Metrica: interrogazione
914 endecasillabi (recitativo) in Semiramide R1 
che fuman l'are, che al solenne rito
che il re l'attende. (Ricevuto l’ordine parte una guardia. Nel mentre che parla Semiramide, esce Sibari, guardandola con meraviglia)
                                    (Io non m'inganno, è dessa).
Lascia che a' piedi tuoi... (S’inginocchia)
                                                Sibari! (Oh dei!)
S'allontani ciascun. (Che incontro!) Sorgi.
quale affar ti conduce?
                                           È noto altrove
dell'impero de' Battri unica erede
qui scegliendo lo sposo oggi decide
che il volto suo, che il suo retaggio accese.
tutta l'Asia mirar ma non sperai
in sembianza viril sul trono assiro
di ritrovar la sospirata e pianta
                           Ah taci; in questo luogo
Nino ciascun mi crede e il palesarmi
vita, regno ed onor potria costarmi.
Che fa? Dov'è?
                              Di quell'ingrato il nome
non rammentarmi.
                                     A lui straniero e ignoto
il cor donasti...
                             E abbandonai con lui
la patria, il regno, il genitor, le nozze
Sibari, tel rammenti?
                                          E come mai
obbliar lo potrei, s'ogni tua cura
tu m'affidavi allor? Se duce io stesso
de' reali custodi a tua richiesta
agio concessi alla notturna fuga?
E pur nol crederai! L'istesso Idreno,
che m'indusse a fuggir, tentò svenarmi.
ei mi gettò ferita e semiviva.
La cagione io non so.
                                        (La so ben io).
E rimanesti in vita!
                                      Unica e lieve
fu la ferita e la selvosa sponda
la caduta scemò, mi tolse a morte.
quanto errai, che m'avvenne. In mille guise
il brando strinsi e pascolai gli armenti,
pastorella, guerriera e pellegrina.
del talamo real mi volle a parte.
Ma ti conobbe?
                              No. Finsi che un fonte
l'origine mi desse e che agli augelli
de' primi giorni miei dovea la cura.
non successe nel regno il picciol Nino?
Il crede ognun; la somiglianza inganna
del mio volto col suo.
                                        Ma come soffre
te nel suo trono?
                                Effemminato e molle
fu mia cura educarlo. Ora in mia vece
gode vivendo in femminili spoglie
nella reggia racchiuso e il regno teme,
                         Che narri! (E quando spero
miglior tempo a scoprirle i miei martiri?
Ardir). Sappi...
                              T'accheta, ecco Tamiri. (Vedendo venir Tamiri)
oggi l'Asia il riposo, io degli affetti
                    Ma Babilonia deve
alla bellezza tua l'aspetto illustre
de' principi rivali. E questa cura,
del tuo gran genitor, che fu d'Assiria
più difensor che tributario, io deggio.
e i merti di ciascun senti e decidi. (Semiramide va sul trono, Tamiri a sinistra nel sedile; Sibari è in piedi a destra. E intanto preceduti dal suono d’istromenti barbari, passano il ponte Mirteo, Ircano e Scitalce col suo seguito, i quali si fermano fuori del portico e poi entrano l’un dopo l’altro quando tocca loro a parlare)
Al tuo cenno, gran re, deposte l'armi,
si presenta Mirteo. Fra gli altri anch'io
alla vaga Tamiri offro la mano.
L'Egitto è il regno mio...
                                              Odi, la bella, (A Mirteo interrompendolo)
che fra noi si contende, è quella?
                                                             È quella. (Ad Ircano)
vien l'arbitro de' Sciti amante e sposo.
tu d'Assiria i costumi ancor non sai.
In Assiria il parlar dunque è delitto?
L'Egitto è il regno mio; sospiri e pianti,
rispetto e fedeltà sono i miei vanti.
Siedi, principe, e spera; a lei che adori (Mirteo va a sedere)
(Qual ti sembra Mirteo?) (Piano a Tamiri)
                                                 (Molle e noioso). (Piano a Semiramide)
Dunque a vostro piacer...
                                               Parla, se vuoi.
E bene, io parlerò. Dove a lor piace
regnano i Sciti. Al variar dell'anno
variano i lor confini; erranti abbiamo
e son le nostre mura i nostri petti.
non son pregi fra noi; pregio allo Scita
al caldo, al gel delle stagioni intere
e domar combattendo uomini e fere.
(Qual ti sembra costui?) (Piano a Tamiri)
                                               (Barbaro e strano). (Piano a Semiramide)
Venga Scitalce.
                              (Oh stelle! Io veggo Idreno!
Sibari, oh dio! Questo è Scitalce? (Piano a Sibari vedendo Scitalce)
                                                              È questo.
            (Numi, che volto!) Il re novello,
Ircano, dimmi, è quel ch'io miro?
                                                               È quello.
(Semiramide è questa).
                                              (È questi Idreno).
sì gran rivale a fronte.
                                          Io non lo credo.
per costume talora.
                                     (Io non l'intendo).
ancor tu vieni alla real Tamiri
il tributo ad offrir de' tuoi sospiri?
Non sperai... Mi credea... Ma veggo... (Oh dei!)
(Si confonde il crudel sugli occhi miei).
Siedi, Scitalce; il turbamento io credo
figlio d'amor né a paragon d'ogni altro
                      (Infedel!)
                                           (Sogno o son desto?)
il successor della corona assira? (Ad Ircano)
Non tel dissi?
                           Sarà. (Siede)
                                       (Questi delira).
qual mi sembri costui?) (Piano a Semiramide)
                                               (Perché ravviso (A Tamiri)
segni d'infedeltà).
                                   (Però mi piace).
                        Che più s'attende? È tempo
che Tamiri decida.
                                    (Ahimè!) Ma prima
giurar si dee di tollerar con pace
la scelta d'un rivale. Il nume e l'ara
eccovi, o prenci.
                               Ogni tuo cenno è legge. (S’alza e va all’ara)
Io l'approvo. (Scitalce e Mirteo pongono la mano sull’ara, stando uno per parte)
                          Io l'affermo.
                                                   Io l'assicuro. (Ircano s’alza e non parte dal suo luogo)
non t'avvicini?
                             No; giurai né voglio
questa è l'ara de' Sciti e questo è il nume. (Ponendo la mano al petto e accennando la spada)
altro rito a compir?
                                     No; del mio core
il genio ormai farò palese.
                                                 (Ah temo
che Scitalce sarà!)
                                   L'ardir d'Ircano,
di Mirteo l'umiltà veggo ed ammiro;
la scelta, o principessa; un lieve impegno
questo non è; del tuo riposo anch'io
son debitor. Meglio pensando, almeno
me dal rossor di poco saggio assolvi;
esamina, rifletti e poi risolvi.
Abbastanza pensai.
                                     Dunque favella.
entro la reggia all'oscurar del giorno.
sarem compagni e spiegherà Tamiri
ivi il suo cor. Voi tollerate intanto
il brieve indugio.
                                  Io non mi oppongo.
                                                                        Ed io
mal soffro un re de' miei contenti avaro.
Desiato piacer giunge più caro.
O sognavo in quel punto o sogno adesso.
Sì pensoso, o Scitalce? Ami o non ami?
Da lunge avvampi e da vicino agghiacci?
se tu sapessi... Oh dio!
                                           Parla.
                                                        Se parlo,
O tutto mi palesa o nulla intendo.
la dimora a Scitalce; ei pensa e tace.
che l'amor t'assicura oggi d'Ircano.
Non rispondi? Ne temi? Ecco la mano.
il comando reale?
                                  E il re qual dritto
ha di frapporre a' miei cortesi affetti
Ma tu conosci amor? Dicesti, Ircano,
è domar combattendo uomini e fere.
non mi spiace però; godo in mirarti
più dell'usato intorno a te s'arresta.
Gran sorte inver del mio sembiante è questa!
La principessa udisti? Ella superba
va degli affetti miei. Misero amante,
ti sento sospirar, ti veggo afflitto.
e per consiglio mio torna in Egitto.
Sei degno di pietà, se non distingui
dall'ossequio il disprezzo. In quegli accenti
che de' meriti tuoi troppo presumi.
Io de' vostri costumi intendo meno
quanto gli ascolto più. Qui le parole
dunque han sensi diversi? A voglia altrui
qui si parla e si tace? Al regio cenno
deve un'alma adattar gli affetti suoi?
Chi mai mi trasse a delirar con voi!
in Assiria si vive. Amando ancora
imitar ti conviene il nostro stile.
Con lingua più gentile alle reine
si ragiona d'amor. Non son già queste
dell'ircane foreste.
                                    E quale è mai
questo vostro d'amar nuovo costume?
si soffre volentier, benché severa.
E poi s'ottien mercede?
                                             E poi si spera.
Miserabil mercé! Meglio fra noi
si trattano gli amori. Al primo sguardo
si palesa l'ardor. Cangia d'affetto
e tralascia d'amar quando è tormento.
o non s'ama fra voi. Gioia è la pena
sé per l'amato ben pone in obblio.
Ciascun siegua il suo stile; io sieguo il mio.
regnar così! Ma non è ver; se un giorno
in servitù d'una crudele e bella,
sarai men franco e cangerai favella.
oh qual piacere è il mio! Signor, perdona
se col nome d'amico ancor ti chiamo.
non per Scitalce, il principe degl'Indi,
sai pur ch'io ti conobbi.
                                             Allor giovommi
nome e grado mentir. Così sicuro
per render pago il giovanil desio
molto errai, molto vidi e molto intesi.
portato il piè fuor del paterno tetto,
Semiramide infida or non vedrei!
È teco? Ove s'asconde?
                                            E così cieco,
Sibari, sei? Non la ravvisi in Nino?
(Ah la conobbe).
                                A me la scopre assai
placidi al moto, il favellar, la voce,
la fronte, il labbro e l'una e l'altra gota
facile ad arrossir, ma più d'ogni altro
subito torna a palpitarmi in petto.
Eh t'inganna il desio. Se fosse tale,
al germano Mirteo nota sarebbe.
nella reggia de' Battri.
                                          E poi trascorsi
tre lustri son, da che fuggì d'Egitto;
fra noi s'intese e ognun la crede estinta.
crederla estinta? In quella notte istessa
che fuggì meco, io la trafissi.
                                                     Oh dio!
impunita restar? Tutto fu vero
quanto svelasti a me. Nel luogo andai
destinato da lei. Venne l'infida,
l'insidie ritrovai. Cinto d'armati
v'era il rivale.
                           E il conoscesti?
                                                         In parte
pago sarei, se il ravvisava; in lui
potrei l'ira sfogar.
                                   (Non sa ch'io fui).
dal nemico furor?
                                   Fra l'ombre e i rami
l'empia trafissi e la balzai nell'onda.
fu cagione il mio foglio! E non bastava
È ver; troppo trascorsi, il veggio anch'io.
gl'impeti dello sdegno e dell'amore?
appagai l'ira mia; ma non per questo
la pace ritrovai. Sempre ho sugli occhi,
sempre il tuo foglio, il mio schernito foco,
la sponda, il fiume, il tradimento, il loco.
Serbi il mio foglio ancor? Perché non togli
un fomento al tuo duolo?
                                               Io meco il serbo
per gloria tua, per mia difesa.
                                                        Almeno
cauto lo cela; è qui Mirteo; potrebbe
contro me vendicar.
                                      Vivi sicuro.
in Egitto mi finsi.
                                   Alla mia fede
lieve prova domandi; io tel prometto.
quel fallace desio che ti figura
Semiramide in Nino. Offri a Tamiri
e dal primo ti sani un nuovo amore.
ingannar mi potrebbe; al re si vada,
si ritorni a veder. (In atto di partire)
                                   Dove Scitalce?
Al monarca d'Assiria; a lui degg'io
di nuovo favellar.
                                  L'istessa brama
di ragionar con te Nino dimostra.
tu puoi meco restar.
                                       Ma non conviene
che il re così m'attenda.
                                             Il re s'appressa.
                   (Oh dio! Che dubitarne? È dessa). (Vedendo Semiramide)
teco parlar. (A Nino)
                        (Vorrà scoprirsi). Altrove
portare il piè. Tutta agli accenti suoi
lascia la libertà.
                               Parto. S'ei m'ami
scorgi... Chiedi...
                                 Va' pur. So quel che brami. (Tamiri parte)
(Siam soli, or parlerà).
                                           (Partì Tamiri,
(Tace, mi guarda!)
                                    (Ancor mi guarda e tace!)
Impallidisci, avvampi e sei confuso?
veder mi parve e mi turbò la mente.
Quella crudel mi figurai presente.
era dunque colei?
                                   Simile tanto
quell'infida direi che in te s'annida.
Se fu simile a me, non era infida.
nata per mia sventura...
                                             Olà! Scitalce
Quella crudel mi figurai presente.
fosse colei, non ti vedrei sì fiero.
di tanti sdegni tuoi pietà, perdono
e perdono e pietà forse otterresti.
vegga ch'io non la curo). Ah se tu vuoi,
felice tornerà.
                            (Si scopre adesso).
Temo lo sdegno tuo.
                                      Del mio perdono
non dubitar; spiegati pur.
                                                 Vorrei
mercé del tuo favor render Tamiri.
Non più. (Fingiam). Ti compatisco amante.
Parlerò con Tamiri e la tua brama
più che non credi a favorir m'appresto.
Ecco appunto Tamiri, il tempo è questo.
(Importuno ritorno!) Odimi, intanto
ch'io le parlo di te, colà dimora.
Vado. (Si turba). (Si ritira in un lato della scena)
                                  (Ed io resisto ancora?)
impaziente a te. Quali predici
venture all'amor mio?
                                          Poco felici. (Piano a Tamiri)
con Scitalce per te. Di lui ti scorda,
non è degno d'amor.
                                       Perché?
                                                        Per ora
il più perfido core, il più rubello.
Signor, parli di me? (A Semiramide)
                                        Di te favello.
(E pure impallidisce). (Torna al suo luogo)
                                           A lui si chieda
d'Ircano e di Mirteo.
                                        Fermati e seco (Piano a Tamiri)
non ragionar, se la tua pace brami.
semplice nell'amore ed egli ha l'arte
di affascinar chi sue lusinghe ascolta.
non turbarmi così.
                                    Ma qui si tratta
del mio riposo e compatir tu dei
Lo so, di te favello.
                                    (E pur le spiace). (In atto di ritornare al suo luogo)
Senti, Scitalce; alfin da' labbri tuoi
quel che nascondi in seno?
                                                  In seno ascondo
un incendio per te. Da tue pupille
esca alla fiamma, alle ferite il loco.
                     (Si tormenti).
                                                 Io non intendo
se siano i detti tuoi finti o veraci;
eccedi e quando parli e quando taci.
Udisti il prence? Egli è diverso assai
da quel che lo figuri.
                                       Io lo previdi
che poteva ingannarti. Ah tu non sai
quanto a fingere è avvezzo! A suo piacere
con fallaci maniere ad ora ad ora
s'accende e si scolora; il pianto, il riso
sa richiamar sul viso allor che vuole
né son figlie del cor le sue parole.
Pur non sembra così.
                                        Di quel crudele
non fidarti, o Tamiri. Altro interesse
non ho che il tuo riposo.
                                             Io ben m'avvedo
del zelo tuo ma sì crudel nol credo.
sposo a Tamiri e tollerar lo deggio?
d'un traditor? Potessi almen spiegarmi,
dirgli ingrato, infedel! Ma in gran periglio
pongo me stessa. Ah che farò? Vorrei
e parlare e tacer. Dubbiosa intanto
di sdegno avvampo e di timore agghiaccio.
son sventurati.
                             E donde il sai?
                                                          Tamiri
scoperse il suo pensier.
                                            Come?
                                                            Non giova
consumare in querele il tempo invano.
Che far possiamo?
                                    Ad un rival si lascia
così libero il campo? Andate a lei,
pietà chiedete e se mercé bramate,
qualche stilla di pianto ancor versate.
A placar quell'ingrata il pianto è vano.
Che pensi, Ircano?
                                    Hai tu coraggio?
                                                                    Il brando
risponderà, quando tu voglia.
                                                       Andiamo
uniti ad assalir. S'accerti il colpo,
tolto il rival, deciderem fra noi.
all'ospite real? Così conservi
la fé promessa ed i giurati patti?
Per assalire un sol cerchi con frode
E tal prova domandi al mio coraggio?
Che rispetto? Che fede? Il mio furore
chiede vendetta. Io tollerar non deggio
ch'altri usurpi quel cor. Tremi Scitalce,
tremi d'Ircano alla fatal minaccia.
ascosa frode o violenza aperta.
barbari sensi! Ei minor pena crede
che tollerarla e da un'indegna frode
spera felicità. Se a questo prezzo
solo acquistar si può, sia d'altri. Ed io
che mai farò? N'andrò ramingo e solo
rammentando il mio duolo all'aure, all'onde.
che già pronta è la mensa. È giunto il tempo
col morir di Scitalce il grave inciampo
mi tolga d'un rivale e m'assicuri
quanto Sibari un dì finse in Egitto.
E pure il giungerò. Dov'è Scitalce?
il luogo della mensa?
                                        E qual furore
t'arma la destra?
                                 Io vo' Scitalce estinto.
Additami dov'è!
                                Ma che farai?
Che farò? Mi vedrai con questo acciaro
dell'ingiusto imeneo troncare il laccio.
cadrà il rivale, andrà la mensa a terra
e lo sparso farò Lieo spumante
scorrer col sangue infra le tazze infrante. (In atto di partire)
                Non m'arrestar.
                                               Ma tu non brami
Scitalce estinto?
                                Sì.
                                        Dunque ti placa;
egli morrà, fidati a me. Salvarlo
sol potrebbe il tuo sdegno.
                                                 Io non intendo.
Corro prima a svenarlo e poi l'arcano
                             Ma senti. (A lui conviene
tutto scoprir). Poss'io di te fidarmi?
Scitalce è mio nemico. Il torto indegno,
che al tuo merto si fa, cresce il mio sdegno;
ond'io, ma non parlar, già nella mensa
preparai la sua morte.
                                          E come?
                                                            È certo
che Scitalce è lo sposo. A lui Tamiri
il primo nappo offrir. Per opra mia
questo sarà d'atro veleno infetto.
Se m'inganni...
                              Ingannarti! E chi sottrarmi
Passami allor con questo ferro il core.
Taci, che il re già s'avvicina a noi.
attendono da te premio e mercede.
(Io tremo e fingo).
                                    Ogni misura eccede
la real pompa e nella reggia assira
con più fasto il piacer.
                                          Qui la tua cura
del ricco Gange e dell'eoe maremme
                         Da mille faci e mille
vinta è la notte; e ripercosso intorno
fra l'ostro e l'or multiplicato il lume.
io preparai la fortunata stanza,
pegno dell'amor mio.
                                         (Finge costanza).
chi più di me saria felice?
                                                 (Ingrato!)
puoi dubitar? Saggia è Tamiri e vede
che il più degno tu sei.
                                           Che ascolto! Ircano,
Dov'è il tuo fuoco e l'impeto natio?
Comincio, amico, ad erudirmi anch'io.
Così mi piaci.
                            È molto.
                                              Io non intendo
parla così. (A Semiramide e a Tamiri)
                      (M'intenderai fra poco).
misto risuoni a liete danze il canto. (Dopo seduta nel mezzo Semiramide, siedono alla destra di lei Tamiri e poi Scitalce. Alla sinistra Mirteo, poi Ircano. Sibari è in piedi appresso Ircano. Intanto sinfonia, coro e ballo)
In lucido cristallo aureo liquore,
Sibari, a me si rechi.
                                        (Ardir, mio core). (Va a prender la tazza)
(Il colpo è già vicino).
                                         (Oh dio, s'appressa
                         (Che sarà!)
                                                (Che punto è questo!)
Tamiri, e scegli. Il sospirato dono (Dà la tazza a Tamiri)
e goda quegli il grand'acquisto in pace.
Principi, il dubbio, in cui finor m'involse
discioglie il genio e non offende alcuno,
Ecco lo sposo e il re; Scitalce beva. (Tamiri posa la tazza avanti a Scitalce)
(Ah qual impegno!)
                                      (Or s'avvicina a morte).
Via, Scitalce, che tardi? Il re tu sei.
lo comanda a Scitalce?
                                           Io non comando;
fa' il tuo dover.
                              Sì, lo farò. (L'ingrata
si punisca così). D'ogn'altro amore
mi scordo in questo punto... (Ah non ho core). (Volendo bere e poi s’arresta)
il dono, o principessa; io non l'accetto.
               (Oh sventura!)
                                             E lei ricusi allora
Non s'offende in tal guisa una regina.
difensor di Tamiri. (A Semiramide) E tu non devi
la tazza ricusar, prendila e bevi. (A Scitalce)
Principe, invan ti sdegni; ei col rifiuto
e al demerito suo giustizia rende.
No no; voglio ch'ei beva.
                                              Eh taci. Intanto
per degno premio al tuo cortese ardire
ricevi tu con più giustizia, Ircano. (Prende la tazza in atto di darla ad Ircano)
te destino al mio trono, all'amor mio.
(Sibari, che farò?) (Piano a Sibari)
                                     (Mi perdo anch'io). (Piano ad Ircano)
Perché taci così? Forse tu ancora
vuoi ricusarmi?
                               No, non ti ricuso;
penso... Vorrei... Ma temo... (Io son confuso).
un momento pensar; prendila e bevi.
                    Ma risolvi.
                                          Ho risoluto. (S’alza e prende la tazza)
Così riceve un tuo rifiuto Ircano.
Ah questo è troppo. Ognun disprezza il dono!
a mendicar chi le mie nozze accetti?
in Assiria veniste? O il mio sembiante
che a farlo tollerar non basta un regno?
È giusta l'ira tua.
                                 Dell'amor mio
dovresti, o principessa...
                                              Alcun d'amore
più non mi parli. Io son l'offesa e voglio
punito l'offensor. Scitalce mora.
il mio dono avvilì. Chi sua mi brama
venga tinto di sangue ed io l'accetto.
per essermi fedel).
                                     Scitalce, andiamo.
il dono offrir della tua testa io voglio.
arrossir ti farò. (In atto di partire con Ircano)
                               (Stelle, che fia!)
Arrestatevi, olà, l'impresa è mia.
chiamai Scitalce.
                                 Io difensor più giusto
                            Ella di te non cura
né mai ti scelse.
                               Ella ti sdegna, offesa
dal tuo rifiuto.
                             E tu pretendi...
                                                           E vuoi...
Tacete, è vano il contrastar fra voi.
venga Ircano, Mirteo, venga uno stuolo;
solo io sarò né mi sgomento io solo. (In atto di partire)
Fermati. (Oh dio!)
                                    Che chiedi?
                                                            In questa reggia
il rifiuto soffrì. Prima d'ogn'altro
io son l'offeso e pria d'ogn'altro io voglio
l'oltraggio vendicar. Qui prigioniero
resti Scitalce e qui deponga il brando.
la custodia del reo.
                                    Come!
                                                   Che intendo!
(Così non mi paleso e lo difendo).
Non più, così comando. Il re son io.
a Scitalce così? Colpa sì grande
ti sembra il mio rifiuto? Ah troppo insulti
la sofferenza mia! Qui potrei farti
forse arrossir.
                            Olà, t'accheta e parti.
Ma qual perfidia è questa! Ove mi trovo!
Nella reggia d'Assiria o fra i deserti
dell'inospita Libia? Udiste mai
il Moro infido o l'Arabo rapace?
han più fede tra loro anche le fiere. (Getta la spada)
che son pietosa e non crudel).
                                                       Perdona,
signor, s'io troppo ardisco. Il tuo comando
Scitalce a un punto e la mia speme oltraggia.
il trionfar di lui?
                                 Chi mai t'intende?
Or Tamiri non curi ed or la brami.
               Se amavi allor, come in te nacque
d'un rifiuto il desio?
                                       Così mi piacque.
Se ti piacque così, perché la pace
or mi vieni a turbar?
                                        Così mi piace.
Strano piacer! Dell'amor mio ti fai
rivale, Ircano, ed il perché non sai?
che vorresti da me?
                                      Da te vorrei
ragion dell'opre tue.
                                       Saper desio
                   Non tacer.
                                        Parla.
                                                     Rispondi.
sventurato in amore; un tal rivale
si preferisce a me.
                                    Non è Tamiri
sposa finor; molto sperar tu puoi.
Scitalce è prigionier; si rese Ircano
dell'imeneo col suo rifiuto indegno;
facilmente otterrai la sposa e il regno.
Che giova il merto? Io soffrirò ma poi
chi ragion mi farà? Forse Tamiri?
da lei mercede; a tuo favore io stesso
tutto farò. Ti bramerei felice.
                         Ti meravigli, o prence,
Tu più caro mi sei di quel che credi.
è una prova d'amor. Questa mi toglie
l'immagine dal cor. Questa risveglia
mille teneri affetti in sen mi desta.
la sua fé rammentando e non gl'inganni.
nelle felicità scordar gli affanni!
L'accortezza che val, se ognor con nuovi
d'ogni disegno mio le fila intrica?
vive Scitalce e sa la trama Ircano.
                    Perché?
                                     Voglio che a lei
discolpi il mio rifiuto.
                                          Il suo pensiero
                              Con palesarle il vero.
                Sì, tu le dirai ch'io l'amo,
la ricusai, ch'era la tazza aspersa
di nascosto velen, che tua la cura
fu d'apprestarlo, e che dai detti tui
l'inganno a favorir sedotto io fui.
Signor, che dici? E pubblicar vogliamo
un delitto comun? Reo della frode
saresti al par di me. Fra lor di colpa
chi meditò, chi favorì l'inganno.
D'un desio di vendetta alfin Tamiri
mi creda reo, non del rifiuto; e sappia
perché la ricusai.
                                 Troppo mi chiedi,
E ben, taccia il tuo labbro e parli il mio. (In atto di partire)
Senti. (Al riparo). Il tuo parlar scompone
un mio pensier che può giovarti.
                                                             E quale?
Pria che sorga l'aurora, io di Tamiri
possessor ti farò.
                                 Come?
                                                 Al tuo cenno
navi, seguaci ed armi?
                                           E ben che giova?
Ai reali giardini il fiume istesso
bagna le mura e si racchiude in quelli
di Tamiri il soggiorno. Ove tu voglia
l'impresa assicurar, per tal sentiero
rapir la sposa e a te recarla io spero.
Dubbia è l'impresa.
                                      Anzi sicura. Ognuno
sarà immerso nel sonno; a quest'insidia
non v'è chi pensi e incustodito è il loco.
mi piaccia il tuo pensier ma non vorrei...
Eh dubitar non dei; fidati, io vado,
il sito ad esplorar; tu coi più fidi
A momenti verrò, vanne e m'attendi.
e Scitalce e Mirteo, Tamiri e Nino!
Che si fa? Che si pensa? Ancor non turba
né pur con la minaccia i sonni al reo?
Hai difensor più degno; ecco Mirteo.
Scitalce ancor?
                             Si vincerà, se basta
esporre a tua difesa il sangue mio.
avrà premio da me.
                                      Degno d'affetto
veramente è Mirteo; rozzo in amore
non è come son io, ne sa gli arcani.
un'ombra di speranza è gran mercede.
sarà forse mio sposo; ei non invano
Fortunato Mirteo! (Quanto s'inganna!)
pietosa ti vedrò!
                                Se di Scitalce
pria non sei vincitor, tu di Tamiri
possessor non sarai.
                                      L'avrei punito,
s'ei fosse in libertà. Nino lo rese
                             Perché?
                                              Per vendicarti.
Per vendicarmi! E chi richiese a lui
che il punisca un di voi.
                                             Libero ei vada,
                             A me lascia la cura
della sua libertà, tu pensa al resto.
stringerò la tua destra?
                                            Io mi spiegai
abbastanza con te.
                                   Sì, ma potresti
                             (Quant'è importuno!) Ingiusto
invano a sospirar che sempre temo,
Mirteo, cangia favella o cangia affetto.
un languido amator che mi tormenti
che mai lieto non sia, che sempre innanzi
mesto mi venga e che tacendo ancora
mi rimproveri ognor ch'io sono ingrata.
ti reco mai, se timido e modesto
ardisco il mio martir? Sola a sdegnarti
al sospirar d'un rispettoso amante.
ragione ha Nino? Io chiederò... Ma viene.
prigioniero Scitalce?
                                        A tuo riguardo.
Voglio che a' piedi tuoi supplice, umile
e perdono e pietà.
                                   Gran pena invero!
Eh non basta al mio sdegno. Io vo' che il petto
esponga al nudo acciaro; io vo' che sia
la sua vita in periglio; e se un rivale
sugli occhi miei gli trafiggesse il seno,
nel suo morir sarei contenta appieno.
Ah mal conviene a tenera donzella
di brama sì tiranna il core acceso.
Parli così perché non sei l'offeso.
(Lo sdegno coll'amor venga alla prova).
ho desio d'appagarti e già che vuoi
Scitalce estinto, io la tua brama adempio;
ma non chiamarmi poi barbaro ed empio.
chiamar ti deggio.
                                   In solitaria parte
farò che innanzi a te cada trafitto.
tardi, ingrato, da me pietà vorrai.
Che bel piacere avrai del nudo acciaro
della morte il terror correr sul viso!
per dar soccorso alle squarciate vene!
tentar gli accenti, la pupilla errante
i rai cercar della smarrita luce,
or sul tergo cadergli ed or sul petto!
                 (Già impallidisce). Odimi; allora
aprigli il sen con le tue mani istesse.
               Ahimè!
                                Strappagli allor quel core
               Taci una volta.
                                            (Ha vinto amore).
Tu parli di pietade e sei l'offesa?
Troppo crudel mi vuoi.
                                            Ma che vorresti?
Scitalce è qui.
                            L'ascolterò fra poco;
di' che m'attenda. E ben risolvi; a lui (A Tamiri)
condoni il fallo? (Sibari parte)
                                No.
                                          Dunque s'uccida.
Scitalce udir, spiegami i sensi tuoi.
                    Che?
                                Dirai... Di' ciò che vuoi.
S'avanzi il prigionier. Mi balza in petto
impaziente il cor; più non poss'io
coll'idol mio dissimular l'affetto.
Eccomi; che si chiede? A nuovi oltraggi
vuoi forse espormi o di mia morte è l'ora?
E come hai cor di tormentarmi ancora?
Deh non fingiamo più. Dimmi che vive
nel petto di Scitalce il cor d'Idreno;
Semiramide tua, che per salvarti
ti resi prigionier, ch'io fui l'istessa
sempre per te, che ancor l'istessa io sono.
Torna, torna ad amarmi e ti perdono.
Forse i tuoi tradimenti?
                                              Oh stelle! Oh dei!
I tradimenti miei! Dirlo tu puoi?
Tu puoi pensarlo?
                                   Udite, ella s'offende,
tentato il mio morir, com'io veduto
non avessi il rival, come se alcuno
non m'avesse avvertito il mio periglio!
Rivolgi altrove, o menzognera, il ciglio.
a credermi sì rea?
                                   So che ti spiacque,
i numi ebber pietà.
                                      Quei numi istessi,
dell'innocenza mia facciano fede.
Io tradir l'idol mio? Tu fosti e sei
del mio tenero cor tutta la cura.
torni Scitalce a trapassarmi il seno.
Tu vorresti sedurmi; un'altra volta,
più le lagrime tue forza non hanno.
sé stessa abbandonar, lasciar per lui
Se questo è inganno, e qual sarà l'amore?
                           E mi deride! Udite
se mostra de' suoi falli alcun rimorso!
io tutta umile, egli di sdegno acceso,
la colpevole io sembro ed ei l'offeso.
No no, la colpa è mia; purtroppo sento
rimorso al cor; ma sai di che? D'un colpo
che lieve fu, che non t'uccise allora.
Barbaro, non dolerti, hai tempo ancora.
Eccoti il ferro mio, da te non cerco
difendermi, o crudel; saziati, impiaga,
passami il cor; già la tua mano apprese
del ferirmi le vie. Mira, son queste
l'orme del tuo furor; ti volgi altrove?
Riconoscile, ingrato, e poi mi svena.
Va', non ti credo.
                                 Oh crudeltade! Oh pena!
Partì l'infida e mi lasciò nel seno
fra lor nemici. Il suo dolor mi spiace,
la sua colpa abborrisco; e il core intanto
di rabbia freme e di pietà sospira
e mi si desta il pianto in mezzo all'ira.
son crudo a me, non son pietoso a lei.
Che fa? Che tarda? Impaziente ormai
la sposa attendo; il nuovo sol già nasce
e Sibari non torna. Ah qualche inciampo
all'impresa trovò! Ma genti ascolto;
è Sibari che vien; Tamiri è mia.
solleciti al partir. (Alle guardie sulle navi)
                                  Signor, fuggiamo.
E Tamiri dov'è?
                                Fuggiam, che tutta
suona la reggia e al femminil tumulto
accorrono i custodi; argine intanto
che mi desti all'impresa. Ah già che il fato
due vittime togliamo al regio sdegno.
Questa è la sposa a cui trovarmi in braccio
dovea l'aurora? E tu senza Tamiri
Era vano arrischiarmi incontro a tanti.
che temesti versar, sparger vogl'io.
E pur colpa non ho...
                                       Cadi trafitto...
Sempre in te punirò qualche delitto. (Ircano cava la spada e Sibari fa lo stesso difendendosi)
non potrete involarvi. (Esce Mirteo inseguendo alcuni sciti che si ritirano alle navi e dopo lui escono gli assiri. Tutti con armi)
                                          Aita, o prence,
non basto incontro a lui.
                                              Barbaro scita,
si contrastan gli amori?
                                             A tuo dispetto
                           L'avrai! Correte, assiri;
Ti svenerò, superbo.
                                       Invan lo speri. (Ircano, Mirteo, Sibari si dividono combattendo; gli sciti balzano dalle navi e siegue incendio delle dette con zuffa fra gli sciti e gli assiri, la quale terminata colla fuga de’ primi, escono di nuovo combattendo Ircano e Mirteo e resta Ircano perditore)
Cedi il ferro o t'uccido.
                                           A me l'acciaro
non toglierai, se non rimango estinto.
No no; vivrai ma disarmato e vinto. (Mirteo disarma Ircano e getta la spada)
prigionier conducete.
                                         Io prigioniero!
Sì; fremi, traditor.
                                    Di mie sventure
sarà prezzo il tuo sangue.
                                               Eh di minacce
tempo non è; grazia e pietade implora.
Grazia e pietà! Farò tremarvi ancora.
e del ciel e del mar giammai non cede.
i folgori sul capo, i venti intorno;
in mezzo a' nembi procellosi e neri
fa da lunge tremar navi e nocchieri.
                          Mirteo, respira.
Tu il barbaro opprimesti, i suoi seguaci
io dispersi e fugai. Salva è Tamiri,
                          Quanto ti deggio, amico.
chi preveder potea? Fu gran ventura
lo strepito dell'armi. Accorsi e vidi
di Tamiri il soggiorno, aperto il varco
del giardino reale, Ircano armato,
disposto ogni nocchier, sciolto ogni legno.
m'inorridii, m'opposi; il brando strinsi
ma non la preda al temerario scita.
d'un'eterna amistà, Sibari, un pegno.
Tu mi rendi la pace; io piangerei
privo dell'idol mio.
                                     L'opre dovute
                          (Che fortunato inganno!)
per te mi trovo.
                               Il tuo maggior nemico
non t'è noto però.
                                  Lo so, Scitalce
funesto è all'amor mio.
                                            Solo all'amore?
Ah Mirteo, nol conosci.
                                           Io nol conosco?
No. (S'irriti costui). Scitalce è quello
ti rapì la germana.
                                    Oh dei, che dici!
Donde, Sibari, il sai?
                                        Noto in Egitto
egli mi fu; del tuo gran padre allora
ero i custodi a regolare eletto,
crescevi in Battra a Zoroastro appresso.
                            Non dubitarne, è desso.
si voli a Nino, il traditor s'uccida. (In atto di partire)
un incauto furor? Taci, che Nino
troppo amico è a Scitalce; e non t'avvedi
prigionier l'assicura? Ov'è la pena
per deludervi solo, al suo delitto?
Troppo credulo sei.
                                     Lo veggo e intanto
                              Dissimular lo sdegno,
accertar la vendetta; un vile acciaro
basta a compirla; e tuo rossor saria
s'ei per tua man cadesse.
                                               Ardo di sdegno,
non soffre l'ira mia freno o ritegno.
inutile non è. Scitalce estinto
un inciampo mi toglie al letto e al soglio.
di delitto in delitto ognor mi guida
necessario si rende ogn'altro eccesso.
Nol voglio udir. Da questa reggia Ircano
parta a momenti. Egli perdé nel vile (Una comparsa, ricevuto l’ordine da Semiramide, parte)
ogni ragione all'imeneo conteso.
riconosce Tamiri...
                                    Ove s'asconde?
Che fa Scitalce? Al paragon dell'armi
perché non vien?
                                  La principessa offesa
tace e solo Mirteo pugnar desia?
Scitalce è un traditor.
                                         (Che ascolto, oh dei!)
contendermi non puoi; legge è del regno.
la chiederò, se me la nieghi; e quando
né pur l'ottenga, a trucidar l'indegno
saprò d'un vil ministro armar la mano
e poi non è l'Egitto assai lontano.
Qual impeto è mai questo? A me ti fida,
caro Mirteo, ti sono amico e penso
al tuo riposo al par di te.
                                              Tu pensi
a difender Scitalce, egli t'è caro.
Questa è la cura tua, tutto m'è noto.
                             Risolvi o l'ira mia
libera avamperà.
                                 Taci; un momento
ti chiedo sol; t'appagherò; m'attendi
nelle vicine stanze e torna intanto
a richiamar quel mansueto stile
che t'adornò finora.
                                      Indarno il chiedi.
alma pigra allo sdegno è più feroce. (Parte)
forse nota al german, Scitalce è noto?
tremo per lui. Che far dovrò? Consiglio
ritrovassi placato il mio tiranno. (S’incontra in Scitalce)
Basta la mia dimora? E fin a quando
deggio un vile apparir? M'uccidi o rendi
al braccio, al piè la libertade e l'armi.
con la sorte congiuri? Ah siamo entrambi
che Mirteo ci conosca; ai detti suoi,
quasi chiaro si scorge; e se mai vero
fosse il sospetto, egli vorrà col sangue
punir la nostra fuga; e quando invano
pur la tentasse, al popolo ingannato
il tumulto potria farmi palese.
chiede la sorte mia, pensaci, o caro.
faccia il destino.
                                Un periglioso scampo
questo saria. Ve n'è un miglior.
                                                          Non voglio
Non ti sdegnare; un imeneo potrebbe
se a me tu porgi...
                                   Eh l'ascoltarti è vano. (In atto di partire)
Sentimi per pietà. Se mel concedi,
che mai ti può costar?
                                          Più che non credi. (Partendo)
vanne pur dove vuoi, libero e sciolto.
Via, per l'ultima volta ora t'ascolto.
(Quanto è crudel!) Se la tua man mi porgi,
tutto in pace sarà. Vedrà Mirteo
giustificato in noi l'antico errore;
non gli sarà Scitalce; e quando uniti
voi siate in amistà, l'armi d'Egitto,
le forze del tuo regno, i miei fedeli,
saran bastanti a conservarmi il trono.
quando giungessi a terminar la vita
coll'idol mio, col mio Scitalce unita!
Parla, ch'io già parlai.
                                         Rendimi il brando,
Così rispondi? E qual favella è questa?
né al mio pensiero il tuo pensier nasconda.
Che brami udir? Ch'una spergiura, un'empia,
ch'una perfida sei? Che invan con questi
mi pretendi ingannar? Ch'io non ti credo?
Che pria d'esserti sposo esser vorrei
dal suol sepolto o incenerito adesso?
Lo sai né giova il replicar l'istesso.
anima senza legge e senza fede?
Qual fiera t'educò? Dove nascesti?
Taci, ingiurie novelle udir non voglio.
il brando al prigionier, libero sei. (Esce una guardia e ricevuto l’ordine parte)
il tuo cieco furor; vanne ma pensa
ch'oggi ridotta alla sventura estrema
vendicarmi saprò; pensaci e trema.
simular fedeltà! Sogno o son desto!
pur di Sibari il foglio. «Amico Idreno,
Semiramide tua...» Folle, a che giova
da un foglio mendicar, se agli occhi miei
scoperse il cielo i tradimenti rei?
la tirannia d'un vergognoso affetto. (Partendo s’incontra in Tamiri)
m'avveggo dell'error. Teco un ingrato
so che finora io fui ma più nol sono;
concedimi, io lo chiedo, il tuo perdono.
(Nino parlò per me). Senti, Scitalce;
tutto mi scorderei ma in te sospetto
viva la fiamma ancor.
                                         No, non è vero.
d'amor per te, mi liberò, mi sciolse,
mi fe' arrossir d'ogni altro laccio antico.
(Quanto fa la pietà d'un vero amico!)
Finger tu puoi; nol crederò, se pria
Ecco la destra mia; vedi se fingo.
prendi. (Nell’atto che vuol dargli la mano, esce Mirteo)
                 Che ardir, che tradimento è questo?
Così vieni a pugnar? Chi ti trattiene?
Più non sei prigionier, libero il campo
il re concede; a che tardar? Raccogli
sollecito sarò.
                           Dunque si vada.
Che tu pugni per me più non intendo.
Eh lasciami pugnar. (A Tamiri) Prence, t'attendo.
si voli al re). (In atto di partire)
                          Così mi lasci? Ascolta.
                      Dunque mi fuggi?
                                                          Oh dio!
Non ti fuggo, t'inganni.
                                            E perché mai
Mirteo, per pace tua lasciami e parti.
Per pace mia, tiranna! Ad un rivale
Prence, non più; tu mi tormenti invano.
non seppe il volto tuo rendermi amante;
sai che d'altre catene ho cinto il core.
                           Ma la ragione è amore.
Or va', servi un'ingrata; il tuo riposo
perdi per lei, consacra a' suoi voleri
tutte le cure tue, tutt'i pensieri.
poi si premia la fé di chi l'adora.
Diviene infida e ne fa pompa ancora.
A forza io passerò. (Di dentro)
                                    Quai grida io sento!
Mi si contende il varco? (Alle guardie entrando in scena)
                                              E qual ardire
qui ti trattien? Così partisti? Adempi
il mio cenno così?
                                   Vo' del cimento
trovarmi a parte anch'io; lasciar non voglio
la destra di Tamiri ad altri in pace.
non ricusasti? Altra ragion non hai.
non la sua destra. Avvelenato il nappo
Sibari aveva; io non mancai di fede.
che m'incolpi così, perché Tamiri
non ti lasciai rapir? Folle vendetta,
                                  Come! (M'avvampa
di rabbia il cor). Di rapir lei non ebbi
il consiglio da te, da te l'aita?
la tua perfidia. A contrastarti il passo
non lo vide Mirteo? Di tue menzogne
arrossisci una volta.
                                      Il mio disegno
E taci, indegno; io te conosco e lui.
è Sibari il fedel.
                               No, non è vero;
Tu vorresti ingannarmi. O taci o parti.
Non più; si dia della battaglia il segno. (Mentre Semiramide va sul trono, Ircano si ritira da un lato in faccia a lei. Sibari resta alla sinistra del trono, suonano le trombe, s’aprono i cancelli, dal destro de’ quali vien Mirteo e dall’opposto Scitalce, ambedue senza spada, senza cimiero e senza manto)
(Al traditore in faccia il sangue io sento
agitar nelle vene). (Guardando Scitalce)
                                    (Io sento il core
agitarsi nel petto in faccia a lei). (Guardando Semiramide)
(Spettacolo funesto agli occhi miei!)
(Io non parlo e m'adiro). (Due capitani delle guardie presentano l’armi a Scitalce e a Mirteo e si ritirano appresso i cancelli)
                                                (Io temo e spero).
dimostraste abbastanza; ognun ravvisa
nella vostra prontezza il vostro ardire.
non macchi il vostro sangue. Io so che il campo
contendervi non posso e nol contendo,
la tragedia impedir. Vivete e sia
la vita mia, la mia corona, il trono.
                   All'armi.
                                      (Oh giusti dei, son morta!) (Mentre si battono, esce frettolosa Tamiri)
È inutile la pugna; io la richiesi,
io più non la desio.
                                     Se a te non piace,
è necessaria a me; vendico i miei,
non i tuoi torti. È un traditor costui,
mentisce il nome; egli s'appella Idreno,
dall'Egitto rapì.
                               (Stelle, che fia!)
Saprò, qualunque io sia...
                                                Mirteo, t'inganni.
quell'Idreno non è.
                                     L'ascondi invano.
Sibari lo conobbe, egli l'afferma.
perfido amico! È ver, mi finsi Idreno, (A Mirteo)
t'involai la germana.
                                       Ove si trova
Semiramide rea? Parla, rispondi,
pria ch'io versi il tuo sangue.
                                                      (Oh dio, mi scopre!)
e fra l'onde del Nilo io la gittai.
                           Che ascolto!
                                                   A tanto eccesso,
empio, giungesti?
                                   In questo foglio vedi (Cava il foglio e lo dà a Mirteo)
Sibari lo vergò; leggi, Mirteo.
                   (Che foglio è quello?)
                                                            «Amico Idreno, (Legge)
Semiramide tua porti tu stesso.
L'insidia è al Nilo appresso. Ella, che brama
di doverla rapir, ti finge amore;
fugge con te ma col disegno infame
a quello a cui la stringe il genio antico.
Vivi; ha di te pietà Sibari amico».
                           (Che incontro!)
                                                          E tanto ardisti,
Sibari, d'asserir? Di nuovo afferma
s'è verace quel foglio o menzognero.
                       (Che dirò?) Sì, tutto è vero.
Sibari, io non t'intendo. In questo foglio
l'avverti d'un periglio e poi ti sento
di Scitalce si fa Sibari istesso?
Allor... (Mi perdo...) Io non credea... Parlai...
Perfido, ti confondi. Ah Nino, è questi
un traditor; dal labbro suo si tragga
                          (Se qui a parlar l'astringo,
al popolo mi scopre). In chiuso loco
costui si porti e sarà mia la cura
che il tutto a me palesi.
                                            In questa guisa,
Nino, mi tratti? A che portarmi altrove?
                         No, vanne; i detti tuoi
                 Resti.
                              Si senta.
                                                Udite.
                                                              (Oh dio!)
Semiramide amai. Lo tacqui; intesi
l'amor suo con Scitalce. A lei concessi
agio a fuggir; quanto quel foglio afferma
finsi per farla mia.
                                    Numi! Fingesti?
vidi il rival, vidi gli armati.
                                                   Io fui
sul Nilo v'attendea. Volli assalirti,
ma fra l'ombre in un tratto io vi perdei.
Ah perfido! (Che feci!)
                                            Udite; ancora
molto mi resta a dir.
                                       Sibari, basta.
de' falli apposti a me.
                                         Tutti son miei.
                              No, non mi basta.
                                                                (O dei!)
altri lieto non sia. Popoli, a voi
scopro un inganno, aprite i lumi; ingombra
una femmina imbelle il vostro impero.
Taci. (È tempo d'ardir). Popoli, è vero; (S’alza in piedi sul trono)
Semiramide io son; del figlio invece
regnai finor ma per giovarvi. Io tolsi
del regno il freno ad una destra imbelle,
non atta a moderarlo; io vi difesi
dal nemico furor; d'eccelse mura
i regni dell'Assiria. Assiria istessa
dica per me se mi provò finora
ardita in guerra e moderata in pace.
Se sdegnate ubbidirmi, ecco depongo
il serto mio. Non è lontano il figlio; (Depone la corona sul trono)
                          Ah Mirteo! (Scende dal trono ed abbraccia Mirteo)
                                                 Perdono, o cara. (S’inginocchia)
della mia destra il dono.
                                              Oh dio, Tamiri!
io ti promisi amor.
                                     Tolgano i numi
ch'io turbi un sì bel nodo! In questa mano
ecco il premio, o Mirteo, da te bramato. (Tamiri dà la mano a Mirteo)
                                 Oh me beato!
Lasciatemi svenar Sibari e poi
al Caucaso natio torno contento.
principe, i casi miei vedi che sono. (Ad Ircano)
Sia maggior d'ogni esempio anche il perdono.

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