Metrica: interrogazione
624 endecasillabi (recitativo) in L'eroe cinese H 
i cenni eseguirò. Quando dobbiate
a lui tornar, farò sapervi. Andate. (Partono i tartari dopo gli atti di rispetto di lor nazione. Lisinga depone la lettera sul tavolino)
del padre i sensi.
                                 Ah cara Ulania, ah troppo
senza legger gl'intendo! Ecco l'istante
che ognor temei. Partir dovrem; quel foglio
il comando crudele. Or di' se a torto
mi facevan tremar.
                                     Termina alfine
la nostra schiavitù; la patria, il padre
alfin si rivedranno. Amata erede
tu del tartaro soglio, alle speranze
di tanti regni alfin ti rendi; alfine
torni agli onori, alle grandezze in seno.
Sì, tutto è ver; ma lascerò Siveno.
sai che non è per lui; sai che nemico,
sai che suddito ei nacque.
                                                 Io so che l'amo;
so che n'è degno assai, che il primo è stato,
che l'ultimo sarà, che, se da lui
senza saperlo il genitor m'uccide. (Siede)
da me fortezza. Io per Minteo sospiro
e Minteo non lo sa; forse per sempre
me ne sento morir ma non mi lagno.
amar così. Del mio Siveno anch'io
se potessi scordarmi... Ah non sia vero!
mi preservin gli dei. Mi fa più orrore
che l'amarlo e morir.
                                        Pria d'affannarti
leggi quel foglio almen. Chi sa!
                                                         Tu vuoi
di poter dubitare. (Prende la lettera e vuole aprirla)
                                    Ah, dimmi; è vero
ch'io ti perdo, o mia vita?
                                                Ha questo foglio
del padre i cenni. Assicurarmi ancora
io non osai della sventura mia.
sempre fra' labbri tuoi la mia sventura.
non abbiam più nemici. Alla tua mano
io l'onor destinai d'essere il pegno
del pubblico riposo. A te l'erede
sarà consorte; e regnerai sovrana
dove sei prigioniera. È il gran mistero
noto a Leango; ei scopriratti il vero.
Zeilan». Giusto ciel!
                                       Che fia?
                                                         Quel foglio (Si leva)
forse mal comprendesti.
                                              Ah no! Tu stessa
leggilo, o principessa. (Le porge il foglio)
                                          «A te l'erede (Legge)
sarà consorte». Ov'è costui? Menzogna
dunque, o Siveno, è la tragedia antica?
Ah parla, ah di'.
                               Che vuoi, mio ben, ch'io dica?
un ignoto rival!
                              Fu pur dal soglio
discacciato Livanio.
                                      E il quarto lustro
siam vicini a compir.
                                         Pur nell'esiglio
i suoi dì terminò.
                                  Sin da quel giorno
che tu dell'armi nostre, io prigioniero
restai di tua beltà.
                                   Del regio sangue...
Nessun restò. Fu tra le fasce ucciso
della stirpe real.
                                Ma questo erede
                           Qualche impostor.
                                                               Leango,
complice d'un inganno! Ah no. Deh corri,
vola al tuo genitor; chiedi, rischiara
i miei dubbi, o Siveno, i dubbi tuoi.
Ah principessa, ah che sarà di noi!
Tutti dunque i miei dì saran, germana,
                    Non li sperar sereni.
sempre col mal che temi il ben che godi.
Or qual ombra ho di ben?
                                                 Qual? Tu non parti;
Siveno è qui; questo temuto erede
non comparisce ancor. Sempre disastri
perché temer? Figurati una volta
qualche felicità; spera in Siveno
                           Ah sarei folle.
                                                      È vuoto
è la stirpe real; del gran Leango
Siveno è figlio; e del cinese impero
il decoro e l'amore. Ei, che fu il padre
finor di questi regni, oggi il monarca
farsene ben potria.
                                     Perché nol fece
dunque finor? Sempre ha potuto.
                                                              Il trono
vuoto serbò, come dovea, Leango
all'esule suo re; ma, quello estinto,
a chi più dee serbarlo?
                                           Ah che purtroppo
purtroppo vi sarà.
                                   Dunque ad amarlo
                             Io?
                                      Sì. Fingi che sia
amabile, gentil...
                                 Taci.
                                             Cancelli
Taci, crudel; tu mi trafiggi il core.
Ecco Minteo; si eviti. Ah s'ei sapesse
quanto mi costa il mio rigor... (In atto d’incamminarsi)
                                                        Tu fuggi,
bella Ulania, da me? Ferma; se il volto
del povero Minteo tanto ti spiace,
tocca a lui di partir; rimanti in pace. (In atto di partire)
che modesto parlar!) T'appressa. (Minteo s’avvicina rispettosamente) Imposi
pure a te d'evitarmi? (Con serietà)
                                          È ver. (Con rispetto)
                                                        Ma dunque
                        Perdona; io vengo in traccia
del mio caro Siveno. Un folto stuolo
di manderini impaziente il chiede.
Me non cercasti?
                                 No.
                                           Di non amarmi
la legge ti sovvien?
                                    Sì.
                                            Di Siveno (Con risentimento)
siegui dunque l'inchiesta.
                                                 Oh dio! Sì presto
non scacciarmi, crudel.
                                            Se più non m'ami,
di che lagnar ti puoi?
                                         Se più non t'amo,
t'adoro e non t'offendo. In cielo ancora
v'è un nume, non si sdegna e ognun l'adora.
(Che fido cor!) (Con tenerezza)
                              Ma se gli omaggi miei
t'offendono così, l'ultima volta
questa sarà che tu mi vedi. (In atto di partire)
                                                    (Oh dio!)
disperato vivrò; ma il bel sereno
non turberò di quei vezzosi rai.
Forse io morrò d'amor, tu nol saprai. (In atto di partire)
Minteo, m'ascolta. Io non son tanto ingiusta
quanto mi credi. Io te non odio; ammiro
il tuo valor, la tua virtù; mi piace
quell'aspetto gentil; ma...
                                                Che?
                                                            Ma il fato (Con dolcezza)
allontanò. Tanta distanza...
                                                  Ah dunque (Con allegrezza)
Che gli oscuri natali. (Con lieta tenerezza)
                                        E se foss'io
di te più degno...
                                 Ah se tu fossi... Addio. (Con serietà)
il cor d'Ulania è mio; ne intendo i moti
che asconde il labbro e che palesa il ciglio.
Come tu qui senza di lui?
                                                Ne vado,
signore, in traccia.
                                    Ascoltami, rispondi
e parlami sincero. Ami Siveno? (Con gravità)
Ami Siveno! Ah qual richiesta! (Con istupore) Io l'amo
per genio, per costume e per dovere.
Un mendico fanciullo, in man straniera,
de' suoi natali ignaro.
                                         Ed or chi sei?
tua benefica man, fra' sommi duci
colmo d'onori e di ricchezze, io veggo
delle forze cinesi una gran parte
pender dal cenno mio.
                                           Sai qual tu debba (Grave e serio)
gratitudine e fé...
                                  Perché, signore, (Con trasporto di passione)
mi trafiggi così? Qual mio delitto
meritò questo esame? Infido, ingrato
dunque mi temi? Ah tutti i doni tuoi
ritoglimi, se vuoi; prendi il mio sangue;
non parlerò; ma questo dubbio, oh dio!
non posso tollerar.
                                   Vieni al mio seno, (Sereno)
caro Minteo. La tua virtù conosco,
la sprono e non l'accuso. Avrò bisogno
oggi forse di te.
                              Spiegati, imponi.
Va'; non è tempo ancor.
                                             Finch'io non possa
della mia fé, non avrò pace mai.
Va', Minteo, ti consola, oggi il potrai. (Misterioso)
tanto sudor, tanti sospiri e tante
cure mi costa. Il conservato erede
oggi farò palese; oggi al paterno
vedovo trono il renderò. Mi veggo
alfin vicino al porto e non mi resta
scoglio più da temer. Gli autori indegni
del ribelle attentato il tempo estinse,
dissipò la mia cura; a me fedeli
sono i duci dell'armi; avrò d'elette
tartare schiere al cenno mio fra poco
lo straniero soccorso; è tempo, è tempo
di compir la bell'opra. Ah voi, superne
secondate il mio zel. Mi costa un figlio,
voi lo sapete. Ah questa sola imploro
sospirata mercé di mia costanza;
poi troncate i miei dì; vissi abbastanza.
Ma... qual tumulto...
                                       Onde sì lieto? E dove
t'affretti, o figlio?
                                  a' piedi tuoi. (S’inginocchia e seco alcuni de’ suoi seguaci)
                                                            Che fai?
Sorgi. E voi che chiedete? (Agli altri)
                                                  Il nostro, o padre,
                             Figlio, ah che dici!
                                                                 Alfine...
Sorgete o non v'ascolto. (Si levano)
                                             Alfin corona
i tuoi meriti il ciel. Di tanti regni,
conservati da te, per te felici,
se fosti padre, imperadore or sei.
i ministri del ciel, gli ordini tutti
chiedon, signor, l'assenso tuo; l'esige
il pubblico desio; del vuoto soglio
ed a nome d'ognun l'implora un figlio.
di mia fé trionfar; no, la mia fede
al tuo non cede insidioso dono
e a farla vacillar non basta un trono).
Tu pensi, o padre!
                                   E ne stupisci? Ah sai
di che peso è un diadema e quanto sia
difficile dover dare a' soggetti
leggi ed esempi? Inspirar loro insieme
e rispetto ed amore? A un tempo istesso
cittadino e guerrier? Sai d'un regnante
quanti nemici ha la virtù? Sai come
all'ozio, agli agi, alla ferocia alletta
la somma podestà? Come seduce
che ogni fallo d'un re trasforma in lode?
tutti i perigli.
                           Ed hai stupor s'io penso?
Quando esperto è il nocchiero...
                                                           Andate, amici. (a’ manderini che ricevuto l’ordine partono)
Si raccolga il Senato; ivi i miei grati
sensi udirete. E tu frattanto al tempio
sieguimi, o figlio. Ivi il gran nume adora
e fausto il cielo a' miei disegni implora. (Misterioso)
Siveno, ascolta. (Allegri sommamente)
                               Ah mia speranza!
                                                                 È vero
che il padre tuo...
                                  Sì, tutto è ver.
                                                              L'erede
dunque or tu sei di questo trono?
                                                              Addio.
cara, ritornerò.
                              Senti. Ma donde
Sappi... Ah non posso; il genitor m'attende. (Parte)
ecco il mio ben diventa erede. È chiaro
l'arcano ch'io temea. Sponde felici (Trasportata)
dove appresi ad amar, dunque io non deggio
abbandonarvi più? Dunque, o Siveno,
sempre teco vivrò? Dunque... Ah con tanto
al cor non vi affollate; io... ne morrei.
lasciami in pace; il mio dolor non soffre
compagnia né consigli.
                                           Ah no, sì presto
                           Tu mi trafiggi. Il padre
non ricusò l'impero? Il vero erede
oggi a scoprir non si obbligò? Che vuoi
dunque ch'io speri più? Qual più m'avanza
conforto a' mali miei?
                                          La tua costanza.
ch'eri degno del trono.
                                           E creder puoi
che il trono io pianga? Il meritarlo è stato,
non l'ottenerlo, il voto mio. Si perda;
tal perdita a soffrir. Ma tu che a parte
sei d'ogni mio pensier, tu che col trono
il bell'idolo mio, la mia speranza,
tu come hai cor di consigliar costanza?
sei degno di pietà; ma pure...
                                                       Addio.
               Quindi lontan. No, non potrei
pace qui più sperar. Di mie passate
felicità ritroverei per tutto
qualche traccia crudel. Mi sovverrebbe
qua come accolse i voti miei, le dolci
querele in questa parte, in quella i cari
nuovi pegni d'amore; ogni momento
penserei quante volte e in quante guise
prima d'abbandonarmi; e intanto in braccio
d'un felice rival sugli occhi miei...
                           Ove vai? (Trattenendolo)
                                              Da queste sponde
ah lasciami fuggir. (Vuol fuggir di mano a Minteo) M'eran sì care;
orribili or mi sono. Ah principessa, (S’incontra in Ulania)
sfortunato mortal? Dov'è Lisinga?
Come sta? Che ne dice?
                                             Al colpo acerbo
                  Tutto è finito. Un sogno
fur le speranze mie. Quel cor, quel volto,
oh dio! d'altri sarà.
                                     Nol credo.
                                                          E come?
A costo d'un impero ella è capace
d'esser fedel. So come t'ama; ed io
ben conosco il suo cor.
                                          Ma ignori il mio.
Soffrir che, nata al soglio, ella discenda
fra i sudditi per me! D'un ben sì grande
fraudar la patria mia! Torre all'impero
chi può farlo felice! Ah non sia vero.
e vile amante e cittadino indegno.
                Ma dove?
                                    E a che?
                                                      Dove non abbia
a piangere, a morir.
                                      Senti. E Lisinga
                     Pria di partir l'ascolta.
                              Ah che mi dite! Ah troppo,
troppo il suo affanno accrescerebbe il mio.
Sugli occhi io le morrei nel dirle addio.
so che non hai men bello il cor; t'incresca
del povero Siveno. Ah del suo stato
Lisinga informa e il genitor. Prendete
tutti cura di lui. Chi sa fin dove
l'eccessivo dolore.
                                  E tu frattanto
perché nol siegui?
                                   Oh dio! Non posso. Io volo
fuor della reggia; un popolar tumulto
colà mi chiama.
                               E chi lo desta?
                                                            Ignoro
la cagione e l'autor.
                                     Dunque ad esporti
perché corri così?
                                  M'obbliga un cenno
del vecchio Alsingo.
                                      E chi è costui?
                                                                   L'istesso
m'educò, mi nutrì. Non diemmi, è vero,
ma serbommi la vita. Un'opra io sono
di sua pietà, se non son io suo figlio;
è dovuto il mio sangue al suo periglio.
                             Rimanti in pace.
                                                              Ascolta.
                          Pommi al cimento.
                                                               Io fido (Con tenerezza)
te stesso a te. Ricordati che dei
renderne a me ragion. Con troppo ardire
non arrischiarti; una sì bella vita
merta che si risparmi.
                                           Ah mio tesoro!
Ah bell'idolo mio! Tu m'ami.
                                                      Io! Quando
                              Il tuo timor, le care
premure tue, quel rimirar pietoso,
quel modesto arrossir mel dice assai.
Ah Minteo, che ti giova or che lo sai?
Debole Ulania! I tuoi ritegni ha vinto
alfine amor. Ma sì gran colpa è dunque
render giustizia alla virtù? Celarmi
doveva almeno. E di celar l'amore
l'arte dov'è? Fra i più felici ingegni
se alcun l'ha ritrovata, ah me l'insegni.
la germana abbandoni? Io mai non ebbi
maggior bisogno. Ah tu non ami! Avresti
maggior pietà quando languir mi vedi.
Mi fai torto; ho pietà più che non credi.
Dunque m'assisti; io non son più capace
di consigliar me stessa. In un istante
penso, scelgo, mi pento; e, mentre in mille
mi confondo, mi stanco e non risolvo.
temer che de' tuoi giorni il corso intero
voglia render funesto.
                                          È vero, è vero. (Pensa e poi risoluta)
il tartaro messaggio; ed io frattanto
volo il foglio a vergar. (S’incammina)
                                          Vado. (Fa lo stesso)
                                                       Ah t'arresta. (Si ferma irresoluta)
chi mi difenderà? Vorrà Leango
obbligarmi a compir...
                                           Va' dunque a lui;
gl'imenei differisca.
                                       Andiamo... E quale (Va e s’arresta irresoluta)
cagione ho da produr? Scoprirmi amante?
È duro il passo. Ah se un motivo almeno...
Perché non vien?
                                  Di comparirti innanzi
non ha più cor.
                              Dunque il vedesti?
                                                                   Il vidi.
                             Stelle! E perché?
                                                              Paventa
il suo dolore e il tuo; né vuol più mai
                   E già partì? (Con ansietà)
                                           Nol so.
                                                          Nol sai? (Con isdegno)
E questo... Olà. Che tradimento! E questo,
barbara, mi nascondi? Olà, Siveno (Compariscono due tartari)
si riconduca a me. (Partono i tartari)
                                    Deh ti consola;
involati al mio sguardo.
                                             Oh dio! Germana...
non profanar; nemica mia tu sei
la più crudele. A quel tuo cor di sasso
senso d'amor, d'umanità, di fede.
M'insulti a torto. In tante angustie anch'io
mi perdo, mi confondo e rea non sono,
se tu nol sei. Barbara a me! Per lei
di me stessa mi scordo; e questa è poi
Resta, resta pur sola. (In atto di partire)
                                         Ah no; perdona,
mi fece vaneggiar la mia sventura.
che non parta Siveno. Ah va'; ti muova
Vado; ma tu non avvilirti intanto.
numi, che fia di me! Grave a me stessa...
finor con l'alma. Oggi la mia sovrana,
oggi sarà di questo ciel Lisinga
la più lucida stella; oggi raccolta
nel talamo real...
                                Leango, ascolta.
fu dal destino a tua virtù concesso,
dispor del core altrui non è l'istesso.
Il cor leggi non soffre. A mio talento
A questo ciel cerca altra stella. Addio.
Disingannarla io pur vorrei. No, prima
è rischio avventurar. Che rechi? (A un paggio che giunge) Un foglio?
Porgilo e parti. (Il paggio dà la lettera e parte)
                              A lei vuol ch'io ritorni (Dubbioso senza veder Leango)
la mia bella Lisinga; io sudo, io tremo
nell'appressarmi a lei. No... Ma poss'io
trasgredire un suo cenno?
                                                 Astri benigni,
eccomi in porto; il tartaro soccorso
pur giunto è alfin. (Rilegge)
                                    Lisinga il vuol, si vada...
(Il genitor! No, sì confuso almeno
non vogl'io ch'ei mi vegga). (Vuol partire)
                                                    Odi, Siveno, (Siveno s’arresta)
fermati. (Il ciel l'invia).
                                             (Che dirgli mai! (S’arresta da lontano)
                            Ah signor! (Vuole inginocchiarsi)
                                                  Padre! Che fai? (Sollevandolo)
Non son più padre tuo.
                                            Perché? Tu piangi!
Misero me! Dell'improvviso pianto,
ah forse il figlio è reo?
                                          Non ho più figlio.
Intendo, intendo; un temerario amore
tu disapprovi in me. Perdona; è vero,
Lisinga è l'idol mio; la colpa è grande
ma la scusa è maggior. Dov'è chi possa
vederla e non amarla?
                                          Amala; è giusto
che la tua sposa adori.
                                          Ah padre, ah questo
scherzo crudel troppo il mio fallo eccede.
Lo so, lo so; tu del cinese impero
lo sconosciuto erede.
                                       E quel tu sei.
            Tu sei quello. Io ti serbai bambino
fra la strage de' tuoi; ressi finora
quest'impero per te; sempre quel giorno,
te potessi al tuo soglio, io sospirai;
quel giorno è giunto; ora ho vissuto assai.
Io... Non m'inganni?
                                        No; tu sei Svenvango,
del gran Livanio ultimo figlio.
                                                        E il trono...
                       È tua sposa.
                                               Oh sposa! Oh giorno!
l'idolo mio... (Vuol partire)
                          Dove t'affretti?
                                                        A lei.
Ferma; e, se m'ami, in questo stato altrui
non ti mostrar. Ti ricomponi e pensa...
con tal novella andrò. Nel maggior tempio
mentre il Senato, i sacerdoti, i duci
s'aduneran, tu solitario attendi
me ne' tuoi tetti; e al nuovo peso intanto
l'alma incomincia a preparar. Rifletti
quanti popoli in te, Svenvango, avranno
oggi un padre o un tiranno, a quanti regni
tu la miseria or procurar potrai,
tu la felicità, che a tutto il mondo
t'esponi in vista e sarà il mondo intero
giudice tuo, che i buoni esempi o rei
son delle altrui virtù prime sorgenti,
ma v'è nel ciel chi d'un commesso impero
può dimandar ragion, chi, come innalza
san le sue veci a benefizio altrui,
preme così chi non somiglia a lui.
Sì, caro padre mio, sarò... Vedrai...
Ah troppo vorrei dir. Lisinga... Il trono...
I benefizi tuoi...
                               Non affannarti;
tutto intendo, o signor.
                                           Signor mi chiami!
Ah no, chiamami figlio. Ah questo nome
è il mio pregio più grande! Io che sarei
padre, benefattor, maestro, amico,
tutto fosti per me; tutta io ti deggio
la mia riconoscenza, il mio rispetto,
Figlio, ah non più, la tenerezza eccede. (Lo abbraccia con tenerezza, poi si ritira con rispetto)
Oh sorpresa! Oh contento! Ah, quando il sappia,
ah che dirà la mia Lisinga!
                                                  Amico, (Affannato)
                          Son solo.
                                             Oh ignote, oh strane
                            Che mai t'avvenne?
                                                                  Alfine
è il successor palese.
                                       Onde sì presto
giunse a te la novella?
                                          E a te chi mai
sì presto la recò?
                                 Leango.
                                                  Avresti
potuto immaginar che il tuo Minteo
fosse un monarca?
                                    Che!
                                                Che fossi il figlio
                            Tu!
                                     Sì. D'un evento
strano così per informarti io corsi
e il primo esser credei; ma, già che il sai,
non trattenermi; è necessaria altrove
la mia presenza.
                                Odimi. (Oh ciel!) Chi disse
a te che sei Svenvango?
                                             Il vecchio Alsingo...
Quei che ignoto bambin...
                                                 Bambino ignoto
per salvarmi mi finse. I miei natali,
le indubitate prove, il nome mio
poc'anzi sol mi fe' palese. Addio.
Sentimi. (Dove son!) Ma come Alsingo
                           Finor fu vuoto il trono
tempo a parlar senza mio rischio.
                                                              Ed oggi
                           Perché fu il trono offerto
oggi a Leango. Oh se vedessi come
il popolo n'esulta e qual... Ma troppo
l'amistà mi seduce e può tumulti
produr la mia dimora. Addio, Siveno;
vieni al mio seno ed in qualunque stato
sappi ch'io serbo a te l'affetto antico.
Ferma un istante ancor.
                                             Non posso, amico. (Parte in fretta)
Dove son? Chi son io? M'inganna il padre?
Mi tradisce l'amico?
                                       Ah mio tesoro! (Allegrissima)
Ah mio sposo! Ah mio re! Posso una volta
                               (Misero me! Che dirle?
La trafiggo, se parlo). (Confuso)
                                          Oggi co' numi
la mia felicità non cambierei.
                              (Questo è martir!)
                                                                  Che avvenne?
Forse non m'ami più?
                                          T'amo, t'adoro,
sei tu l'anima mia. (Confuso)
                                     Parlasti al padre?
che Svenvango tu sei?
                                          Mel disse.
                                                               E ch'io
son la tua sposa?
                                 Il disse ancor.
                                                             Ma dunque
di che t'affliggi in sì felice stato?
             Ah, mia vita, a sospirar son nato.
Lisinga? Ah, lode al ciel, pur ti ritrovo. (Affannato)
Perché tant'armi?
                                   Al valor vostro, amici, (Alle guardie)
ed alla vostra fé questa io consegno
cara parte di me. Là nel recinto
della torre maggior, che il fiume adombra,
attenti in sua difesa. I passi loro
siegui, Lisinga. In sì munito loco
sicura attendi; io tornerò fra poco.
                             Il popolo in tumulto
tutte inonda le vie; vuol nella reggia
introdurre un suo re; gl'impeti insani
io corro a raffrenar.
                                      Senti. O t'arresta
o con te mi conduci; io voglio almeno
                              Ah che il tuo rischio, o cara,
farebbe il mio. Mi tremerebbe il core
al lampo d'ogni acciar. Resta tranquilla;
                                  Oh dei, tranquilla! E intanto
vai l'ire ad affrontar?
                                         No. Della reggia
verso il maggiore ingresso il volgo insano
s'affolla e freme; io per l'opposta uscita,
che mena al fiume, inaspettato al fianco
co' miei l'assalirò. Fugar gl'imbelli
di pochi istanti opra sarà... Che? Piangi!
Ah non temer, mia vita.
                                             E a ciglio asciutto
vuoi ch'io ti vegga a tale impresa accinto?
Amati rai, se non piangete, ho vinto.
Assistetelo, o dei. (Volendo partire)
                                   Dove, o Lisinga,
                          E tu, signor, che fai
così tranquillo? È la città sossopra,
                         Ti rassicura; a tutto,
bella Lisinga, io già provvidi.
                                                      E come?
A mia richiesta un numeroso stuolo
di tartari guerrieri il tuo gran padre
sai che inviò. Giunse poc'anzi e verso
la città già s'avanza.
                                      E se frattanto
la reggia inonda? Avrem dal tardo aiuto
vendetta e non difesa.
                                          Elette schiere
Minteo n'è il duce; e riposar possiamo
di Minteo su la fé.
                                   Dunque ad esporsi
perché corre Siveno?
                                        Esporsi! E come?
va i sollevati ad assalir.
                                            Correte, (a’ custodi senza spavento)
custodi, a trattenerlo.
                                         Ah sì. (a’ medesimi)
                                                      Che pena
è il moderar quei giovanili in lui
impeti di valor! Tua quindi innanzi
sia questa cura, o principessa. Io spero
sarà di me miglior maestra.
                                                    Ah voglia
il cielo alfin...
                           Mai più sereno il cielo
non si mostrò per noi. D'ogni procella
siam tutti in porto.
                                     Ah tu mi torni in vita.
son tutti uniti, alcun m'avverta. Or parmi
un secolo ogn'istante...
                                           Ove... ah Leango... (Spaventata)
ov'è la mia germana? Ah me l'addita;
difendici... Fuggiam.
                                        Non hai rossore
spavento femminil?
                                       Sì, la tua pace
degna invero è di lode, or che agl'insulti
d'un popol reo...
                                Ma nella chiusa reggia
che mai, che puoi temer?
                                                Chiusa la reggia!
Dei, qual letargo! Io n'ho veduto io stessa
l'ingresso aperto.
                                 Ed i custodi? (Comincia a turbarsi)
                                                           Un solo
non s'oppon, non resiste; un brando, un'asta
non si muove per noi.
                                          Stelle! Ma intanto
che fa, dov'è Minteo?
                                         Minteo fra poco
il trono usurperà.
                                  Minteo! Che dici?
Il mio fido Minteo?
                                      Come! E non sai
è capo e condottier?
                                      Che ascolto!
                                                              Or credi
a quel molle parlar. Numi! Ei s'appressa;
Eccolo; siam perduti.
                                         Ah traditore! (Snudando la spada e andandogli incontro)
Perché quel nudo acciaro? (Con modestia)
                                                  Empio! Ribelle!
Perfido! Ingrato!
                                 A me, signor! (Con modestia)
                                                            Son questi
delle mie cure i frutti? a' doni miei
corrispondi così? De' tuoi monarchi
fino al trono aspirar! No, vive ancora,
vive Leango, anima rea. Sul trono
no, non si va senza vuotar le vene
del tuo benefattor. Finché del giorno
saran queste mie ciglia aperte a' rai,
io lo difenderò; tu non l'avrai.
Ma per pietà m'ascolta.
                                            Ah si permetta (Con compassione)
ch'ei parli almeno.
                                    E che può dir?
                                                                 Si vuole,
signor, ch'io sia Svenvango; il volgo il crede;
ed io se a que' tumulti...
                                              E tu, spergiuro,
suo condottier ti fai?
                                        Ma se non lasci
ch'ei possa dir. (Nell’istesso modo ma con impeto)
                               Se a quei tumulti io debba
oppormi o secondarli a chieder vengo
                            Sì, ma conduci
tutto un popolo armato; apri una reggia
commessa alla tua fé.
                                         La reggia è chiusa,
signor; nessun mi siegue; io vengo solo
a presentarmi a te.
                                     Ma Ulania...
                                                              Io vidi
le vidi aprir, vidi Minteo fra loro,
che più attender dovea?
                                              Dunque... (Sorpreso)
                                                                   Tu sei
della mia sorte e del cinese impero
                              (Né deggio amarlo?)
                                                                      Ascolta.
e del regno e di me. Finché non sia
da te, signor, deciso a chi si debba
del pubblico riposo eccomi ostaggio. (Depone la spada)
(Che adorabile eroe!)
                                         Figlio, a gran torto
io t'insultai; ma l'inudito eccesso
di tua virtù mi scusa; è grande a segno
che superò le mie speranze. (Rimette la spada)
                                                     Or dimmi
ch'ei re non sia.
                               No, principessa. Al tempio,
caro Minteo, mi siegui; in faccia al nume
il re ti scoprirò. Di quest'impero
tu il sostegno e l'onor, tu di mie cure,
sei la dolce mercé ma il re non sei.
Mi lusingai che mi rendesse un trono
degno di te ma...
                                 Senza il trono, è degno
ch'io l'adori Minteo. Non ha bisogno
chi tanto ha in sé. Con quel del mondo intero
io del tuo cor non cangerei l'impero.
maggior felicità! Mio ben, mio nume,
amor mio, mia speranza...
                                                 Andiamo al tempio;
Leango attenderà.
                                   Sì; mi precedi;
io ti raggiungerò. (In atto di partire)
                                   Ferma; Siveno
or non è nella reggia. Il ciel sa quando
ritornerà. Donde la bagna il fiume
per opporsi a' ribelli.
                                        Ah sconsigliato!
Io con tanto sudor del volgo insano
gl'impeti affreno; a presentarmi io stesso
vengo pegno di pace; ei va di nuovo
ad irritarlo, ad arrischiarsi! Ah soffri
che a soccorrerlo io vada.
                                               E per Siveno
Egli è in rischio, mia vita, e tu nol sei.
prova di poco amore?
                                         Anzi è gran prova
un freddo amico è mal sicuro amante.
Chi vuol che di follia sia segno espresso
al dubbio mar degli amorosi affanni
vegga prima Minteo, poi mi condanni.
E voi, stupidi, e voi del suo periglio
venite adesso ad avvertirmi? Andiamo;
a difender Siveno.
                                    È tardi, è tardi. (Piangendo)
            Più non vive.
                                      Ah! No? Chi l'assicura?
Questi occhi... Oh dio! Questi occhi. Io dalla cima
della torre maggiore... aimè... lo vidi
affrettarsi... assalir... Sperò... Volea...
Ah non posso parlar!
                                        Gelo!
                                                     Ei nel fianco
del popol folto urtò co' suoi. Lo assalse
quello, assalito, e il circondò. Gli amici
tutti l'abbandonaro. Ei su la sponda
balza d'un picciol legno e solo a tanti,
che valor! s'opponea. La turba alfine
supera, inonda il legno. Ei d'ogni parte
ripercosso, trafitto, urtato e spinto
pende sul fiume e vi trabocca estinto.
cede la mia costanza. Abbiam perduto,
voi cinesi, il re vostro, io di tant'anni
i palpiti, i sudori. Astri inclementi,
la mia vecchiezza? Han meritato in cielo
dunque il martir di così lunga vita
l'onor mio, la mia fede? Ah d'un vassallo
così fedel che ti giovò, Svenvango,
la tenera pietà? Ricuso un regno,
con quelli, oh dio, d'un proprio figlio, e poi!
Troppo, ah troppo lo so; Siveno è morto.
Vive, vive Siveno.
                                   Oh ciel!
                                                    Qual nume
                             Il suo Minteo.
                                                         Che dici!
opportuno a sottrarlo e all'onde e all'ire
                             A rintuzzarlo, amici,
                È vano. Ha i Tartari alle spalle,
la reggia a fronte; e, da Minteo sedato,
sol dimanda il suo re, qualunque ei sia.
Ma Siveno dov'è?
                                  Vedilo.
                                                  Ah vieni
                           Sono il tuo figlio. Il trono,
signor, non dessi a me; l'usurperei
al mio liberatore. Il vero erede
grandi le prove sue; dubbio non resta.
Leggi; e di' se v'è prova uguale a questa. (Gli dà un foglio)
Livanio il tuo gran padre.
                                                (Or chi son io?)
vive in Siveno. Io dell'eroica fede,
che l'ha salvato, il testimonio io fui;
è Leango l'eroe; credete a lui.
                    E ben?
                                    Son fuor di me. Ma dimmi,
appressatevi a noi, (a’ cinesi che portano i bacili e che s’appressano) dimmi; ravvisi
regie spoglie infantili?
                                           Aimè, che miro! (Inorridisce)
Donde in tua man?
                                     Tutto saprai. Non era
Svenvango in queste avvolto, allorché il ferro
de' ribelli il trafisse?
                                        Oh dio! Non v'era. (Con impeto di passione)
               V'era il mio figlio.
                                                  Il tuo! Chi mai,
chi vel ravvolse?
                                Io stesso; ed io lo vidi
in tua vece spirar. Questo è l'inganno
che ha serbato all'impero il vero erede.
Oh virtù senza esempio!
                                              Oh eroica fede!
                      Ah non più. Perché con queste
rimembranze funeste un dì sì lieto
avvelenar? Di queste spoglie a vista,
a vista di quel sangue, ah non resiste
d'un padre il cor. Di riveder mi sembra
fra gli empi il figlio mio; parmi che ancora,
invece di parlar, la pargoletta
trafitta man mi stenda; i colpi atroci
rivedo, oh dio! cader; tutte ho sul ciglio...
Padre mio, caro padre, ecco il tuo figlio. (Gli bacia la mano con impeto di gioia e di tenerezza)
             Tuo figlio son io. L'antico Alsingo
mi salvò moribondo e in quelle spoglie
credé salvato il re. Parlano queste
cicatrici abbastanza. Osserva. Il caro
Sostenetemi... Io manco... (Le guarda, s’appoggia ma non isviene)
                                                  Oh stelle!
                                                                      Oh dei!
il caro padre mio.
                                  Ma rendo al trono
Lascia, ah lasciami il padre e prendi il regno. (Stringendosi al petto la mano di Leango)
tacete per pietà. Non ho vigore
per sì teneri assalti. Astri clementi,
disponete or di me. Rinvenni il figlio;
posso or morir; non ho vissuto invano.

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