Catone in Utica, Roma, Bernabò, 1728

 SCENA II
 
 MARZIA, ARBACE
 
 ARBACE
115Poveri affetti miei
 se non sanno impetrar dal tuo bel core
 pietà, se non amore.
 MARZIA
 M'ami Arbace?
 ARBACE
                               Se t'amo! E così poco
 si spiegano i miei sguardi
120che se il labro nol dice ancor nol sai?
 MARZIA
 Ma qual prova finora
 ebbi dell'amor tuo?
 ARBACE
                                       Nulla chiedesti.
 MARZIA
 E s'io chiedessi, o prence,
 questa prova or da te?
 ARBACE
                                           Fuor che lasciarti
125tutto farò.
 MARZIA
                      Già sai
 qual di eseguir necessità ti stringa
 se mi sproni a parlar.
 ARBACE
                                          Parla; ne brami
 sicurezza maggior? Su la mia fede,
 sul mio onor ti assicuro,
130il giuro ai numi, a que' begli occhi il giuro.
 Che mai chieder mi puoi? La vita? Il soglio?
 Imponi, eseguirò.
 MARZIA
                                    Tanto non voglio.
 Bramo che in questo giorno
 non si parli di nozze; a tua richiesta
135il padre vi acconsenta,
 non sappia ch'io l'imposi e son contenta.
 ARBACE
 Perché voler ch'io stesso
 la mia felicità tanto allontani?
 MARZIA
 Il merto di ubbidir perde chi chiede
140la ragion del comando.
 ARBACE
                                            Ah so ben io
 qual ne sia la cagion. Cesare ancora
 è la tua fiamma. All'amor mio perdona
 un libero parlar, so che l'amasti,
 oggi in Utica ei viene, oggi ti spiace
145che si parli di nozze, i miei sponsali
 oggi ricusi al genitore in faccia
 e vuoi da me ch'io ti ubbidisca e taccia?
 MARZIA
 Forse i sospetti tuoi
 dileguar io potrei ma tanto ancora
150non deggio a te. Servi al mio cenno e pensa
 a quanto promettesti, a quanto imposi.
 ARBACE
 Ma poi quegli occhi amati
 mi saranno pietosi o pur sdegnati?
 MARZIA
 
    Non ti minaccio sdegno,
155non ti prometto amor.
 Dammi di fede un pegno,
 fidati del mio cor,
 vedrò se m'ami.
 
    E di premiarti poi
160resti la cura a me
 né domandar mercé
 se pur la brami. (Parte)