Metrica: interrogazione
997 endecasillabi (recitativo) in Artaserse B 
               Sentimi Arbace.
                                               Ah che l'aurora
adorata Mandane è già vicina
fosse ch'io venni in questa reggia ad onta
del barbaro suo cenno, in mia difesa
un trasporto d'amor che mi consiglia;
non bastarebbe a te d'essergli figlia.
Saggio è il timor. Questo real soggiorno
periglioso è per te. Ma puoi di Susa
fra le mura restar. Serse ti vuole
ma non dalla città. Non è perduta
ogni speranza ancor. Sai che Artabano
regola a voglia sua di Serse il core,
che a lui di penetrar sempre è permesso
dell'albergo real, che il mio germano
dell'amicizia tua. Cresceste insieme
di fama e di virtù. Voi sempre uniti
vide la Persia alle più dubbie imprese
e l'un dall'altro ad emularsi apprese.
il popolo t'adora e nel tuo braccio
il più saldo riparo aspetta il regno;
avrai fra tanti amici alcun sostegno.
Ci lusinghiamo, o cara. Il tuo germano
vorrà giovarmi invano; ove si tratta
la difesa d'Arbace, egli è sospetto
non men del padre mio; qualunque scusa
rende dubbiosa alla credenza altrui
nel padre il sangue e l'amicizia in lui.
manca de' falsi amici, allor che manca
il favor del monarca. Oh quanti sguardi,
che mirai rispettosi, or soffro alteri!
Onde che vuoi ch'io speri? Il mio soggiorno
serve a te di periglio, a me di pena,
i sospetti fomenta, a me che deggio
trovarmi sempre e non vederti mai.
colpevole mi fa, voglio, ben mio,
voglio morire o meritarti. Addio. (In atto di partire)
di lasciarmi così?
                                  Non sono, o cara,
il crudel non son io. Serse è il tiranno,
l'ingiusto è il padre tuo.
                                             Di qualche scusa
egli è degno però, quando ti niega
le richieste mie nozze. Il grado... Il mondo...
La distanza fra noi... Chi sa che a forza
non simuli fierezza e che in segreto
forse non disapprovi il suo rigore.
niegarti a me; ma non dovea da lui
discacciarmi così, come s'io fossi
un rifiuto del volgo, e dirmi vile,
temerario chiamarmi. Ah principessa,
nel più vivo del cor. Se gli avi miei
non distinse un diadema, in fronte almeno
lo sostennero a' suoi. Se in queste vene
non scorre un regio sangue, ebbi valore
di serbarlo al suo figlio. I suoi produca,
non i merti degli avi. Il nascer grande
è caso e non virtù, che se ragione
regolasse i natali e desse i regni
solo a colui ch'è di regnar capace,
forse Arbace era Serse e Serse Arbace.
Con più rispetto, in faccia a chi t'adora,
parla del genitor.
                                 Ma quando soffro
un'ingiuria sì grande e che m'è tolta
la libertà d'un innocente affetto,
se non fo che lagnarmi, ho gran rispetto.
a dubitar dell'amor tuo. Tant'ira
odiando il genitore ami la figlia.
è argomento d'amor; troppo mi sdegno,
perché troppo t'adoro e perché penso
forse mai più ti rivedrò, che questa
fors'è l'ultima volta... Oh dio tu piangi!
Ah non pianger, ben mio, senza quel pianto
son debole abbastanza; in questo caso
io ti voglio crudel, soffri che io parta;
la crudeltà del genitore imita. (Come sopra)
a vedermi lasciar; partir vogl'io;
addio mio ben.
                              Mia principessa addio.
O momento crudel che mi divide
da colei per cui vivo e non m'uccide!
Figlio, Arbace.
                             Signor.
                                             Dammi il tuo ferro.
               Prendi il mio; fuggi, nascondi
quel sangue ad ogni sguardo.
                                                      Oh dei! Qual seno
questo sangue versò? (Guardando la spada)
                                          Parti; saprai
                         Ma quel pallore o padre,
m'empiono di terror. Gelo in udirti
così con pena articolar gli accenti;
parla; dimmi, che fu?
                                          Sei vendicato,
Serse morì per questa man.
                                                    Che dici!
Che sento! Che facesti!
                                            Amato figlio,
son reo per te.
                            Per me sei reo? Mancava
questa alle mie sventure. Ed or che speri?
forse tu regnerai. Parti, al disegno
orribili momenti.
                                  E tardi ancora?
                    Parti, non più, lasciami in pace.
Che giorno è questo, o disperato Arbace.
Coraggio o miei pensieri. Il primo passo
v'obbliga agli altri; il trattener la mano
è un farsi reo senza sperarne il frutto.
fino all'ultima stilla il regio sangue;
stimolo di virtù; di lode indegno
non è, come altri crede, un grande eccesso;
resistere a' rimorsi, in mezzo a tanti
oggetti di timor serbarsi invitto
son virtù necessarie a un gran delitto.
Qual tumulto! Ah signor tu in questo luogo
prima del dì? Chi ti destò nel seno
quell'ira che lampeggia in mezzo al pianto.
necessario mi sei! Consiglio, aiuto,
vendetta, fedeltà.
                                  Principe io tremo
giace colà su le tradite piume.
notte funesta infra i silenzi e l'ombre
assicurò la colpa un'alma ingrata.
sete di regno! E qual pietà, qual santo
vincolo di natura è mai bastante
a frenar le tue furie!
                                       Amico intendo.
è Dario il reo.
                           Chi mai potea la reggia
notturno penetrar? Chi avvicinarsi
al talamo real? Gli antichi sdegni,
il suo torbido genio avido tanto
dello scettro paterno... Ah ch'io prevedo
Guardati per pietà. Serve di grado
un eccesso talvolta all'altro eccesso.
Vendica il padre tuo, salva te stesso.
amicizia per me, vada, punisca
il parricida, il traditor.
                                           Custodi,
un prence, un figlio e se volete in lui
vi parla il vostro re. Compite il cenno,
punite il reo. Son vostro duce, io stesso
reggerò l'ire vostre, i vostri sdegni.
(Favorisce fortuna i miei disegni).
non turbi il genitor più che l'offesa?
Dario è figlio di Serse.
                                           Empio sarebbe
chi uccise il genitor non è più figlio.
Qual vittima si svena! Ah Megabise...
Sgombra le tue dubbiezze. Un colpo solo
punisce un empio e t'assicura il regno.
al mondo comparir desio d'impero;
saria bastante a funestar la pace
di tutti i giorni miei. No no, si vada
il cenno a rivocar... (In atto di partire)
                                     Signor, che fai?
di rammentar le tue private offese.
più volte t'insegnò.
                                     Ma non degg'io
imitarlo ne' falli. Il suo delitto
non giustifica il mio; qual colpa al mondo
un esempio non ha? Nessuno è reo,
per difesa portar l'esempio altrui.
è il defender sé stesso. Egli t'uccide,
se non l'uccidi.
                             Il mio periglio appunto
impegnarà tutto il favor di Giove
del reo germano ad involarmi all'ira. (Come sopra)
Dove, principe, dove?
                                          Addio Semira.
Sentimi, non partir.
                                       Lascia ch'io vada;
non arrestarmi.
                               In questa guisa accogli
chi sospira per te?
                                    Se più t'ascolto,
troppo, o Semira, il mio dover offendo.
Va' pure ingrato, il tuo disprezzo intendo.
Gran cose io temo. Il mio germano Arbace
parte pria dell'aurora. Il padre armato
incontro e non mi parla. Accusa il cielo
agitato Artaserse e m'abbandona.
Megabise, che fu? Se tu lo sai,
fra tanti suoi timori a un sol timore.
E tu sola non sai che Serse ucciso
Che Dario è l'uccisore? E che la reggia
fra le gare fraterne arde divisa?
Miseri noi, misera Persia...
                                                   E lascia
d'affligerti, o Semira. Hai forse parte
fra l'ire ambiziose e fra i delitti
della stirpe real? Forse paventi
che un re manchi alla Persia? Avremo, avremo
purtroppo a chi servir. Si versi il sangue
de' rivali germani; inondi il trono;
qualunque vinca, indifferente io sono.
ciascuno ha parte; e nel fedel vassallo
l'indifferenza è rea. Sento che immondo
è del sangue paterno un empio figlio,
che Artaserse è in periglio; e vuoi ch'io miri
spettatrice indolente e senza pena,
come i casi d'Oreste in finta scena?
d'Artaserse l'amor. Ma senti; o questo
del germano trionfa e asceso in trono
di te non avrà cura; o resta oppresso
e l'oppressor vorrà vederlo estinto;
onde lo perdi o vincitore o vinto.
il consiglio ascoltar? Scegli un amante
uguale al grado tuo. Sai che l'amore
d'uguaglianza si nutre. E se mai porre
volessi in opra il mio consiglio, allora
ricordati, ben mio, di chi t'adora.
renderne un altro in ricompensa e parmi
più opportuno del tuo; lascia d'amarmi.
vederti e non amarti.
                                         E chi ti sforza
il mio volto a mirar? Fuggimi e un'altra
di me più grata all'amor tuo ritrova.
Ah che il fuggir non giova. Io porto in seno
l'immagine di te; quest'alma avvezza
dappresso a vagheggiarti ancor da lungi
ti vagheggia ben mio. Quando il costume
l'alma quel che non ha sogna e figura.
deità protettrici, a questo impero
conservate Artaserse. Ah ch'io lo perdo,
se trionfa di Dario. Ei questa mano
bramò vassallo e sdegnarà sovrano.
forse non vale il mio dolor? Si perda,
pur che regni il mio bene e pur che viva.
se lo bramassi estinto empia sarei.
No, del mio voto io non mi pento o dei.
Dove fuggo? Ove corro? E chi da questa
m'invola per pietà, chi mi consiglia?
perdo i germani, il genitor, l'amante.
Dario respira? O nel fraterno sangue
cominciasti tu ancora a farti reo?
di serbarmi innocente. Il zelo, oh dio!
un comando crudel; ma dato appena
m'inorridì. Per impedirlo io scorro
sollecito la reggia e cerco invano
d'Artabano e di Dario.
                                           Ecco Artabano.
                  Amico.
                                  Io di te cerco.
                                                             Ed io
vengo in traccia di te.
                                         Forse paventi?
                    Eh non temer; tutto è compito.
Artaserse è il mio re, Dario è punito.
               O sventura!
                                       Il parricida offerse
incauto il petto alle ferite.
                                                Oh dio!
fu il cenno tuo.
                             Ma tu dovevi il cenno
più saggiamente interpretar.
                                                      L'orrore,
dovevi preveder.
                                 Dovevi alfine
ne' primi moti un violento ardore.
sarebbe stata in me. Furo i custodi
sì pronti ad ubbidir che Dario estinto
vidi pria che assalito.
                                         Ah questi indegni
del regio sangue impunemente il brando.
gli rese audaci e sei l'autor primiero
tu sol di questo colpo.
                                         È vero, è vero;
lo confesso Artabano, il reo son io.
Sei reo! Di che? D'una giustizia illustre
che un eccesso punì? D'una vendetta
dovuta a Serse? Eh ti consola e pensa
punisti alfine un parricida, un empio.
in sì lieto sembiante a noi ti guida?
Dario non è di Serse il parricida.
                      E donde il sai?
                                                   Certo è l'arresto
dell'indegno uccisor. Presso alle mura
del giardino real fra le tue squadre
rimase prigionier. Reo lo scoperse
la fuga, il loco, il ragionar confuso,
e il suo ferro di sangue ancor fumante.
abbassa ognuno a mie richieste il ciglio.
(Ah forse Arbace!)
                                    (È prigioniero il figlio!)
Dunque un empio son io. Dunque Artaserse
d'un innocente sangue ancora immondo,
orribile alla Persia, in odio al mondo.
Forse Dario morì?
                                    Morì, Semira.
uscì da' labri miei. Finch'io respiri
più pace non avrò. Del mio rimorso
la voce ognor mi suonerà nel core.
del germano vedrò l'ombre sdegnate
i miei torbidi giorni, i sonni miei
funestar minacciando e l'inquiete
furie vendicatrici in ogni loco
in pena, oh dio, della fraterna offesa,
la nera face in Flegetonte accesa.
Troppo eccede Artaserse il tuo dolore.
o non è colpa o è lieve.
                                          Abbia il tuo sdegno
un oggetto più giusto. In faccia al mondo
colla strage del reo.
                                     Dov'è l'indegno?
Conducetelo a me.
                                    Del prigioniero
vado l'arrivo ad affrettar. (In atto di partire)
                                                T'arresta;
Mandane, per pietà nessun mi lasci.
Assistetemi adesso; adesso intorno
tutti vorrei gli amici. Il caro Arbace,
Artabano, dov'è? Quest'è l'amore
che mi giurò fin dalla cuna? Ei solo
m'abbandona così?
                                     Non sai che escluso
Venga Arbace, io l'assolvo.
                                                 Arbace è il reo.
               Osserva il delitto in quel sembiante. (Accennando Arbace che esce confuso)
                   Il figlio!
                                    Il mio german!
                                                                  L'amante!
mi torni innanzi? Ed hai potuto in mente
tanta colpa nudrir?
                                     Sono innocente.
(Volesse il ciel).
                               Ma se innocente sei,
i sospetti, gl'indizi; e la ragione
dell'innocenza tua sia manifesta.
Io non son reo, la mia difesa è questa.
(Seguitasse a tacer).
                                       Ma i sdegni tuoi
                           Eran giusti.
                                                   La tua fuga?
È necessario.
                          Il tuo confuso aspetto?
Lo merita il mio stato.
                                          E il ferro asperso
di caldo sangue?
                                Era in mia mano, è vero.
E l'uccisor non sei?
                                     Sono innocente.
Lo veggo anch'io ma l'apparenza inganna.
Tu non parli, o Semira?
                                             Io son confusa.
Mi perdo anch'io nel meditar la scusa.
Misero, che farò! Punire io deggio
nell'amico più caro il più crudele
orribile nemico! A che mostrarmi
così gran fedeltà barbaro Arbace?
d'incorrotta virtude erano inganni
dunque d'un'alma rea? Potessi almeno
quel momento obliar che in mezzo all'armi
cadente sollevasti e col tuo sangue
generoso serbasti i giorni miei,
del padre mio nel vendicare il fato
la pena, oh dio, di divenirti ingrato.
signor non perda un innocente oppresso;
se mai degno ne fui, lo sono adesso.
puoi domandargli amor? Perfido figlio,
il mio rossor, la pena mia tu sei.
Anche il padre congiura a' danni miei!
Che vorresti da me? Ch'io fossi a parte
de' falli tuoi nel compatirti? Eh provi, (Ad Artaserse)
provi o signor la tua giustizia. Io stesso
sollecito la pena. In sua difesa
non gli giovi Artabano aver per padre;
scordati la mia fede; oblia quel sangue
tante volte pugnando i campi aspersi;
coll'altro ch'io versai, questo si versi.
                     Risolvi e qualche affetto,
se ti resta per lui, vada in oblio.
Risolverò; ma con qual core... Oh dio!
tanti oltraggi soffrir, misero Arbace!) (Da sé)
(Che avvenne mai!)
                                       (Quante sventure io temo).
(Io non spero più pace).
                                              (Io fingo e tremo).
Tu non mi guardi o padre! Ogn'altro avrei
sofferto accusator senza lagnarmi;
che chieder possa il mio morir colui
che il viver mi donò m'empie d'orrore,
stupido il cor mi fa gelar nel seno.
Senta pietà del figlio il padre almeno.
tanto, o barbari dei, vi sono in ira!
M'ascolti, mi compianga almen Semira.
E non v'è chi m'uccida! Ah Megabise
s'hai pietà...
                         Non parlarmi.
                                                     Ah principessa!
Involati da me.
                              Ma senti amico.
Non odo un traditore. (Parte)
                                          Oda un momento
Mandane almeno...
                                     Un traditor non sento. (In atto di partire)
Mio ben, mia vita... (Trattenendola)
                                       Ah scelerato! Ardisci
che uccise il genitore?
                                          Io non l'uccisi.
Dunque chi fu? Parla.
                                          Non posso. Il labro...
Il labro è menzognero.
                                           Il core...
                                                            Il core
no che del suo delitto orror non sente.
                 Sei traditor.
                                          Sono innocente.
                      Io lo giuro.
                                            Alma infedele.
(Quanto mi costa un genitor crudele!)
Cara, se tu sapessi...
                                       Eh, che mi sono
gli odi tuoi contro Serse assai palesi.
le tue minacce.
                              E pur t'inganni.
                                                             Allora,
che fedel mi sembrasti e ch'io t'amai.
                  La morte tua.
                                             Quel primo affetto...
E non mi credi?
                                E non ti credo, indegno.
più sventure per me. Tutte in un giorno
tutte, oh dio, le provai. Perdo l'amico,
m'accusa il genitor, piange il mio bene
E non posso parlar! Dove si trova
tormentata così come la mia?
Ma, giusti dei, pietà. Se a questo passo
lo sdegno vostro a danno mio s'avanza,
pretendete da me troppa costanza.
qui si conduca Arbace. Ecco adempite
le tue richieste; ah voglia il ciel che giovi
questo incontro a salvarlo.
                                                 Io non vorrei
che credessi, o signor, la mia domanda
pietà di padre o mal fondata speme
di trovarlo innocente. È troppo chiara
la colpa sua, deve morir. Non altro
che la tua sicurezza. Ancor del fallo
sono i complici ignoti, ogni segreto
tenterò di scoprir.
                                   La tua fortezza
quanto invidio Artabano. Io mi sgomento
tu non ti perdi e si condanna il figlio.
quanto costa al mio core! Intesi anch'io
le voci di natura. Anch'io provai
il dover trionfò. Non è mio figlio
chi mi porta il rossor di sì gran fallo;
prima che io fossi padre, ero vassallo.
mi parla per Arbace. Io più ti deggio
quanto meno il difendi. Ah renderei
troppo ingrata mercede a' merti tui,
senza dolor s'io ti punissi in lui.
una via di salvarlo, una ragione
ch'io possa dubbitar del suo delitto;
le tue cure alle mie.
                                      Che far poss'io,
s'ogni evento l'accusa e intanto Arbace
si vede reo, non si difende e tace?
Ma innocente si chiama. I labbri suoi
non son usi a mentir. Come in un punto
cangiò natura! Ah l'infelice ha forse
qualche ragion del suo silenzio. A lui
parla Artabano; ei svelerà col padre
quanto al giudice tace. Io m'allontano;
in libertà seco ragiona; osserva,
esamina il suo cor. Trova, se puoi,
un'ombra di difesa. Accorda insieme
la pace del tuo re, l'onor del trono;
ingannami, se puoi, ch'io ti perdono.
pronti attendete ad ogni cenno. (Partono)
                                                           Il padre
                         Pur mi riesce, o figlio,
di salvar la tua vita. Io chiesi ad arte
la libertà di favellarti. Andiamo.
sempre gli fu, scorgendo i passi tui
deluder posso i suoi custodi e lui.
che saria prova al mio delitto.
                                                       Eh vieni,
folle che sei; la libertà ti rendo,
agli applausi ti guido e forse al regno.
Che dici! Al regno?
                                     È da gran tempo, il sai,
a tutti in odio il regio sangue. Andiamo,
basta mostrarti. Ho già la fede in pegno
de' primi duci.
                              Io divenir ribelle!
Solo in pensarlo inoridisco! Ah padre
lasciami l'innocenza.
                                        È già perduta
nella credenza altrui. Sei prigioniero
e comparisci reo.
                                 Ma non è vero.
Questo non giova. È l'innocenza, Arbace,
di chi l'ammira; e se le togli questo,
in nulla si risolve. Il giusto è solo
chi sa fingerlo meglio e chi nasconde
con più destro artificio i sensi sui
nel teatro del mondo agli occhi altrui.
è teatro a sé stessa. Ella in segreto
del volgo spettator l'aura non cura.
si dovrà preferir forse alla vita
per conservarla?
                                E questa vita, o padre,
che mai la credi?
                                 Il maggior dono, o figlio,
che dar possan gli dei.
                                          La vita è un bene
che usandone si scema; ogni momento
che al termine avvicina e dalle fasce
si comincia a morir, quando si nasce.
contender teco? Altra ragion per ora
non ricercar che il cenno mio. T'affretta.
trasgredito da me.
                                    Vinca la forza
le resistenze tue. Sieguimi. (Va per prenderlo)
                                                    In pace (Si scosta)
lasciami, o padre. A troppo gran cimento
riduci il mio rispetto. Ah se mi sforzi
Parla, di', che farai?
                                      Nol so; ma tutto
farò per non seguirti.
                                         E ben, vediamo
chi di noi vincerà. Sieguimi, andiamo. (Lo prende per mano)
Custodi, olà?
                          T'accheta.
                                               Olà custodi? (Artabano lascia Arbace vedendo i custodi)
Rendetemi i miei lacci. Al carcer mio
guidatemi di nuovo.
                                       (Ardo di sdegno).
Padre, un addio.
                                Va', non t'ascolto, indegno.
vinci Artabano. Un temerario figlio
s'abbandoni al suo fato. Ah che nel core
condannarlo non posso. Io l'amo appunto
perché non mi somiglia. A un tempo istesso
e d'ira e di pietà fremo e sospiro.
Che fai? Che pensi? Irresoluto e lento
signor così ti stai? Non è più tempo
di meditar ma d'eseguir. Si aduna
de' satrapi il consiglio; ecco raccolte
molte vittime insieme. I tuoi rivali
là troveremo uniti. Uccisi questi,
piana è per te la via del trono. Arbace
a liberar si voli.
                               Ah Megabise,
che sventura è la mia! Ricusa il figlio
e regno e libertà. De' giorni suoi
cura non ha, perde sé stesso e noi.
con lui contesi.
                             A liberarlo a forza
al carcere corriamo.
                                      Il tempo istesso,
che perderemo in superar la fede
e il valor de' custodi, agio bastante
al re sarà di preparar difese.
prima si sveni e poi si salvi Arbace.
la vita d'un mio figlio.
                                          Ecco il riparo.
Dividiamo i seguaci. Assaliremo
tu il carcere, io la reggia.
                                              Ah che divisi
siamo deboli entrambi.
                                             Ad un partito
convien pure appigliarsi.
                                               Il più sicuro
è il non prenderne alcuno. Agio bisogna
a ricompor le sconcertate fila
della trama impedita.
                                          E se frattanto
Arbace si condanna?
                                        Il caso estremo
risolver ne farà. Basta per ora
che a simular tu siegua e che de' tuoi
mi conservi la fede. Io cauto intanto
m'applicherò. Non m'avvisai finora
d'abbisognarne e reputai follia
senza necessità.
                               Di me disponi
come più vuoi.
                             Deh non tradirmi amico.
Io tradirti! Ah signor, che mai dicesti?
Tanto ingrato mi credi? Io mi rammento
de' miei bassi principi; alla tua mano
deggio quanto possiedo; a' primi gradi
dal fango popolar tu mi traesti.
Io tradirti! Ah signor, che mai dicesti?
quanto feci per te; vedrai s'io t'amo
se m'arride il destin. So per Semira
gli affetti tuoi, non gli condanno e penso...
l'amor suo t'assicuri e noi congiunga
con più saldi legami.
                                        O qual contento!
Figlia, è questi il tuo sposo.
                                                   (Ahimè, che sento!)
di stringere imenei, quando il germano...
molto giovargli.
                               Il sagrificio è grande;
signor meglio rifletti. Io son...
                                                       Tu sei
ecco il tuo sposo, io così voglio e basti.
Ascolta o Megabise; io mi lusingo
alfin dell'amor tuo. Posso una prova
sperarne a mio favor?
                                          Che non farei,
cara, per ubbidirti?
                                      E pure io temo
le ripugnanze tue.
                                   Questo timore
dilegui un tuo comando.
                                              Ah se tu m'ami,
questi imenei disciogli.
                                             Io!
                                                     Sì. Salvarmi
del genitor così potrai dall'ira.
ch'ora meco scherzar voglia Semira!
Io non parlo da scherzo.
                                             Eh non ti credo;
vuoi così tormentarmi, io me n'avvedo.
Tu mi deridi. Io ti credei finora
più generoso amante.
                                         Ed io più saggia
finora ti credei.
                               D'un'alma grande
da farsi a un amator!
                                        T'apersi un campo
ove potevi esercitar con lode
la tua virtù, senz'essermi molesto.
La voglio esercitar ma non in questo.
Dunque invano sperai?
                                             Sperasti invano.
Queste preghiere mie...
                                             Son sparse a' venti.
E bene, al padre ubbidirò ma senti;
ch'io voglia amarti. Abborrirò costante
che a te mi stringerà. Sarai, lo giuro,
oggetto agli occhi miei sempre d'orrore;
la mano avrai ma non sperare il core.
Non lo chiedo o Semira. Io mi contento
di vederti mia sposa; e per vendetta,
odiami pur, ch'io non saprò lagnarmi.
Qual serie di sventure un giorno solo
unisce a' danni miei! Mandane, ah senti.
Non m'arrestar Semira.
                                             Ove t'affretti?
Vado al real consiglio.
                                         Io tua seguace
sarò, se giova all'infelice Arbace.
tu salvo il brami ed io lo voglio estinto.
                      Parla così, Semira,
una figlia di Serse.
                                    Il mio germano
o non ha colpa o per tua colpa è reo,
perché troppo t'amò...
                                          Questo è il maggiore
de' falli suoi. Col suo morir degg'io
giustificar me stessa e vendicarmi
il mio genio real che a lui donato
dovea destarlo a generose imprese
e per mia pena un traditor lo rese.
delle leggi il rigor che a lui sovrasta,
senza gl'impulsi tuoi?
                                          No che non basta.
la tenera amistà; temo l'affetto
ne' satrapi e ne' grandi; e temo in lui
quell'ignoto poter, quell'astro amico
che degli animi altrui signor lo rende.
riducilo a morir. Però misura
prima la tua costanza. Hai da scordarti
la data fé, le tenerezze, i primi
scambievoli sospiri, i primi sguardi
la prima volta a sospirar d'amore.
io che ti feci mai! Perché risvegli
colpevole pietà che opprimo in seno
a forza di virtù? Perché ritorni
con questa idea, che il mio coraggio atterra,
fra' miei pensieri a rinovar la guerra?
prima oppormi degg'io? Mandane, Arbace,
Megabise, Artaserse, il genitore,
tutti son miei nemici. Ognun m'assale
in alcuna del cor tenera parte;
mentre ad uno m'oppongo, io resto agli altri
senza difesa esposta; ed il contrasto
sola di tutti a sostener non basto.
fidi sostegni, del paterno soglio
le cure a tolerar. Son del mio regno
sì torbidi i principi e sì funesti
teme di questo avvicinarsi al freno.
zelo, valore, esperienza e fede,
che il mio gran genitor vi diede in dono,
siatemi scorta in su le vie del trono.
e Mandane e Semira a te l'ingresso.
qual diversa cagione entrambe affretta.
Artaserse pietà.
                               Signor vendetta;
d'un reo chiedo la morte.
                                               Ed io la vita
chiedo d'un innocente.
                                           Il fallo è certo.
Incerto è il traditor.
                                      Condanna Arbace
Arbace ogni ragion.
                                      L'amor l'accusa.
L'amicizia il difende.
                                         Il sangue sparso
chiede un castigo.
                                   E il conservato sangue
nelle vene del figlio un premio chiede.
solo è il rigor.
                           Che la clemenza è base.
deh t'irriti il dolor.
                                    Ti plachi il pianto
d'una afflitta germana.
                                            Ognun che vedi,
fuor che Semira, il sacrificio aspetta.
Artaserse pietà. (S’inginocchiano)
                                Signor vendetta.
Sorgete, oh dio, sorgete. Il vostro affanno
quanto è minor del mio! Teme Semira
teme la mia clemenza. E amico e figlio
nel timor di Mandane e di Semira.
Solo d'entrambe io così provo... Ah vieni.
Consolami Artabano. Hai per Arbace (Vedendo Artabano)
difesa alcuna? Ei si discolpa?
                                                       È vana
la tua, la mia pietà. La sua salvezza
o non cura o dispera.
                                        E vuol ridurmi
Condannarlo? Ah crudel! Dunque vedrassi
l'amico d'Artaserse, il difensore?
Misero Arbace! Inutile mio pianto!
Vilipeso dolor!
                             Semira a torto
m'accusi di crudel. Che far poss'io,
se difesa non ha? Tu che faresti?
Che farebbe Artabano? Olà custodi,
Arbace a me si guidi. Il padre istesso
sia giudice del figlio. Egli l'ascolti,
ei l'assolva se può. Tutta in sua mano
la mia depongo autorità reale.
l'amicizia al dover? Punir nol vuoi,
se la pena del reo commetti al padre.
di cui nota è la fé, che un figlio accusa
ch'io difender vorrei, che di punirlo
ha più ragion di me.
                                       Ma sempre è padre.
ha di punirlo. Io vendicar di Serse
la morte sol deggio in Arbace. Ei deve
nel figlio vendicar con più rigore
e di Serse la morte e il suo rossore.
Dunque così...
                            Così, se Arbace è il reo,
la vittima assicuro al re svenato
ed al mio difensor non sono ingrato.
Degno di tua virtù.
                                     Di questa scelta
                        Che si può dir? Parlate, (a’ grandi)
se v'è ragion che a dubitar vi muova.
Il silenzio d'ognun la scelta approva.
Ecco il germano.
                                (Aimè!)
                                                  S'ascolti. (Va in trono e i grandi siedono)
                                                                     (Affetti,
(Povero cor non palpitarmi in seno).
dunque son io che di mia rea fortuna
l'ingiustizie a mirar tutta s'aduna?
                Chiamami amico; infin ch'io possa
dubitar del tuo fallo, esser lo voglio.
in un giudice è colpa, ad Artabano
il giudizio è commesso.
                                            Al padre!
                                                                A lui.
(Gelo d'orror).
                             Che pensi? Ammiri forse
la mia costanza?
                                Inorridisco, o padre,
nel mirarti in quel luogo. E ripensando
qual io son, qual tu sei, come potesti
farti giudice mio? Come conservi
così intrepido il volto? E non ti senti
l'anima lacerar?
                                Quei moti interni
ch'io provo in me tu ricercar non devi
abbia col volto il cor. Qualunque io sia,
lo son per colpa tua. Se a' miei consigli
tu davi orecchio e seguitar sapevi
l'orme d'un padre amante, in faccia a questi
giudice non sarei, reo non saresti.
Misero genitor!
                               Qui non si venne
i vostri ad ascoltar privati affanni.
O Arbace si difenda o si condanni.
(Quanto rigor!)
                               Dunque alle mie richieste
risponda il reo. Tu comparisci, Arbace,
di Serse l'uccisor. Ne sei convinto;
ecco le prove. Un temerario amore,
uno sdegno ribelle...
                                       Il ferro, il sangue,
il tempo, il luogo, il mio timor, la fuga
so che la colpa mia fanno evidente.
E pur vera non è, sono innocente.
Dimostralo se puoi; placa lo sdegno
dell'offesa Mandane.
                                        Ah se mi vuoi
costante nel soffrir, non assalirmi
in sì tenera parte. Al nome amato
barbaro genitor...
                                  Taci, e non vedi
nella tua cieca intoleranza e stolta
dove sei, con chi parli e chi t'ascolta?
                       (Affetti, ah tolerate il freno!)
(Povero cor non palpitarmi in seno).
difesa o pentimento.
                                        Ah porgi aita
alla nostra pietà.
                                Mio re non trovo
né motivo a pentirmi; e se mi chiedi
mille volte ragion di questo eccesso,
tornerò mille volte a dir l'istesso.
(O amor di figlio!)
                                    Egli ugualmente è reo,
o se parla o se tace. Or che si pensa?
Il giudice che fa? Questo è quel padre
che vendicar doveva un doppio oltraggio?
Mi vuoi morto, o Mandane?
                                                    (Alma, coraggio).
sprone alla mia virtù. Resti alla Persia
nel rigor d'Artabano un grand'esempio
di giustizia e di fé non visto ancora.
Io condanno il mio figlio. Arbace mora. (Sottoscrive il foglio)
il decreto fatal.
                             Segnato è il foglio,
ho compito il dover. (S’alza e dà il foglio ad Artaserse)
                                       Barbaro vanto! (Scende dal trono e i grandi si levano da sedere)
                                (Ah mi tradisce il pianto!)
Piange Mandane! E pur sentisti alfine
qualche pietà del mio destin tiranno?
Si piange di piacer come d'affanno.
adempite ho le parti. Ah si permetta
uno sfogo o signor. Figlio perdona
d'un tiranno dover. Soffri, che poco
ti rimane a soffrir. Non ti spaventi
l'aspetto della pena; il mal peggiore
è de' mali il timor.
                                    Vacilla o padre
la sofferenza mia. Trovarmi esposto
in sembianza di reo, veder recise
sul verdeggiar le mie speranze, estinti
su l'aurora i miei dì, vedermi in odio
alla Persia, all'amico, a lei che adoro,
Barbaro padre... (Ah, ch'io mi perdo!) Addio. (In atto di partire, poi si ferma)
                   (Io moro).
                                         O temerario Arbace,
dove trascorri? Ah genitor, perdono.
Eccomi a' piedi tuoi. Scusa i trasporti
d'un insano dolor. Tutto il mio sangue
si versi pur, non me ne lagno; e invece
io bacio quella man che mi condanna.
ma sappi... (Oh dio!) Prendi un abbraccio e parti.
io comincio a provar che sia la morte!
A prezzo del mio sangue ecco o Mandane
soddisfatto il tuo sdegno.
                                               Ah scelerato!
Fuggi dagli occhi miei, fuggi la luce
delle stelle e del sol; celati indegno
se pur la terra istessa a un empio padre,
così d'umanità privo e d'affetto,
nelle viscere sue darà ricetto.
Dunque la mia virtù...
                                          Taci inumano;
Ha questa i suoi confini; e quando eccede,
cangiata in vizio ogni virtù si vede.
che finor m'irritò?
                                    Son quella e sono
degna di lode. E se dovesse Arbace
giudicarsi di nuovo, io la sua morte
di nuovo chiederei. Dovea Mandane
un padre vendicar; salvare un figlio
Artabano dovea. A te l'affetto,
l'odio a me conveniva. Io l'interesse
non dovevo ascoltar. Ma tu dovevi
di giudice il rigor porre in oblio;
questo era il tuo dover, questo era il mio.
congiura il ciel del nostro Arbace a danno!
Prima uccidi l'amico e poi lo piangi?
ed io sono il tiranno? Ed io l'uccisi?
barbara crudeltà. Giudice il padre
era servo alla legge. A te sovrano
la legge era vassalla. Ei non poteva
esser pietoso e tu dovevi. Eh dimmi
che godi di veder svenato un figlio
che amicizia non hai, non senti amore.
se ho pietà del tuo duol, se t'amo ancora.
lusingata ancor io dal genio antico,
pietoso amante e generoso amico;
perfido amico e dispietato amante.
i rimproveri udisti?
                                       Udisti i sdegni
dell'ingiusta Mandane?
                                             Io son pietoso
e tiranno mi chiama.
                                        Io giusto sono
e mi chiama crudel.
                                      Di mia clemenza
è questo il prezzo!
                                   La mercede è questa
d'un'austera virtù!
                                    Quanto in un giorno,
quanto perdo Artabano!
                                              Ah non lagnarti;
lascia a me le querele. Oggi d'ogn'altro
Grande è il tuo duol ma non è lieve il mio.
Son pur solo una volta e dall'affanno
respiro in libertà; quasi mi persi
giudice destinar. Ma superato
salvai me stesso, or si difenda il figlio.
                 Oh dei, che miro! In questo albergo
di mestizia e d'orror chi mai ti guida?
La pietà, l'amicizia.
                                      A funestarti
perché vieni o signor?
                                          Vengo a salvarti.
                        Non più. Per questa via,
termina della reggia, i passi affretta;
rammentati Artaserse, amalo e vivi.
perché vieni a salvarmi? E se innocente,
perché debbo fuggir?
                                         Se reo tu sei,
che a me donasti. E se innocente, io t'offro
puoi tacendo ottener. Fuggi, risparmia
d'ucciderti il dolor. Placa i tumulti
di quest'alma agitata. O sia che cieco
l'amicizia mi renda o sia che un nume
protegga l'innocenza, io non ho pace,
se tu salvo non sei. Parmi nel seno
una voce ascoltar che ognor mi dica,
qualor bilancio e la tua colpa e il merto,
che il fallo è dubbio, il beneficio è certo.
Signor lascia che io mora. In faccia al mondo
colpevole apparisco ed a punirmi
t'obbliga l'onor tuo. Morrò felice,
se all'amico conservo e al mio signore
una volta la vita, una l'onore.
su le labbra d'un reo! Diletto Arbace
non perdiamo i momenti. All'onor mio
già ti punì, che funestar non volli
di questo dì la pompa, in cui mirarmi
l'Asia dovrà la prima volta in trono.
un giorno esser palese. E allora...
                                                             Ah parti;
amico io te ne priego e se pregando
nulla ottener poss'io, re tel comando.
Ubbidisco al mio re. Possa una volta
esserti grato Arbace. Ascolti intanto
distinguano i trionfi. Allori e palme
tutto il mondo vassallo a lui raccolga.
i suoi giorni la parca e resti a lui
che non spero trovar fino a quel giorno
che alla patria e all'amico io non ritorno.
Quella fronte sicura e quel sembiante
non l'accusano reo. L'esterna spoglia
e in gran parte dal volto il cor si scopre.
Figlio, Arbace, ove sei? Dovrebbe pure
ascoltar le mie voci. Arbace? O stelle!
Dove mai si celò? Compagni intanto
custodite l'ingresso. (Entra fra le scene a mano destra)
                                       E ancor si tarda? (Alli congiurati)
Ormai tempo saria... Ma qui non vedo
Che si fa? Che si pensa? In tanta impresa
Artabano, signore. (Entrando fra le scene a mano sinistra)
                                     O me perduto! (Uscendo dall’istesso lato per il quale entrò ma da strada diversa)
Non trovo il figlio mio. Gelar mi sento;
forse in quest'altra parte io non invano...
Trovasti Arbace?
                                 E non è teco?
                                                            O dei!
Crescono i dubbi miei.
                                            Spiegati, parla,
che fu d'Arbace?
                                 E chi può dirlo? Ondeggio
orribili sospetti. Il mio timore
quante funeste idee forma e descrive!
Chi sa che fu di lui! Chi sa se vive!
precipiti i sospetti. E non potrebbe
Artaserse, Mandane, amico, amante
procurata la fuga? Ecco la via
che alla reggia conduce.
                                             E per qual fine
la sua fuga celarmi? Ah Megabise
e ognun pietoso al genitor lo tace.
Cessin gli dei l'augurio. Ah ricomponi
i tumulti del cor. Sia la tua mente
che l'impresa il richiede.
                                               E quale impresa
vuoi ch'io pensi a compir, perduto il figlio?
Signor che dici? Avrem sedotti invano
tu i reali custodi ed io le schiere?
Artaserse a giurar. La sacra tazza
già per tuo cenno avvelenai. Vogliamo
tanto sudor, cure sì grandi?
                                                    Amico,
per chi deggio affannarmi? Era il mio figlio
la tenerezza mia. Per dargli un regno
divenni traditor; per lui mi resi
orribile a me stesso; e lui perduto
veggo de' falli miei rapirmi il frutto.
il regno o la vendetta.
                                         Ah questa sola
in vita mi trattien. Sì Megabise
guidami dove vuoi, di te mi fido.
Fidati pur, che a trionfar ti guido.
l'unica via d'indebolirmi; al solo
dubbio che più non viva il figlio amato,
vincer non posso il turbamento interno
che a me stesso di me toglie il governo.
istupidisca il senso o ch'abbian l'alme
che presaghe le renda, io per Arbace
quanto dovrei non so dolermi. Ancora
l'infelice vivrà. Se fosse estinto
già purtroppo il saprei. Porta i disastri
sollecita la fama.
                                Alfin potrai
consolarti Mandane. Il ciel t'arrise.
Forse il re sciolse Arbace?
                                                 Anzi l'uccise.
               È noto a ciascun; benché in segreto
ei terminò la sua dolente sorte.
(O presagi fallaci! O giorno! O morte!)
Eccoti vendicata, ecco adempito
il tuo genio crudel. Ti basta? O vuoi
altre vittime ancor? Parla.
                                                 Ah Semira,
soglion le cure lievi esser loquaci
ma stupide le grandi.
                                         Alma non vidi
della tua più inumana. Al caso atroce
serbarsi asciutto e tu non piangi intanto.
Picciolo è il duol, quando permette il pianto.
Va' se paga non sei; pasci i tuoi sguardi
del mio caro germano. Osserva il seno,
numera le ferite e lieta in faccia...
Taci, parti da me.
                                  Che io parta e taccia!
sempre intorno m'avrai. Sempre importuna
render i giorni tuoi voglio infelici.
E quando io meritai tanti nemici!
Forsennata, che feci! Io mi credei
a me scemarlo e pur l'accrebbi. Allora
qualche ristoro a questo cor desio,
il suo trafiggo e non risano il mio.
Né pur qui la ritrovo. Almen vorrei
rivederla una volta e poi partire.
temerario m'inoltro? Eccola, o dei!
Ardir non ho di presentarmi a lei. (Si ritira in disparte inosservato)
Olà, non si permetta in queste stanze
a veruno l'ingresso. (Ad un paggio, il quale ricevuto l’ordine rientra per la scena donde è uscito Arbace) Eccovi alfine
eccovi in libertà. Del caro amante
versai barbara il sangue. Il sangue mio (Impugna uno stile in atto d’uccidersi)
è tempo di versar.
                                   Fermati.
                                                      Oh dio! (Vedendo Arbace le cade lo stile)
Quale ingiusto furor...
                                          Tu in questo luogo!
Tu libero! Tu vivo!
                                    Amica destra
i miei lacci disciolse.
                                        Ah fuggi, ah parti;
misera me! Che si dirà, se alcuno
lasciami la mia gloria.
                                          E chi poteva,
la patria abbandonar?
                                          Da me che vuoi
perfido traditor?
                                 No, principessa,
non dir così. So ch'hai più bello il core
di quel che vuoi mostrarmi; è a me palese;
tu parlasti, o Mandane, e Arbace intese.
O mentisci o t'inganni o questo labbro
per uso favellò.
                              Ma pur son io
ancor la fiamma tua.
                                        Sei l'odio mio.
ecco il ferro, ecco il sen, prendi e mi svena. (Presentandole la spada nuda)
Saria la morte tua premio e non pena.
ma questa mano emenderà... (In atto d’uccidersi)
                                                        Che fai?
il sangue tuo per appagarmi? Io voglio
sia la tua morte e che non abbia un segno,
un'ombra di valor.
                                    Barbara, ingrata,
torno al carcere mio. (In atto di partire)
                                        Sentimi Arbace.
Che vuoi dirmi?
                                Ah nol so.
                                                    Sarebbe mai
qualche resto d'amor?
                                          Crudel che brami?
Vuoi vedermi arrossir? Salvati, fuggi,
non affliggermi più.
                                       Tu m'ami ancora,
se a questo segno a compatirmi arrivi.
No, non crederlo amor ma fuggi e vivi.
non men padre che re. Siatemi voi
più figli che vassalli. Il vostro sangue,
è di guerra o di pace acquisto o dono
vi serberò; voi mi serbate il trono
questo di fedeltà cambio e d'amore.
soave il freno. Esecutor geloso
delle leggi io sarò. Perché sicuro
ne sia ciascun, solennemente il giuro. (Una comparsa reca una sottocoppa con la tazza)
Ecco la sacra tazza. Il giuramento
compisci il rito. (E beverai la morte).
«Lucido dio per cui l'april fiorisce,
per cui tutto nel mondo e nasce e muore,
volgiti a me; se il labbro mio mentisce,
piombi sopra il mio capo il tuo furore,
languisca il viver mio, come languisce
questa fiamma al cader del sacro umore, (Versa sul foco parte del liquore)
e si cangi, or che bevo, entro il mio seno
la bevanda vital tutta in veleno». (In atto di bevere)
Al riparo signor. Cinta la reggia
da un popolo infedel, tutta risuona
di grida sediziose e la tua morte
Numi! (Posa la tazza su l’ara)
                Qual alma rea mancò di fede?
Arbace è il traditore.
                                        Arbace estinto!
Vive, vive l'ingrato. Io lo disciolsi
empio con Serse e meritai la pena
Io stesso fabbricai la mia ruina.
Di che temi o mio re? Per tua difesa
Sì corriamo a punir... (In atto di partire)
                                          Ferma o germano;
il tumulto svanì.
                                Fia ver? E come?
seguendo Megabise era trascorsa
fino all'atrio maggior, quando chiamato
dallo strepito insano accorse Arbace.
Che non fe', che non disse in tua difesa
quell'anima fedel! Mostrò l'orrore
dell'infame attentato. Espresse i pregi
di chi serba la fede. I merti tuoi,
le tue glorie narrò. Molti riprese,
molti pregò, cangiando aspetto e voce
or placido, or severo ed or feroce.
Ciascun depose l'armi e sol restava
ma l'assalì, ti vendicò, l'uccise.
m'inspirò di salvarlo. È Megabise
d'ogni delitto autor.
                                      (Felice inganno!)
dov'è? Si trovi e si conduca a noi.
Ecco Arbace, o monarca, a' piedi tuoi.
Vieni, vieni al mio sen; perdona amico
s'io dubitai di te. Troppo è palese
la tua bella innocenza; ah fa' ch'io possa
con franchezza premiarti. Ogni sospetto
nel popolo dilegua e rendi a noi
qualche ragion del sanguinoso acciaro
che in tua man si trovò, della tua fuga,
                      S'io meritai signore
qualche premio da te, lascia ch'io taccia;
credi a chi ti salvò. Sono innocente.
faccia fede del vero. Ecco la tazza
al rito necessaria. Or seguitando
vindice chiama e testimonio un nume.
Son pronto. (Prende in mano la tazza)
                         (Ecco il mio ben fuor di periglio).
(Che fo? Se giura, avvelenato è il figlio).
«Lucido dio per cui l'april fiorisce,
per cui tutto nel mondo e nasce e muore...»
                           «Se il labbro mio mentisce,
la bevanda vital...» (In atto di voler bere)
                                     Ferma; è veleno.
                      Oh dei!
                                       Perché finor tacerlo?
Perché a te l'apprestai.
                                           Ma qual furore
                            Dissimular non giova;
già mi tradì l'amor di padre. Io fui
di Serse l'uccisore. Il regio sangue
tutto versar volevo. È mia la colpa,
non è d'Arbace. Il sanguinoso acciaro
per celarlo io gli diedi. Il suo pallore
era orror del mio fallo. Il suo silenzio
pietà di figlio. Ah se minore in lui
la virtù fosse stata o in me l'amore,
e involata t'avrei la vita e il regno.
                    Anima rea! M'uccidi il padre;
colpevole mi rendi; a quanti eccessi
t'indusse mai la scelerata speme!
                              Noi moriremo insieme. (Snuda la spada e seco Artaserse in atto di difesa)
ch'un disperato ardir. Mora il tiranno. (Le guardie sedotte si pongono in atto d’assalire)
                            Voglio morir da forte.
Deponi il ferro o beverò la morte. (In atto di bere)
                            Se Artaserse uccidi,
Eh lasciami compir. (Come sopra)
                                        Guardami, io bevo. (Come sopra)
vuoi che per troppo amarti un padre cada?
Vincesti ingrato figlio, ecco la spada. (Getta la spada e le guardie sollevate si ritirano fuggendo)
                O tradimento!
                                             Olà seguite
i fugaci ribelli ed Artabano
a morir si conduca.
                                     Oh dio! Fermate;
                          Non la sperar per lui.
Troppo enorme è il delitto. Io non confondo
il reo coll'innocente. A te Mandane
sarà sposa, se vuoi; sarà Semira
ma per quel traditor non v'è perdono.
Toglimi ancor la vita. Io non la voglio,
se per salvarti il genitore uccido.
O virtù che innamora!
                                           Ah non domando
da te clemenza; usa rigor; ma cambia
la sua nella mia morte. Al regio piede (S’inginocchia)
di morir per un padre. In questa guisa
è sangue d'Artabano il sangue mio.
quel generoso pianto anima bella.
Chi resister ti può? Viva Artabano
ma viva almeno in doloroso esiglio;
l'error d'un padre alla virtù d'un figlio.

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