Metrica: interrogazione
902 endecasillabi (recitativo) in Zenobia Q 
No, non m'inganno; è Radamisto. Oh come
le mie ricerche! Io ne vo in traccia; e 'l caso
solo, immerso nel sonno, in parte ignota
l'espone a' colpi miei. Non si trascuri
della sorte il favor. Mora. L'impone
l'istesso padre suo. Rival nel trono
ei l'odia, io nell'amor. Servo in un punto
al mio sdegno e al mio re. (In atto di snudar la spada)
                                                 Lasciami in pace. (Sognando)
                   Lasciami in pace, ombra onorata. (Si desta)
                        Zopiro? (Si leva)
                                         Oh prence invitto,
cura de' numi, amor dell'Asia e mio!
Ed è pur ver ch'io ti rivegga? Ah lascia
quella destra real.
                                   Qual tua sventura
quasi incogniti al sol guida i tuoi passi?
fuggo il furor.
                           Non l'oltraggiar. Rammenta
ch'è tuo re, ch'è mio padre. E di qual fallo
ti vuol punir?
                           D'esserti amico.
                                                           È giusto.
Tutti abborrir mi denno. Io, lo confesso,
son l'orror de' viventi e di me stesso.
Sventurato e non reo, signor, tu sei;
mi son noti i tuoi casi.
                                          Oh quanto ignori
della storia funesta!
                                      Io so che tutta
sollevata è l'Armenia e che ti crede
uccisor del suo re. Ma so che venne
dal padre tuo, ch'ei rovesciò l'accusa
sopra di te, che di Zenobia...
                                                     Ah taci.
l'anima mi trafiggi.
                                      Era altre volte
pur la delizia tua; so che in isposa
la bramasti...
                          E l'ottenni. Ah fui di tanto
tesoro possessor! Ma... Oh dio!
                                                         Tu piangi!
La perdesti? Dov'è? Parla; qual fato
Ah Zopiro, ella è morta ed io l'uccisi.
Giusti numi! E perché?
                                             Perché giammai
più barbaro di me. Perché non seppi
del geloso furor gl'impeti insani
mai raffrenar.
                            Nulla io comprendo.
                                                                   Ascolta.
creduto traditor, sai già che astretto
fui poc'anzi a fuggir. Lungo l'Arasse
presi il camin. La mia Zenobia, oh troppo
virtuosa consorte! ad ogni costo
volle meco venir; ma poi del lungo
al disagio non resse. A poco a poco
perdea vigor. Stanca, anelante, oppressa
già tardi mi seguia; già de' feroci
persecutori il calpestio frequente
mi cresceva alle spalle. «Io manco, o sposo»
mi dice alfin «salva te sol; ma prima
aprimi il seno e non lasciarmi esposta
all'ire altrui». Figurati il mio stato;
lagrimava e fremea, quando... ah Zopiro,
ecco il punto fatal! quando mi vidi
a fronte comparir le note insegne.
Le vidi, le conobbi e in un istante
non fui più mio. Mi rammentai gli amori
di Zenobia e di lui; pensai che allora
l'avrei difesa invan; lei mi dipinsi
fra le braccia al rival; tremai, m'intesi
gelar le vene ed avvampar; perdei
ogn'uso di ragion; non fui capace
fosca l'aria mi parve e doppio il sole.
E che facesti?
                           Impetuoso, insano
strinsi l'acciar. Della consorte in petto
l'immersi, indi nel mio. Di vita priva
nell'Arasse ella cadde, io su la riva.
Principessa infelice!
                                       Io per mia pena
al colpo sopravvissi. a' miei nemici
mi celò la caduta. Al nuovo giorno
pietosa man mi sollevò, mi trasse...
Ma tu non m'odi e torbido nel volto
pensi fra te! So che vuoi dir. Stupisci
che mi sostenga il suol, che queste rupi
non mi piombin sul capo. Ah son punito;
è giusto il ciel. M'han consegnato i numi
per castigo a me stesso al mio crudele
tardo rimorso.
                             (A trucidar quest'empio
non basto sol).
                             So che aprir deggio il varco
a quest'anima rea; ma pria vorrei
darle tomba e morir. L'ombra insepolta
erra per queste selve. Io me la veggo
sempre sugli occhi, io non ho pace. Andiamo;
andiamo a ricercar... (Incaminandosi)
                                         Ferma; che dici? (Arrestandolo)
ogni contorno e il tentaresti invano.
resta e m'attendi; alla pietosa inchiesta
                   Sì, caro amico, e poi...
Non più, fidati a me. Da questo loco
non dilungarti; io tornerò. Frattanto
modera il tuo dolor, pensa a te stesso,
quel volto oblia, non rammentar quel nome.
Oh dio, Zopiro, il vorrei far, ma come?
mie perdute speranze! Avrai, tiranno,
avrai la tua mercé. Co' miei seguaci
quindi non lungi ascosi, a trucidarti
di volo io tornerò. Quel core almeno,
quell'empio cor ti svellerò dal seno.
soffrir nol deggio, Egle amorosa. Io vado
fuggitiva, raminga; e chi sa dove
può guidarmi il destin? Se de' miei rischi
te conducessi a parte, al tuo bel core
troppo ingrata sarei. Facesti assai,
vivo per te. La tua pietà mi trasse
fuor del rapido Arasse; il sen trafitto
per tua cura sanò; dolce ricetto
mi fu la tua capanna; e tu mi fosti
consigliera e compagna. Io nel lasciarti
perdo assai più di te. Non lo vorrei;
ma non basta il voler. Presso al cadente
padre te arresta il tuo dovere e in traccia
me del perduto sposo affretta il mio;
facciamo entrambe il dover nostro; addio.
per queste selve... Il tuo coraggio ammiro.
Non è nuovo per me. Fanciulla appresi
le sventure a soffrir. Tre lustri or sono
che l'Armenia ribelle un'altra volta
a fuggir ne costrinse. E allor perdei
la minor mia germana. Oh lei felice
che morì nel tumulto o fu rapita!
Io per sempre penar rimasi in vita.
E vuoi con tanto rischio andare in traccia
d'un barbaro consorte?
                                            Ah più rispetto
d'ogni real virtù.
                                 Virtù reale
è il geloso furor?
                                Chi può vantarsi
senza difetti? Esaminando i sui
ciascuno impari a perdonar gli altrui.
Ma una sposa svenar...
                                           Reo non si chiama
chi pecca involontario. In quello stato
più Radamisto. Io giurerei che allora
m'assalì, mi trafisse e non mi vide.
Oh generosa! E ben, di lui novella
io cercherò; tu puoi restar.
                                                  No, cara
Egle, non deggio. A troppo rischio espongo
la gloria mia, la mia virtù.
                                                 Che dici?
Io lo so, non m'intendi. Or odi e dimmi
se temo a torto. Il giovanetto duce
che da lungi rimiri, è Tiridate,
germano al parto re. Prence finora
d'anima, di sembiante e di costumi.
Mi amò, l'amai. Senza rossor confesso
un affetto già vinto. Alle mie nozze
aspirò, le richiese; il padre mio
lieto ne fu. Ma perché seco a gara
le chiedea Radamisto, al mio fedele
impose il genitor ch'armi e guerrieri
ad implorar volasse, e reso forte
contro il rivale, all'imeneo bramato
tornasse poi. Partì; restai. Qual fosse
il nostro addio di rammentarmi io tremo;
prevedeva il mio cor ch'era l'estremo.
affrettava co' voti il suo ritorno,
sposa mi vuol, che a variar consiglio
lo sforza alta cagion, che s'io ricuso,
la gloria, i giorni suoi. Suddita e figlia
dimmi, che far dovea? Piansi, m'afflissi,
bramai morir; ma l'ubbidii. Né solo
la mia destra ubbidì; gli affetti ancora
a seguirla costrinsi. Armai d'onore
la mia virtù; sacrificai costante
di consorte al dover quello d'amante.
Ah nol permetta il ciel. Questo è il timore
che affretta il partir mio. Non ch'io diffidi,
Egle, di me. Con la ragion quest'alma
tutti, io lo sento, i moti suoi misura.
ma il contrasto è crudel. Né men del vero
evitar noi dobbiam; la gloria nostra
è geloso cristallo e debil canna
ch'ogni aura inchina, ogni respiro appanna.
Misero prence! E alla novella amara
che detto avrà?
                              L'ignora ancor. Mi strinse
segreto laccio a Radamisto. Ei torna
agl'imenei promessi.
                                        Oh numi! E trova
vedovo il trono, ucciso il re, scomposti
e Zenobia...
                        E Zenobia in braccio altrui.
Che barbaro destino!
                                         Or di', poss'io
espormi a rimirar l'acerbo affanno
d'un prence sì fedel? Che tanto amai?
Che tanto meritò? Che forse al solo
udir che d'altri io sono... Addio.
                                                           Mi lasci?
Sì, cara, io fuggo. È periglioso il loco,
le memorie, i pensieri.
                                            A chi fa oltraggio
l'innocente pietà...
                                    Temer conviene
l'insidie ancor d'una pietà fallace.
Addio; prendi un amplesso e resta in pace.
quanta pietà mi fai! Semplice, oscura,
per te oggetto è d'invidia! E a che servite,
o doni di fortuna? A che per voi
tanto sudar? Se quando poi sdegnato
difendete sì mal chi vi possiede?
Radamisto? Ove andò! Consorte? Il vidi,
tornai su l'orme sue ma per la selva
n'ho perduta la traccia. A questa parte
eran volti i suoi passi. Ah dove mai
sconsigliato s'aggira. Il loco è pieno
tutto de' suoi nemici. In tanto rischio
custoditelo, o dei. Che fo? M'inoltro?
Avventuro me stessa. Egle si trovi,
ella per me ne cerchi. Astri crudeli,
cominciate a placarvi, è tempo alfine.
Misera me! Da questa parte oh dio!
vien Tiridate. Oh come io tremo! Oh come
l'alma ho in tumulto! Il periglioso incontro
fuggi, fuggi, Zenobia. Il cupo seno
al suo sguardo m'asconda, infin che passi. (Si cela nella grotta)
Né ritorna Mitrane! Ah mi spaventa
la sua tardanza. Eccolo. Aimè! Che mesto,
che torbido sembiante! Amico, ah vola,
m'uccidi o mi consola. Il mio tesoro
qualche novella?
                                Ah Tiridate!
                                                         Oh dio!
Che silenzio crudel! Parla. È un arcano
la sorte di Zenobia? Ognuno ignora
che fu di lei, dove il destin la porta?
Ah purtroppo si sa.
                                     Che avvenne?
                                                                 È morta.
Santi numi del ciel!
                                      Quell'empio istesso,
la figlia anche svenò.
                                        Chi?
                                                    Radamisto
fu l'inumano.
                           Ah scellerato! E tanto...
No, possibil non è. Qual cor non placa
tanta bellezza! Ei ne languia d'amore;
non crederlo, Mitrane.
                                           Il ciel volesse
che fosse dubbio il caso. Ei dell'Arasse
sul margo la ferì; dall'altra sponda
cader la vide. A darle aita, a nuoto
corse ma invano; era sommersa. Ei solo
sopravvesta sanguigna. I detti suoi
la spoglia è di Zenobia ed io la vidi.
                        (Oh cimento!)
                                                     Agli occhi miei (Si appoggia ad un tronco)
manca il lume del dì.
                                        (Consiglio, o dei).
Principe, ardir. Con questi colpi i numi
fan prova degli eroi.
                                       Lasciami.
                                                           In questo
Di me, signor, che si direbbe?
                                                        Ah parti.
Dunque è morta Zenobia? E tu respiri,
sventurato cor mio? Per chi? Che speri,
che ti resta a bramar? Gli agi, i tesori,
la grandezza real, l'onor, la vita
m'eran cari per lei. Mancò l'oggetto
d'ogni opra mia, d'ogni mia cura. Il mondo
è perduto per me. No, stelle ingrate (Si leva)
dividermi per sempre. Ad onta vostra
m'unirà questo ferro all'idol mio. (Snuda la spada)
deh non varcar, dolce mia fiamma; aspetta
ecco... (Vuol ferirsi)
               Fermati. (Trattenendolo)
                                  Oh dei! (Rivolgendosi)
                                                   Fermati; e vivi. (Gli toglie la spada)
Guardati di seguirmi, io non son quella. (In atto di partire)
principe, te ne priego; e non potrebbe
chi la vita ti diè chiederti meno.
Ma possibil non è... (Seguendola)
                                      Resta; o mi sveno. (Risoluta in atto di ferirsi)
Eterni dei! Deh... (Arrestandosi)
                                   Se t'inoltri un passo,
su questo ferro io m'abbandono. (In atto di ferirsi)
                                                             Ah ferma.
M'allontano, ubbidisco. Odi; ove vai?
Ah Zenobia crudel!
                                     Zenobia è morta. (Parte)
Principessa, idol mio, sentimi... Oh stelle,
che far degg'io? Né seguitarla ardisco
né trattener mi so. Questo è un tormento,
                  Signor, gli ambasciadori armeni
giunsero d'Artassata.
                                        Ah mio fedele,
sieguila tu per me.
                                    Chi?
                                                Vive ancora,
ancor del chiaro dì l'aure respira.
Ma chi, prence?
                               Zenobia.
                                                  (Aimè! Delira).
Oh dio! Perché t'arresti? Ecco il sentiero,
quelle son l'orme sue.
                                         Ma...
                                                     S'allontana (Con impazienza)
Vado. (Oh come il dolor confonde i sensi!) (Parte)
Non so più dov'io sia. Sì strano è il caso
che parmi di sognar. Come s'accorda
con quel rigor? M'odia Zenobia o m'ama?
Se m'ama, a che mi fugge? Io d'ingannarmi
quasi dubiterei; ma quel sembiante
tanto impresso ho nell'alma... E non potrebbe
simile a lei? Di sì bell'opra forse
e in due l'idea ne replicò natura.
siete quei del mio ben. Voi sol potete
risvegliarmi nel cor; non diè quest'alma
tanto dominio in sugli affetti suoi,
care luci adorate, altro che a voi.
s'io stesso l'ascoltai. N'ho viva ancora
l'idea sugli occhi; ancor la nota voce
mi risuona sul cor. Zenobia è in vita;
Mitrane, io non sognai.
                                            Signor, gli amanti
sognano ad occhi aperti. Anche il dolore
confonde i sensi e la ragion. Si vede
talor quel che non v'è; ciò ch'è presente
non si vede talor. L'alma per uso
l'idea che la diletta a sé dipinge;
e ognun quel che desia facil si finge.
Ah seguita io l'avrei; ma quel vederla
già risoluta a trapassarsi il petto
gelar mi fe'.
                        Pensa alla tua grandezza,
o mio prence, per or. T'offron gli Armeni
il vuoto soglio e chiedono in mercede
di Radamisto il capo. Occupa il tempo
or che destra è fortuna. I suoi favori
sai che durano istanti.
                                          In ogni loco
Radamisto si cerchi. Il traditore
punir si dee. Né contro lui m'irrita
già la mercé; bramo a Zenobia offesa
offrire il reo.
                          Dunque ancor speri?
                                                                  Ad una
ne richiesi poc'anzi. Egle è il suo nome;
questa è la sua capanna. Avrem da lei
qualche lume miglior.
                                          Ma che ti disse?
              E tu speri!
                                    Sì. Mi parve assai
mi guardava, arrossia, parlar volea,
cominciava a spiegarsi e poi tacea.
basta a farvi sperar!
                                       Con Egle io voglio
parlar di nuovo. A me l'appella.
                                                          Il cenno
pronto eseguisco. (Entra nella capanna)
                                   Oh che crudel contrasto
giusti numi, ho nel sen! Non v'è del mio
stato peggior.
                           La pastorella è altrove; (Tornando)
solitario è l'albergo.
                                      Infin che torni
l'attenderò. Vanne alle tende.
                                                       È vana
la cura tua. Quella sanguigna spoglia
ch'io stesso rimirai...
                                        Crudel Mitrane,
io che ti feci mai? Deh la speranza
non mi togliere almen.
                                           Spesso la speme,
principe, il sai, va con l'inganno insieme. (Parte)
guidalo a me. conoscerai lo sposo
a' segni ch'io ti diedi. In queste selve
certamente ei dimora. Infin che torni
me asconderà la tua capanna. Io tremo
con Tiridate; il primo assalto insegna
il secondo a fuggir.
                                    Degna di scusa
veramente è chi l'ama. Io mai non vidi
più amabili sembianze.
                                             Ove il vedesti?
Poc'anzi in lui m'avvenni. Ei, che a ciascuno
a me pur ne richiese.
                                         E tu?
                                                      Rimasi
stupida ad ammirarlo. I dolci sguardi,
la favella gentil...
                                 Questo io non chiedo,
Egle, da te; non risvegliar con tante
la guerra nel mio cor. Dimmi se a lui
scopristi la mia sorte.
                                         Il tuo divieto
mi rammentai; nulla gli dissi.
                                                        Or vanne,
torna a me col mio sposo; e cauta osserva
la legge di tacer.
                                Volendo ancora,
son muti a lui vicino i labbri miei.
Povero cor, t'intendo; or che siam soli
di poterti lagnar. No; le querele
effetto son di debolezza. Io temo
quel di me stessa; ed in segreto ancora
m'arrossirei d'esser men forte. Ah voi
tanta virtù, non l'esponete, o numi,
al secondo cimento. A farne prova
basti un trionfo. A Tiridate innanzi
mai più non mi guidate. E con qual fronte
dirgli che d'altri io son! Contro il mio sposo
temerei d'irritarlo; il suo dolore
vacillar mi farebbe... Ah se tornasse
quindi a passar! Fuggasi il rischio. Asilo
mi sia questa capanna. Aimè! Chi mai
veggo... O il timor ch'ho nella mente impresso
mi finge... Oh stelle! È Tiridate istesso.
Senti. Or mi fuggi invan; dovunque andrai
al tuo fianco sarò. (Volendo seguirla)
                                   Ferma. Ti sento.
Ah Zenobia, Zenobia!
                                         Ecco il cimento.
Sei tu? Son io? Così mi accogli? È questo,
principessa adorata, il dolce istante
che tanto sospirai? Sol di due lune
a cangiarti bastò? Che freddo è quello,
che composto sembiante? Ah chi l'usate
È sdegno? È infedeltà? No, di sì nera
taccia non sei capace; io so per prova
teco a restar questi momenti, almeno
non si spendano invan.
                                            Dunque ti spiace...
Sì, mi spiace esser teco. Odimi e dammi
prove di tua virtù.
                                   Tremo.
                                                   I legami
de' reali imenei per man del fato
si compongono in ciel. Da' voti nostri
non dipende la scelta. Io, se le stelle
conceduto l'arbitrio, in Tiridate
chi rendesse felici i giorni miei.
Ma questo esser non può. Da te per sempre
mi divide il destin. Piega la fronte
al decreto fatal. Vattene in pace
ed in pace mi lascia. Agli occhi miei
non offrirti mai più. Sì gran periglio
alla nostra virtù, prence, si tolga;
questa già ci legò; questa ci sciolga.
Assistetemi, o dei. Dunque io non deggio
mai più sperar...
                                 Che più sperar non hai.
t'invola a me? Qual fallo mio...
                                                         Non giova
che a sollevar gli affetti nostri; e noi
soggiogarli dobbiamo. Addio. Già troppo
mi trattenni con te. Non è tua colpa
la cagion che ne parte o colpa mia;
questo ti basti e non cercar qual sia.
tranquillità parlar così? Non sai
la mia vita sei tu, che s'io ti perdo
tutto manca per me, che non ebb'io
altro oggetto finor...
                                      Principe, addio. (Vuol partire)
                      Non deggio.
                                              Odiarmi tanto!
Ah signor, se t'odiassi, io resterei.
Temo la tua presenza; ella è nemica
del mio dover. La mia ragione è forte;
ma il tuo merito è grande. Ei basta almeno
se non basta a sedurlo. Oh dio! Nol vedi
che innanzi a te... che rammentando... Ah parti.
la mia, la tua virtù. Sì; te ne priego
per tutto ciò ch'hai di più caro in terra
o di più sacro in ciel, per quell'istesso
tenero amor che ci legò, per quella
bell'alma ch'hai nel sen, per questo pianto
che mi sforzi a versar, lasciami, fuggi,
evitami, signore.
                                 E non degg'io
rivederti mai più?
                                    No, se la pace,
no, se la gloria mia, prence, t'è cara.
Oh barbara sentenza! Oh legge amara!
Zenobia insieme e Tiridate! E come
ella in vita tornò? Perché da lui
si divide piangendo? Ah l'ama ancora.
la rigida Zenobia... E v'è rigore
che d'un tenero amor regga alla prova?
aver rivale e non saper qual sia!
vien Radamisto. I miei seguaci ho meco;
non differiam più la sua morte. Ei forse
già dubita di me; là non mi attese
dove il lasciai. Ma se Zenobia è amante
di Tiridate, un gran nemico io scemo
al rival favorito. Ah se potessi
irritargli fra lor, ridurre entrambi
a distruggersi insieme e 'l premio intanto
meco rapir di lor contese, un colpo
sarebbe inver d'arte maestra. Almeno
si maturi il pensier. Fra quelle piante
celatevi, o compagni. Eccolo; all'opra...
che sia solo attendiam. (Si nasconde)
                                            Non ingannarmi,
cortese pastorella. Il farsi giuoco
degl'infelici è un barbaro diletto
troppo indegno di te.
                                        No, non t'inganno;
vive la sposa tua. Trafitta il seno
io dall'onde la trassi e con periglio
di perir seco.
                          Oh amabil ninfa! Oh mio
nume liberator! Dunque si trova
tanta pietà ne' boschi? Ah sì la vera
virtù qui alberga; il cittadino stuolo
sol la spoglia ha di quella o il nome solo.
vado Zenobia ad avvertir. (Entra nella capanna)
                                                 M'affretto
impaziente a rivederla e tremo
di presentarmi a lei. M'accende amore,
il rimorso m'agghiaccia.
                                              In altra parte (Tornando)
Zenobia andò. Non la ritrovo.
                                                       Oh dei!
Non ti smarrir, ritornerà. Va in traccia
forse di noi.
                        No; m'abborrisce, evita
d'incontrarsi con me. Non la condanno;
è giusto l'odio suo. Minor castigo,
Egle, non meritai.
                                   Zenobia odiarti!
Abborrirti Zenobia! Ah mal conosci
la sposa tua. Questo timore oltraggia
di quante mai qualunque età n'ammira.
non trema che per te. Difende, adora
fin la tua crudeltà. Chi crede a lei
la man che la ferì chiama pietosa.
Deh corriamo a cercarla. a' piedi suoi
di pentimento e di rossor.
                                                 La perdi
forse, se t'allontani.
                                     Intanto almeno
va' tu per me. Deh non tardar. Perdona
l'intolleranza mia. Sospiro un bene
ch'io so quanti mi costi e pianti e pene.
principessa fedel! Chi udì, chi vide
maggior virtù? Voi che oscurar vorreste
la gloria femminil, ditemi voi
se han virtù più sublime i nostri eroi.
t'aggiri mai? Così m'attendi?
                                                       Ah vieni,
vieni a goder. La mia Zenobia...
                                                           È in vita,
            Lo sai?
                            Così mi fosse ignoto.
                 Perché... Non lo cercar. Di lei
scordati, Radamisto; è poco degna
dell'amor tuo.
                            Ma la cagion?
                                                       Che giova
affliggerti, o signor?
                                       Parla; m'affliggi
più col tacer.
                          Dunque ubbidisco. Io vidi
la tua sposa infedel... Ma già cominci
principe a impallidir! Perdona; è meglio
ch'io taccia.
                        Ah se non parli... (Minacciando)
                                                         E ben, tu il vuoi;
non lagnarti di me. Poc'anzi io vidi
la tua sposa infedel; parlar d'amore
gli udii celato. Ei rammentava a lei
le sue promesse; ella giurava a lui
che l'antica nel sen fiamma segreta
ognor più viva...
                                Ah mentitor, t'accheta.
Io conosco Zenobia; ella è incapace
di tal malvagità.
                                Tutto degg'io
da te soffrir; ma la mia pena, o prence,
non meritò questa mercé. Tu stesso
a parlar mi costringi e poscia...
                                                         Oh dio!
Non vorrei dubitar.
                                      Senza ch'io parli,
ch'ella fugge da te? Forse non sai
più di sé stessa e che un amor primiero
mai non s'estingue?
                                       Ah che purtroppo è vero.
(Già si spande il velen).
                                             Numi! E a tal segno
son le donne incostanti? Oh fortunati
s'è pur ver che da' tronchi al dì nasceste!
ebbe il cor di Zenobia; e finch'ei viva,
signor, l'avrà.
                           L'avrà per poco. Io volo
a trafiggergli il sen.
                                     Ferma. Che speri?
t'esponi invan. Se in solitaria parte,
lungi da' suoi trar si potesse...
                                                        E come?
il colpo assicurar.
                                  Ma il furor mio
non soffre indugi.
                                   Ascolta. Un finto messo
a nome di Zenobia in loco ascoso
farò che il tragga.
                                  E s'ei diffida? Almeno
d'uopo sarebbe accreditar l'invito
con qualche segno... Ah taci; eccolo, prendi
quest'anel di Zenobia. A lei partendo
il donò Tiridate; ed essa il giorno
de' fatali imenei, quasi volesse
affatto ogni memoria, a me lo diede.
se fummi allor, fido stromento adesso
sia di vendetta.
                              (Oh sorte amica!) Attendi
dove pria t'incontrai.
                                        Ma...
                                                    Della trama
Ricordati ch'ho in sen tutto l'inferno.
Oh che illustre vittoria! I miei nemici
per me combatteranno; ed io tranquillo
Zenobia acquisterò. Miei fidi, udite; (Escono i suoi seguaci)
andate a circondar. Colà verranno
e Tiridate e Radamisto. Ascosi
lasciateli pugnar; ma quando oppresso
cada un di loro, il vincitor già stanco
resti da voi trafitto. Andate e meco
qualcun rimanga. A Tiridate or deggio (Partono i seguaci a riserva di pochi)
il messaggio inviar. Ma i miei non sono
atti a tal opra; ei scoprirebbe... È meglio
che una ninfa o un pastor... Ma non è quella
che giunge... Oh fausti dei! Vedete, amici,
quella è Zenobia; io la consegno a voi.
Con forza o con inganno allorch'io parto
conducetela a me. Più non avrei
or che bramar, se fosse mio quel core,
saper chi mel contende. Ambo i rivali
morranno, è ver; ma l'odio mio fra loro
determinar non posso; e l'odio incerto
scema il piacer della vendetta. Io voglio
scoprir l'arcano. Una menzogna ho in mente
che l'istessa Zenobia a dirmi il vero
Tu in Armenia, o Zopiro?
                                                Ah principessa,
giungi opportuna. Un tuo consiglio io bramo
anzi un comando tuo. D'affar si tratta
che interessa il tuo cor.
                                            Del mio consorte
or vado in traccia.
                                   Il perderlo dipende
o il trovarlo da te.
                                  Che!
                                              Senti. Io deggio
inevitabilmente o a Radamisto
dar morte o a Tiridate.
                                           Ah...
                                                      Taci. Il primo
già da' miei fidi è custodito; e l'altro
da un finto messo, a nome tuo, con questa
gemma per segno, ove l'insidia è tesa
tratto sarà.
                      Donde in tua man...
                                                            Finisci
pria d'ascoltar. Qual di lor voglio io posso
uccidere o salvar. L'arbitrio mio
dal tuo dipenderà. Tu l'uno amasti,
sei sposa all'altro. In vece mia risolvi;
qual vuoi condanna e qual ti piace assolvi.
Dunque... Misera me! Qual empio cenno?
Per qual ragion? Chi ti costringe...
                                                               È troppo
lungo il racconto e scarso il tempo. Assai
ne perdei te cercando. Apri il tuo core
e lasciami partir.
                                 Numi! E tu prendi
sì scellerato impiego ed inumano?
Il comando è sovrano e a me la vita
costeria trasgredito.
                                      E qual castigo,
qual premio o quale autorità può mai
render giusta una colpa?
                                               Addio. Non venni
teco a garrir. Nella proposta scelta
vedesti il mio rispetto. A mio talento
risolverò. (Finge voler partire)
                     Ferma.
                                     Che brami?
                                                             Io... Pensa...
(Assistetemi, o dei).
                                       T'intendo, io deggio
senza che parli; è privilegio antico
già delle belle. Il so; tu Radamisto
hai ragion d'abborrir. Gl'impeti suoi,
le ingiuste gelosie, l'empia ferita
note mi son. Basta così. Fra poco
vendicata sarai. (In atto di partire)
                                Perfido, e credi
sì malvagia Zenobia? Un sì perverso
disegno in me...
                               Non ti sdegnar; l'errore
nacque dal tuo silenzio. Olà guidate (Ai seguaci)
la principessa al suo consorte... Io volo
Tiridate a svenar. (Come sopra)
                                   Sentimi. O numi,
la mia virtù voi riducete a prove
troppo crudeli. Io di mia bocca, io stessa
condannar Tiridate! E che mi fece
quell'anima fedel? Come poss'io...
Dubiti ancor?
                            No, non è dubbio il mio.
So chi deggio salvar ma di sua vita
m'inorridisce il prezzo.
                                            A me non lice
più rimaner. Decidi o parto.
                                                     Aspetta
solo un istante. Ah tu potresti...
                                                          Il tempo
perdiamo inutilmente. O l'uno o l'altro
                       Dunque perisca... (Oh dio!)
Dunque salvami...
                                   Chi?
                                               Salvami entrambi,
se pur vuoi ch'io ti debba il mio riposo;
e se entrambi non puoi, salva il mio sposo.
(Ah Radamisto adora). E vuoi la morte
Salva il mio sposo e non mi dir chi muore.
E vivi e spiri e pronunciar potesti,
donna crudel, sì barbaro decreto
senza morir! Né mi scoppiasti in seno,
ingratissimo cor! Dunque... Che dici,
folle Zenobia! Il tuo dover compisti;
e ti lagni e ne piangi! Ah questo pianto
scema prezzo al trionfo. È colpa eguale
e un ben che si detesti. È ver; ma intanto
muor Tiridate, io lo condanno e forse
or chiamandomi a nome... Ah dei clementi,
difendetelo voi. Salvar lo sposo
eran le parti mie; le vostre or sono
protegger l'innocenza. Han dritto in cielo
d'un'anima fedel. Né col mio pianto
rea d'alcun fallo innanzi a voi son io;
vien da limpida fonte il pianto mio.
Chi ti diè quella gemma?
                                                Uno straniero
ch'io non conosco.
                                   Ed a qual fin?
                                                               M'impose
con questo segno e di Zenobia a nome
d'invitar Tiridate.
                                   Andasti a lui?
certamente è una frode.
                                             (Ah di costei
scelta peggior). Ma del messaggio il peso
a che dunque accettasti?
                                              Affin che un'altra
non l'eseguisse.
                               (Or la cagion comprendo
per cui finor nel destinato loco
atteso invano ho Tiridate).
                                                  Io vado
Zenobia ad avvertir. (In atto di partire)
                                        No. Senti; a lei
narrar non giova...
                                    Anzi ignorar non deve
la gloria di fedele.
                                   E tu che sai
d'indegno il nome o di fedel?
                                                       Che! Dunque
puoi dubitar...
                             Non è più dubbio...
                                                                  Ah taci.
Orror mi fai.
                          Sappi...
                                           Lo so; non merti
tanto amor, tanta fede.
                                           Io son...
                                                            Tu sei
un barbaro, un crudel. (In atto di partire)
                                            Se puoi, dilegua
dunque il sospetto mio. (Seguendola)
                                              No. Quel sospetto
sempre per pena tua ti resti in petto. (Parte)
Ma convincimi almen, sentimi... Oh dio!
A chi creder degg'io? Zopiro afferma
che Zenobia è infedele; Egle sostiene
che son vani i sospetti ond'io deliro.
Giusti dei, chi m'inganna, Egle o Zopiro?
gelosia, del mio cor furia tiranna;
tu mi vai replicando: «Egle t'inganna».
Ma dove andiam? (Di dentro)
                                    Qual voce udii! La sposa
giurerei che parlò. Vien quindi il suono;
cerchisi. Oh sorte alle mie brame arridi! (Nell’entrar Radamisto per la parte donde ascoltò la voce, escono poco lontano non veduti da lui Zenobia e Zopiro)
E non posso saper dove mi guidi?
Sieguimi, non temer.
                                         (Qualche sventura
il cor mi presagisce). (Arrestandosi sospettosa)
                                         (Eccola. È seco
Zopiro. Udiam s'egli è fedel). (Resta in disparte)
                                                        Che fai?
Vieni; al tuo sposo io ti conduco.
                                                            E quando
poco lontan mel figurasti. Io teco
per sì strani sentieri e ancor nol miro.
Pur l'hai presente.
                                    Io l'ho presente? Oh dio!
Come? Dov'è?
                             Lo sposo tuo son io.
Numi! (Sorpresa)
                (Ah mora il fellon... No; pria bisogna
E tu di Radamisto alla consorte
osi parlar così?
                              Di Radamisto
alla vedova io parlo.
                                      Aimè! Non vive
dunque il mio sposo?
                                         Ad incontrar la morte
già l'inviai.
                       (Fremo).
                                          Ah spergiuro! Adempi
così le tue promesse?
                                         E in che mancai?
che per legge sovrana o Radamisto
perir doveva o Tiridate?
                                              Il dissi.
Che un sol di loro a scelta mia potevi
e m'offrivi salvar?
                                   Sì.
                                           Non ti chiesi
del consorte la vita?
                                      È vero ed io
e uno sposo in Zopiro a te serbai.
(Più non so trattenermi).
                                                Oh sventurato!
Oh tradito mio sposo!
                                          Invan lo chiami;
Menti. Per tuo castigo ei vive ancora. (Palesandosi)
                        Ah consorte!
                                                 Indegno, infido,
così... (Snuda la spada e vuole assalir Zopiro)
              T'arresta o che Zenobia uccido. (Impugnando con la destra uno stile in atto di ferirla e tenendola con la sinistra)
Che fai! (Fermandosi)
                  Misera me!
                                          Non so frenarmi,
                  Se muovi il piè, Zenobia è morta.
salva la gloria mia. Le sue minacce
non ti faccian terror. Si versi il sangue,
dal trafitto mio sen; sciolgasi l'alma
dal carcere mortal, purché si scioglia
senza il rossor della macchiata spoglia.
Oh parte del mio core! Oh vivo esempio
d'onor, di fedeltà, dove, in qual rischio,
in qual man ti ritrovo! Oh dio! Zopiro
senso d'umanità, pietà di noi.
Rendimi la mia sposa. Io, tel prometto,
vendicarmi non voglio. Io ti perdono
tutti gli eccessi tuoi.
                                      No; non mi fido.
             Il giuro agli dei...
                                              Parti o l'uccido.
Ah fiera, ah mostro, ah delle furie istesse
furia peggior! Da quell'infame petto
voglio svellerti... (Avanzandosi)
                                 Osserva. (In atto di ferire)
                                                   Ah no. Ma dove, (Ritirandosi)
dove son io! Chi mi consiglia? Ah sposa...
Ah traditor... Che affanno! A un tempo istesso
mi straccia il cor la tenerezza e l'ira.
Tu Zenobia, vien meco; e tu, se estinta
guardati di seguirci. (A Radamisto)
                                        Al mio furore
cede già la pietà.
                                 Vieni. (A Zenobia)
                                               E lo sposo
m'abbandona così!
                                     No. Cadi ormai... (Volendo assalir Zopiro)
E tu mori. (In atto di ferir Zenobia)
                      Odi, aspetta.
                                                Empio, che fai! (Trattenendo Zopiro)
               Cedimi il ferro. (Procura levargli lo stile)
                                              Ah son perduto. (Lascia lo stile e fugge)
Perfido invan mi fuggi. (Seguendolo furioso)
                                             Ove t'affretti,
Già t'involi da me?
                                     Principe... Oh dio!
Ti pregai d'evitarmi.
                                        Ah quale arcano
mi si nasconde? Ubbidirò; ma dimmi
perché mi fuggi almen.
                                            Tutto saprai
pria di quel che vorresti. Addio.
                                                           Perdona;
deggio seguirti.
                               Ah no.
                                              Pur or ti vidi
in troppo gran periglio. Io non conosco
chi t'assalì, chi ti difese; e sola
lasciarti in rischio a gran rossor mi reco.
Il mio rischio più grande è l'esser teco. (Partendo)
Ma ch'io non possa almen... (Vuol seguirla)
                                                     Lasciami in pace,
per pietà lo dimando. È questa vita
dono della tua man, grata ti sono;
perché, signor, vuoi funestarmi il dono?
Non intendo Zenobia e non intendo
ormai quasi me stesso. Ella mi scaccia
e perché non vuol dirmi. Offeso io sono
e con lei non mi sdegno e non ardisco
di crederla infedel. Suona in que' labbri,
in quelle ciglia un non so che risplende
che rigetta ogni accusa e lei difende.
Signor, liete novelle; è Radamisto
tuo prigionier.
                             Dove il giungesti?
                                                                Ei venne
per sé stesso a' tuoi lacci.
                                               E come?
                                                                 Appresso
a un guerrier fuggitivo entrò l'audace
fin dentro alle tue tende. Incontro a mille
dell'orrenda ira sua cercò l'oggetto,
lo vide, il giunse e gli trafisse il petto.
                      Tutto non dissi. Uscir dal vallo
sperò di nuovo e l'intraprese e forse
conseguito l'avria; ma rotto il ferro
l'abbandonò nel maggior uopo. E pure
cresca contro di lui l'infesta piena,
egli è solo ed inerme; e cede appena.
qui rimirai l'empio sarà.
                                               La vita
di Radamisto ecco in tua man.
                                                         (Che sento!)
Punisci il traditor.
                                   Sì, andiam. (Vuol partire)
                                                           T'arresta.
Prence, ove corri? Incrudelir non dei
contro quell'infelice.
                                       E te chi muove
d'un perfido in difesa?
                                            Io non lo credo,
signor, sì reo.
                           Ma di Zenobia il padre
a tradimento oppresse.
                                            E poi la figlia
tentò svenar. Non m'ingannò chi vide
l'atto crudel.
                         Pensaci meglio. A tutto
prestar fé non bisogna; e co' nemici
più bella è la pietà.
                                     Le proprie offese
posso obliar; ma di Zenobia i torti
perdonargli io non posso. A lei quel sangue
si deve in sacrificio.
                                      Io t'assicuro
ch'ella nol chiede.
                                  E non richiesto appunto
ha merito il servir. (Vuol partire)
                                     Fermati, oh dei!
Credi, non parlo invan. S'ami Zenobia,
Radamisto rispetta; il troppo zelo
tu vuoi servirla; e le trafiggi il core.
Ma perché? L'ama forse?
                                                Ella... Se brami...
Io dovrei... (Troppo dico).
                                                 Ah ti confondi!
Mitrane, io son di gel. Fu Radamisto
già mio rival. Sta in queste selve ascoso
dov'è Zenobia ancora. Ei la difende,
ella il volea seguir. Me più non cura,
Egle m'avverte... Ah per pietà palesa,
pastorella gentil, ciò che ne sai.
Altro dir non poss'io. Già dissi assai.
mi si aggrava sul cor? Che tormentoso
dubbio è mai questo? Io non ho più riposo.
pietà sento di lui! Qual pena io provo
nel vederlo penar! Quel dolce aspetto,
quel soave parlar, del suo tormento
chiama a parte ogni cor. Sì degno amante
merita miglior sorte. Oh s'io potessi
renderlo più felice!
                                     Assai pietosa,
Egle, mi sembri. Ei di pietade è degno;
ma la pietà che mostri eccede il segno.
parmi più che pietà. Ma che pretendi,
Egle infelice? A troppo eccelso oggetto
sollevi i tuoi pensieri; alle capanne
il ciel ti destinò. La fiamma estingui
e se a tanto non giungi, ardi ma taci.
d'Egle i detti intendesti. È Radamisto
di Zenobia l'amor. Quando l'intese
tuo prigioniero, impallidì, sen corse
frettolosa alle tende; a lui l'ingresso
ardì cercar; ma non le fu permesso.
non so crederlo ancora.
                                            A lei fra poco
lo crederai. Del prigionier la vita
a dimandarti ella verrà.
                                             Che ardisca
d'insultarmi a tal segno?
                                               A te dinanzi
giunta di già saria; ma due guerrieri,
a lei recano un foglio, a gran fatica
la ritengon per via.
                                     No no, l'ingrata
non mi venga sugli occhi; io non potrei
più soffrirne l'aspetto.
                                          Eccola.
                                                         Oh dei!
lode al ciel, si scoperse. Alfin palese
la sublime cagion. Parla, che vuoi?
Non t'arrossir. Di Radamisto il merto
scusa l'infedeltà. Libero il chiedi?
Lo brami sposo? Ho da apprestar le tede
al felice imeneo?
                                 Signor...
                                                   Tiranna!
Barbara! Menzognera! Il premio è questo
del tenero amor mio? Così tradirmi?
E per chi giusti dei! Per chi d'un padre
ti privò fraudolento; e poi...
                                                    T'inganni;
mentì la fama.
                             È ver; da Farasmane (A Tiridate)
il colpo venne. Il perfido Zopiro
il palesò morendo.
                                    E tu dai fede
a un traditor?
                            Sì. Lo conferma un foglio
ch'ei seco avea; del tradimento in esso
son gli ordini prescritti e Farasmane
di sua mano il vergò.
                                        Vedi se a torto...
Taci. Il tuo amor per Radamisto accusi,
mentre tanto il difendi.
                                             È vero, io l'amo,
non pretendo celarlo. Il suo periglio
qui mi conduce. A liberarlo io vengo,
vengo a chiederlo a te; ma reco il prezzo
della sua libertà. D'Armenia il soglio
m'offre Roma di nuovo; in mio soccorso
mossero dalla Siria; al soglio istesso
te pur chiaman gli Armeni. Io, se tu vuoi,
rendimi Radamisto, abbiti il regno.
invero il sacrificio è generoso.
Ma eccessivo non è per uno sposo.
               Appunto.
                                   Ed è vero? E un tal segreto
mi si cela finor?
                                Contro il consorte
dubitai d'irritarti; il tuo temei
giusto dolor; non mi sentia capace
d'esserne spettatrice; e almen da lungi...
Oh ingratissima donna! A chi fidarsi?
A chi creder, Mitrane? È tutto inganno
Zenobia mi tradì; non v'è più fede.
quella che ti tradì; fu il ciel nemico,
fu il comando d'un padre. Io non so dirti
cambiar lo fe'; so che partisti; e ad altro
sposo mi destinò.
                                  Né tu potevi...
Che potevo infelice? «E regno e vita
e onor» mi disse «a conservarmi, o figlia,
ecco l'unica strada». Or di'; che avresti
saputo far tu nel mio caso?
                                                  Avrei
saputo rimaner di vita privo.
Io feci più; t'ho abbandonato e vivo.
che a far breve il mio duol. Te ucciso avrei,
disubbidito il padre.
                                        I nuovi lacci
però non ti son gravi. Assai t'affanni
per salvar Radamisto. Egli ha saputo
lusingare il tuo cor. Fu falso, il vedo,
che svenarti ei tentò.
                                        Fu ver; ma questo
non basta a render gravi i miei legami.
                       No.
                                 Tentò svenarti e l'ami?
che m'offri per salvarlo in prezzo un regno?
Sì, Tiridate; e s'io facessi meno
l'obbligo di consorte, i santi numi
che fur presenti all'imeneo, te stesso,
te, prence, io tradirei. Dove sarebbe
quel puro cor che in me ti piacque? Indegna,
dimmi, allor non sarei d'averti amato?
Quanta, ahi quanta virtù m'invola il fato!
da somiglianza amor, perché combatti
col tuo dolor questa virtù? L'imita;
la supera, signor. Tu il puoi; conosco
dell'alma tua tutto il valor. Lasciamo
le vie de' vili amanti. Emula accenda
fiamma di gloria i nostri petti. Un vero
contento avrem nel rammentar di quanto
fummo capaci. E apprenderà la terra
frutti sol di virtù produce amore.
Corri, vola, Mitrane; a noi conduci
libero Radamisto. Oh come volgi,
gran donna, a tuo piacer gli altrui desiri!
specie d'ardor che 'l primo estingue. Invidio
già il tuo gran cor; bramo emularlo; ho sdegno
di seguirti sì tardo; altro mi trovo
da quel che fui. Non t'amo più; t'ammiro,
ti rispetto, t'adoro; e se pur t'amo,
imitator de' puri tuoi costumi
t'amo come i mortali amano i numi.
Grazie, o dei protettori; or più nemici
non ha la mia virtù. Vinsi il più forte
ch'era il pensier del tuo dolor. Va', regna,
prence, per me; ne sei ben degno.
                                                               Ah taci;
non m'offender così. Prezzo io non chiedo
cedendo la cagion del mio bel foco;
e se prezzo chiedessi, un regno è poco.
lascia che a questo seno...
                                                Egle, che dici?
                        Egle non più; la tua perduta
Arsinoe io son. Questa vermiglia osserva
nota che porta al manco braccio impressa
ciascun di nostra stirpe.
                                             È vero!
                                                             Oh stelle!
Quante gioie in un punto! E donde il sai?
credei finora. Ei da' ribelli armeni
m'ebbe bambina; e per soverchio amore
più non mi rese. Or di Zenobia i casi
sente narrar, sa che tu sei. Né il seppe
da me; ti serbai fede. O l'abbian mosso
le tue sventure o che al suo fin vicino
onor de' miei natali, a sé mi chiama,
lagrimando mi svela e a te m'invia.
                       Deh Tiridate...
                                                    Ah vieni,
vieni, o signore. Ecco, Zenobia, il tanto
tuo cercato consorte. Io te lo rendo.
Perdono, sposa.
                               E di qual fallo?
                                                             Oh dio!
Il mio furor geloso...
                                       Il tuo furore
per eccesso d'amor ti nacque in petto;
la cagion mi ricordo e non l'effetto.
Principe, una germana il ciel mi rende (A Tiridate)
a cui deggio la vita; esserle grata
vorrei; so che t'adora. Ah quella mano
diasi a mia voglia almen; d'Arsinoe or sia.
Prendila, principessa. Ogni tuo cenno,
Zenobia, adoro.
                               Oh fortunato istante!
Oh fida sposa!
                             Oh generoso amante!
altri mirar desia, lo sguardo audace
non fissa in lui; ma la riflessa immago
ne cerca in fonte o in lago, ove per l'onda,
o in sé parte di lor solo introduce,
scema il vigor della soverchia luce.
Giovi l'arte anche a noi. Giacché non osa
rispettoso il pensier, le tue sembianze
va cercando in Zenobia e se non giunge
parte almen di tua luce ammira in lei.

Notice: Undefined index: metrica in /home/apostolo/domains/progettometastasio.it/public_html/library/opera/controllers/Metrica/queryAction.php on line 8

Notice: Trying to access array offset on value of type null in /home/apostolo/domains/progettometastasio.it/public_html/library/opera/controllers/Metrica/queryAction.php on line 8