Semiramide riconosciuta, Venezia, Buonarigo, 1729

 SCENA XIII
 
 SEMIRAMIDE, poi IRCANO e MIRTEO
 
 SEMIRAMIDE
 Sarà dunque Scitalce
 sposo a Tamiri! E tolerar lo deggio!
520Lo sia; qual cura io prendo
 d'un traditor! Potessi almen spiegarmi,
 dirgli ingrato, infedel; ma in gran periglio
 pongo me stessa. Ah che farò! Vorrei
 e parlare e tacer. Dubbiosa intanto
525e non parlo e non taccio,
 di sdegno avvampo e di timore aghiaccio.
 Principi i vostri affetti (Vedendo Ircano e Mirteo)
 son sventurati.
 MIRTEO
                              E donde il sai?
 SEMIRAMIDE
                                                           Tamiri
 scoperse il suo pensier.
 IRCANO
                                             Come?
 SEMIRAMIDE
                                                             Non giova
530consumare in querele il tempo invano.
 MIRTEO
 Che far possiamo?
 SEMIRAMIDE
                                     Ad un rival si lascia
 così libero il campo? Andate a lei,
 ditele i vostri affanni,
 pietà chiedete e se mercé bramate
535qualche stilla di pianto ancor versate.
 IRCANO
 Non è sì vile Ircano.
 MIRTEO
 A placar quell'ingrata il pianto è vano.
 SEMIRAMIDE
 
    Voi non sapete quanto
 giovi a destar faville
540quell'improviso pianto
 che versan due pupille
 in faccia al caro ben.
 
    Ogni bellezza altera
 va dell'altrui dolore;
545si rende poi men fiera
 e alfin germoglia amore
 alla pietade in sen.