccia che unicamente v’introduce.
    Nell’atto secondo: vasta pianura ingombrata di ruine d’antica città, già per lungo tempo insalvatichite.
    Nell’atto terzo: montuosa; aspetto esteriore di magnifico tempio dedicato a Diana, fabbricato su l’eminenza d’un colle.
    Le suddette mutazioni furono rara invenzione del signor Giuseppe Galli Bibiena, primo ingegnere teatrale ed architetto di sua maestà cesarea e cattolica.
 
 
 BALLI
 
    Nell’atto primo di pastori e di ninfe. Si rappresenta una lotta, terminata la quale si corona il vincitore e si conduce in trionfo.
    Nell’atto secondo di soldati medi e di villani.
    Nell’atto terzo di nobili medi e persiani.
    Li suddetti balli furono vagamente concertati dal signor Alessandro Phillibois, maestro di ballo di sua maestà cesarea e cattolica, con l’arie per li suddetti balli del signor Niccola Matteis, direttore della musica instrumentale di sua maestà cesarea e cattolica.