Didone abbandonata, Venezia, Rossetti, 1725

 DIDONE ABBANDONATA
 
 
    Tragedia di Artino Corasio, pastore arcade, da rappresentarsi in musica nel teatro Tron di San Cassiano il carnevale dell’anno MDCCXXV, dedicata all’eccellentissime dame veneziane.
    In Venezia, appresso Marino Rossetti, in Merceria all’insegna della Pace, con licenza de’ superiori.
 
 All’eccellentissime dame veneziane l’autore
 
 SONETTO
 
    D’Italia onor non che del ciel natio
 figlie di semidei, madri d’eroi,
 dive dell’Adria che accendete in noi
 di gloria e di virtù nobil desio,
 
    questo consacra a voi l’ingegno mio
 frutto infelice de’ sudori suoi.
 Picciolo è il dono a paragon di voi,
 tutto è però quel che donar poss’io.
 
    Stupor già non pretendo o meraviglia
 destar nell’alme. Il fece in miglior guisa
 penna a cui troppo mal la mia somiglia.
 
    Mi basta sol che in rimirar divisa
 dal frigio pellegrin la tiria figlia
 dica alcuna di voi: «Povera Elisa!»
 
 
 ARGOMENTO
 
    Didone Elisa vedova di Sicheo dopo esserle stato ucciso il marito da Pigmalione suo fratello re di Tiro, fuggì con immense ricchezze in Africa dove comperato sufficiente terreno edificò Cartagine. Fu ivi richiesta in moglie da molti e particolarmente da Iarba re de’ Mori, e sempre ricusò, dicendo voler serbar fede al cenere dell’estinto consorte. Intanto Enea troiano, essendo stata distrutta la sua patria da’ Greci, mentre andava in Italia, fu portato da una tempesta nelle sponde dell’Africa e ricevuto e ristorato da Didone, la quale ardentemente se ne invaghì; ma mentre egli compiacendosi dell’affetto della medesima si tratteneva in Cartagine, fu dagli dei comandato che abbandonasse quel cielo e che proseguisse il suo camino verso Italia dove gli promettevano che doveva risorgere una nuova Troia. Egli partì e Didone disperatamente, dopo avere invano tentato di trattenerlo, si uccise. Tutto ciò si ha da Virgilio, il quale con un felice anacronismo unisce il tempo della fondazione di Cartagine agli errori di Enea. Da Ovidio nel terzo libro de’ Fasti si raccoglie che Iarba s’impadronisse di Cartagine dopo la morte di Didone e che Anna sorella della medesima, la quale chiameremo Selene, fosse occultamente anch’ella invaghita di Enea.
    Per commodità della rappresentazione si finge che Iarba, curioso di veder Didone, s’introduca in Cartagine come ambasciadore di sé stesso sotto nome di Arbace.
    Tutte l’espressioni di sensi e di parole che non convengono co’ dogmi cattolici o sono scritte per proprietà del carattere rappresentato o sono puri adornamenti poetici.
    La scena si finge in Cartagine.
 
 
 MUTAZIONI DI SCENE
 
    Nell’atto primo: luogo magnifico destinato per le publiche udienze con trono da un lato, veduta in prospetto della città di Cartagine che sta in atto edificandosi; cortile; tempio di Nettuno con simulacro del medesimo.
    Nell’atto secondo: apartamenti reali con tavolino; atrio; gabinetto con sedie.
    Nell’atto terzo: porto di mare con navi; arborata che conduce al porto; regia con veduta della città di Cartagine che poi s’incendia.
 
 
 INTERLOCUTORI
 
 DIDONE ELISA regina di Cartagine amante di Enea
 (la signora Marianna Benti Bulgarelli detta la Romanina)
 ENEA
 (il signor Nicola Grimaldi, cavaliere della croce di San Marco)
 IARBA re de’ Mori sotto nome di Arbace
 (la signora Lucia Lancetti)
 ARASPE confidente di Iarba e amante di Selene
 (il signor Domenico Gizzi, virtuoso della Real Cappella di Napoli)
 SELENE sorella di Didone Elisa e amante occulta di Enea
 (la signora Teresa Peruzzi detta la Denzia)
 OSMIDA confidente di Didone
 (il signor Pietro Baratti, servitor di sua altezza serenissima il signor duca di Massa)
 
    La musica è del signor Tomaso Albinoni.