adorata Mandane, è già vicina!
fosse ch'io venni in questa reggia ad onta
del barbaro suo cenno, in mia difesa
un trasporto d'amor che mi consiglia;
non basterebbe a te d'essergli figlia.
Saggio è il timor. Questo real soggiorno
periglioso è per te. Ma puoi di Susa
fra le mura restar. Serse ti vuole
ma non dalla città. Non è perduta
ogni speranza ancor. Sai che Artabano
regola a voglia sua di Serse il core,
che a lui di penetrar sempre è permesso
dell'albergo real, che 'l mio germano
dell'amicizia tua. Cresceste insieme
di fama e di virtù. Voi sempre uniti
vide la Persia alle più dubbie imprese;
e l'un dall'altro ad emularsi apprese.
il popolo t'adora; e nel tuo braccio
il più saldo riparo aspetta il regno;
avrai fra tanti amici alcun sostegno.
Ci lusinghiamo, o cara. Il tuo germano
vorrà giovarmi invano, ove si tratta
la difesa d'Arbace, egli è sospetto
non men del padre mio; qualunque scusa
rende dubbiosa alla credenza altrui
nel padre il sangue e l'amicizia in lui.
manca de' falsi amici, allor che manca
il favor del monarca. Oh quanti sguardi,
che mirai rispettosi, or soffro alteri!
Onde che vuoi ch'io speri? Il mio soggiorno
serve a te di periglio, a me di pena,
i sospetti fomenta, a me che deggio
trovarmi sempre e non vederti mai.
colpevole mi fa, voglio, ben mio,
voglio morire o meritarti. Addio. (In atto di partire)
il crudel non son io. Serse è il tiranno;
l'ingiusto è il padre tuo.
egli è degno però, quando ti niega
le richieste mie nozze. Il grado... Il mondo...
La distanza fra noi... Chi sa che a forza
non simuli fierezza e che in segreto
forse non disapprovi il suo rigore?
negarti a me; ma non dovea da lui
discacciarmi così, come s'io fossi
un rifiuto del volgo, e dirmi vile,
temerario chiamarmi. Ah principessa,
nel più vivo del cor! Se gli avi miei
non distinse un diadema, in fronte almeno
lo sostennero a' suoi. Se in queste vene
non scorre un regio sangue, ebbi valore
di serbarlo al suo figlio. I suoi produca,
non i merti degli avi. Il nascer grande
è caso e non virtù, che se ragione
regolasse i natali e desse i regni
solo a colui ch'è di regnar capace,
forse Arbace era Serse e Serse Arbace.
Con più rispetto, in faccia a chi t'adora,
un'ingiuria sì grande e che m'è tolta
la libertà d'un innocente affetto,
se non fo che lagnarmi, ho gran rispetto.
a dubitar dell'amor tuo. Tant'ira
odiando il genitore ami la figlia.
è argomento d'amor; troppo mi sdegno,
perché troppo t'adoro, e perché penso
forse mai più ti rivedrò, che questa
fors'è l'ultima volta... Oh dio, tu piangi!
Ah non pianger, ben mio; senza quel pianto
son debole abbastanza; in questo caso
io ti voglio crudel, soffri ch'io parta;
la crudeltà del genitore imita. (In atto di partire)
a vedermi lasciar; partir vogl'io;
Oh momento crudel che mi divide
da colei per cui vivo e non m'uccide!
Prendi il mio; fuggi, nascondi
quel sangue ad ogni sguardo.
questo sangue versò? (Guardando la spada)
Ma quel pallore, o padre,
m'empiono di terror. Gelo in udirti
così con pena articolar gli accenti;
Serse morì per questa man.
questa alle mie sventure. Ed or che speri?
forse tu regnerai. Parti; al disegno
Parti, non più, lasciami in pace.
Che giorno è questo, o disperato Arbace!
Coraggio o miei pensieri. Il primo passo
v'obbliga agli altri; il trattener la mano
è un farsi reo senza sperarne il frutto.
fino all'ultima stilla il regio sangue.
stimolo di virtù; di lode indegno
non è, come altri crede, un grande eccesso;
resistere a' rimorsi, in mezzo a tanti
oggetti di timor serbarsi invitto
son virtù necessarie a un gran delitto.
Qual tumulto!... Ah signor, tu in questo luogo
prima del dì? Chi ti destò nel seno
quell'ira che lampeggia in mezzo al pianto?
necessario mi sei! Consiglio, aiuto,
giace colà su le tradite piume.
notte funesta infra i silenzi e l'ombre
assicurò la colpa un'alma ingrata.
sete di regno! E qual pietà, qual santo
vincolo di natura è mai bastante
notturno penetrar? Chi avvicinarsi
al talamo real? Gli antichi sdegni,
il suo torbido genio avido tanto
dello scettro paterno... Ah ch'io prevedo
Guardati per pietà. Serve di grado
un eccesso talvolta a un altro eccesso.
Vendica il padre tuo, salva te stesso.
amicizia per me, vada, punisca
il parricida, il traditor.
un prence, un figlio e se volete in lui
vi parla il vostro re. Compite il cenno;
punite il reo. Son vostro duce; io stesso
reggerò l'ire vostre, i vostri sdegni.
(Favorisce fortuna i miei disegni).
non turbi il genitor più che l'offesa?
chi uccise il genitor non è più figlio.
Qual vittima si svena! Ah Megabise...
Sgombra le tue dubbiezze. Un colpo solo
punisce un empio e t'assicura il regno.
al mondo comparir desio d'impero.
saria bastante a funestar la pace
di tutt'i giorni miei. No no; si vada
il cenno a rivocar... (In atto di partire)
di rammentar le tue private offese.
imitarlo ne' falli. Il suo delitto
non giustifica il mio. Qual colpa al mondo
un esempio non ha? Nessuno è reo,
per difesa portar l'esempio altrui.
è il difender sé stesso. Egli t'uccide,
impegnerà tutto il favor di Giove
del reo germano ad involarmi all'ira. (In atto di partire)
troppo, o Semira, il mio dover offendo.
Va' pure, ingrato, il tuo disprezzo intendo.
Gran cose io temo. Il mio germano Arbace
parte pria dell'aurora. Il padre armato
incontro e non mi parla. Accusa il cielo
agitato Artaserse e m'abbandona.
Megabise, che fu? Se tu lo sai,
fra tanti suoi timori a un sol timore.
E tu sola non sai che Serse ucciso
Che Dario è l'uccisore? E che la reggia
fra le gare fraterne arde divisa?
Miseri noi, misera Persia...
d'affliggerti, o Semira. Hai forse parte
fra l'ire ambiziose e fra i delitti
della stirpe real? Forse paventi
che un re manchi alla Persia? Avremo, avremo
purtroppo a chi servir. Si versi il sangue
de' rivali germani, inondi il trono;
qualunque vinca, indifferente io sono.
ciascuno ha parte; e nel fedel vassallo
l'indifferenza è rea. Sento che immondo
è del sangue paterno un empio figlio,
che Artaserse è in periglio; e vuoi ch'io miri
spettatrice indolente e senza pena,
come i casi d'Oreste in finta scena?
d'Artaserse l'amor; ma senti; o questo
del germano trionfa e asceso in trono
di te non avrà cura; o resta oppresso
e l'oppressor vorrà vederlo estinto;
onde lo perdi o vincitore o vinto.
il consiglio ascoltar? Scegli un amante
uguale al grado tuo. Sai che l'amore
d'uguaglianza si nutre. E se mai porre
volessi in opra il mio consiglio, allora
ricordati, ben mio, di chi t'adora.
renderne un altro in ricompensa e parmi
più opportuno del tuo; lascia d'amarmi.
il mio volto a mirar? Fuggimi e un'altra
di me più grata all'amor tuo ritrova.
Ah, che 'l fuggir non giova. Io porto in seno
l'immagine di te; quest'alma avvezza
dappresso a vagheggiarti, ancor da lungi
ti vagheggia, ben mio. Quando il costume
l'alma quel che non ha sogna e figura.
deità protettrici, a questo impero
conservate Artaserse. Ah, ch'io lo perdo,
se trionfa di Dario! Ei questa mano
bramò vassallo e sdegnerà sovrano.
forse non vale il mio dolor? Si perda,
pur che regni il mio bene e pur che viva;
se lo bramassi estinto, empia sarei;
no, del mio voto io non mi pento, o dei.
Dove fuggo? Ove corro? E chi da questa
m'invola per pietà? Chi mi consiglia?
perdo i germani, il genitor, l'amante.
Dario respira? O nel fraterno sangue
cominciasti tu ancora a farti reo?
di serbarmi innocente. Il zelo, oh dio!
un comando crudel; ma dato appena
m'inorridì. Per impedirlo io scorro
sollecito la reggia e cerco invano
Eh non temer; tutto è compito.
Artaserse è il mio re, Dario è punito.
incauto il petto alle ferite.
più saggiamente interpetrar.
de' primi moti un violento ardore.
sarebbe stata in me. Furo i custodi
sì pronti ad ubbidir che Dario estinto
del regio sangue impunemente il brando.
gli rese audaci e sei l'autor primiero
lo confesso, Artabano, il reo son io.
Sei reo! Di che? D'una giustizia illustre
che un eccesso punì? D'una vendetta
dovuta a Serse? Eh ti consola e pensa
punisti alfine un parricida, un empio.
in sì lieto sembiante a noi ti guida?
Dario non è di Serse il parricida.
dell'indegno uccisor. Presso alle mura
del giardino real fra le tue squadre
rimase prigionier. Reo lo scoperse
la fuga, il loco, il ragionar confuso,
e 'l suo ferro di sangue ancor fumante.
abbassa ognuno a mie richieste il ciglio.
(È prigioniero il figlio!)
Dunque un empio son io! Dunque Artaserse
d'un innocente sangue ancora immondo,
orribile alla Persia, in odio al mondo!
uscì da' labbri miei. Finch'io respiri,
più pace non avrò. Del mio rimorso
la voce ognor mi sonerà nel core.
del germano vedrò l'ombre sdegnate
i miei torbidi giorni, i sonni miei
funestar minacciando, e l'inquiete
furie vendicatrici in ogni loco
in pena, oh dio! della fraterna offesa,
la nera face in Flegetonte accesa.
Troppo eccede, Artaserse, il tuo dolore;
un oggetto più giusto; in faccia al mondo
vado l'arrivo ad affrettar. (In atto di partire)
Mandane, per pietà nessun mi lasci;
assistetemi adesso; adesso intorno
tutti vorrei gli amici. Il caro Arbace,
Artabano, dov'è? Quest'è l'amore
che mi giurò fin dalla cuna? Ei solo
Venga Arbace, io l'assolvo.
Osserva il delitto in quel sembiante. (Accennando Arbace che esce confuso)
mi torni innanzi? Ed hai potuto in mente
i sospetti, gl'indizi e la ragione
dell'innocenza tua sia manifesta.
Io non son reo; la mia difesa è questa.
Lo veggo anch'io; ma l'apparenza inganna.
Mi perdo anch'io nel meditar la scusa.
Misero! Che farò? Punire io deggio
nell'amico più caro il più crudele
orribile nemico. A che mostrarmi
così gran fedeltà, barbaro Arbace?
d'incorrotta virtude erano inganni
dunque d'un'alma rea? Potessi almeno
quel momento obbliar che in mezzo all'armi
cadente sollevasti e col tuo sangue
generoso serbasti i giorni miei,
del padre mio nel vendicare il fato
la pena, oh dio! di divenirti ingrato.
signor, non perda un innocente oppresso;
se mai degno ne fui, lo sono adesso.
puoi domandargli amor? Perfido figlio,
il mio rossor, la pena mia tu sei.
Anche il padre congiura a' danni miei!
Che vorresti da me? Ch'io fossi a parte
de' falli tuoi nel compatirti? Eh provi, (Ad Artaserse)
provi, o signor, la tua giustizia. Io stesso
sollecito la pena. In sua difesa
non gli giovi Artabano aver per padre.
Scordati la mia fede, obblia quel sangue
tante volte pugnando i campi aspersi;
coll'altro ch'io versai, questo si versi.
Risolvi e qualche affetto,
se ti resta per lui, vada in obblio.
Risolverò ma con qual core... Oh dio?
tanti oltraggi soffrir, misero Arbace? (Da sé)
(Quante sventure io temo!)
Tu non mi guardi, o padre? Ogni altro avrei
sofferto accusator senza lagnarmi;
che chieder possa il mio morir colui
che il viver mi donò m'empie d'orrore
il cor tremante e me l'agghiaccia in seno;
senta pietà del figlio il padre almeno.
tanto, o barbari dei, vi sono in ira?
M'ascolti, mi compianga almen Semira.
E non v'è chi m'uccida? Ah Megabise!
Non odo un traditore. (Parte)
Un traditor non sento. (In atto di partire)
Mio ben, mia vita... (Trattenendola)
no che del suo delitto orror non sente.
(Quanto mi costa un genitor crudele!)
gli odi tuoi contro Serse assai palesi.
che fedel mi sembrasti e ch'io t'amai.
più sventure per me. Tutte in un giorno,
tutte, oh dio! le provai. Perdo l'amico,
m'accusa il genitor, piange il mio bene
e non posso parlar. Dove si trova
tormentata così come la mia?
Ma, giusti dei, pietà. Se a questo passo
lo sdegno vostro a danno mio s'avanza,
pretendete da me troppa costanza.
qui si conduca Arbace. Ecco adempite
le tue richieste. Ah voglia il ciel che giovi
questo incontro a salvarlo!
che credessi, o signor, la mia domanda
pietà di padre o mal fondata speme
di trovarlo innocente. È troppo chiara
la colpa sua; deve morir. Non altro
che la tua sicurezza. Ancor del fallo
sono i complici ignoti, ogni segreto
quanto invidio, Artabano! Io mi sgomento
tu non ti perdi e si condanna il figlio.
quanto costa al mio core! Intesi anch'io
le voci di natura. Anch'io provai
il dover trionfò. Non è mio figlio
chi mi porta il rossor di sì gran fallo;
prima ch'io fossi padre, ero vassallo.
mi parla per Arbace. Io più ti deggio
quanto meno il difendi. Ah! Renderei
troppo ingrata mercede a' merti tui,
se senza affanno io ti punissi in lui.
una via di salvarlo, una ragione
ch'io possa dubitar del suo delitto;
s'ogni evento l'accusa e intanto Arbace
si vede reo, non si difende e tace?
Ma innocente si chiama. I labbri suoi
non son usi a mentir. Come in un punto
cangiò natura! Ah l'infelice ha forse
qualche ragion del suo silenzio! A lui
parli Artabano, ei svelerà col padre
quanto al giudice tace. Io m'allontano.
In libertà seco ragiona; osserva,
esamina il suo cor. Trova, se puoi,
un'ombra di difesa. Accorda insieme
la pace del tuo re, l'onor del trono.
Ingannami, se puoi, ch'io ti perdono.
pronti attendete ogni mio cenno. (Partono)
di salvar la tua vita. Io chiesi ad arte
la libertà di favellarti. Andiamo
sempre gli fu, scorgendo i passi tui
deluder posso i suoi custodi e lui.
che saria prova al mio delitto?
folle che sei; la libertà ti rendo;
agli applausi ti guido e forse al regno.
a tutti in odio il regio sangue. Andiamo;
basta mostrarti. Ho già la fede in pegno
Solo in pensarlo inorridisco. Ah padre
nella credenza altrui. Sei prigioniero
Questo non giova. È l'innocenza, Arbace,
di chi l'ammira; e se le togli questo,
in nulla si risolve. Il giusto è solo
chi sa fingerlo meglio e chi nasconde
con più destro artifizio i sensi sui
nel teatro del mondo agli occhi altrui.
è teatro a sé stessa. Ella in segreto
del volgo spettator l'aura non cura.
si dovrà preferir forse alla vita?
Il maggior dono, o figlio,
che usandone si scema; ogni momento,
che al termine avvicina e dalle fasce
si comincia a morir, quando si nasce.
contender teco? Altra ragion per ora
non ricercar che il cenno mio. T'affretta.
le resistenze tue. Sieguimi. (Va a prenderlo)
lasciami, o padre. A troppo gran cimento
riduci il mio rispetto. Ah se mi sforzi!
chi di noi vincerà. Sieguimi, andiamo. (Lo prende per mano)
rendetemi i miei lacci. Al carcer mio
guidatemi di nuovo. (Artabano lascia Arbace vedendo i custodi)
Va', non t'ascolto, indegno.
vinci, Artabano. Un temerario figlio
s'abbandoni al suo fato. Ah che nel core
condannarlo non posso! Io l'amo appunto
perché non mi somiglia. A un tempo istesso
e d'ira e di pietà fremo e sospiro.
Che fai? Che pensi? Irresoluto e lento,
signor, così ti stai? Non è più tempo
di meditar ma d'eseguir. Si aduna
de' satrapi il consiglio; ecco raccolte
molte vittime insieme. I tuoi rivali
là troveremo uniti. Uccisi questi,
piana è per te la via del trono. Arbace
che sventura è la mia! Ricusa il figlio
e regno e libertà. De' giorni suoi
cura non ha; perde sé stesso e noi.
che perderemo in superar la fede
e il valor de' custodi, agio bastante
al re darà di preparar difese.
prima si sveni e poi si salvi Arbace.
dividiamo i seguaci. Assaliremo
tu il carcere, io la reggia.
convien pure appigliarsi.
è 'l non prenderne alcuno. Agio bisogna
a ricompor le sconcertate fila
risolver ne farà. Basta per ora
che a simular tu siegua e che de' tuoi
mi conservi la fede. Io cauto intanto
m'applicherò. Non m'avvisai finora
d'abbisognarne; e reputai follia
Io tradirti? Ah signor! Che mai dicesti?
Tanto ingrato mi credi? Io mi rammento
de' miei bassi principi; alla tua mano
deggio quanto possiedo; a' primi gradi
dal fango popolar tu mi traesti.
Io tradirti? Ah signor! Che mai dicesti?
quanto feci per te. Vedrai s'io t'amo,
se m'arride il destin. So per Semira
gli affetti tuoi; non gli condanno e penso...
l'amor suo t'assicuri e noi congiunga
Figlia, è questi il tuo sposo.
di stringere imenei, quando il germano...
signor meglio rifletti. Io son...
Ecco il tuo sposo, io così voglio e basti.
Ascolta, o Megabise. Io mi lusingo
alfin dell'amor tuo. Posso una prova
del genitor così potrai dall'ira.
ch'ora meco scherzar voglia Semira.
vuoi così tormentarmi, io me n'avvedo.
Tu mi deridi. Io ti credei finora
ove potevi esercitar con lode
la tua virtù, senz'essermi molesto.
La voglio esercitar ma non in questo.
E bene, al padre ubbidirò ma senti;
ch'io voglia amarti. Aborrirò costante
che a te mi stringerà. Sarai, lo giuro,
oggetto agli occhi miei sempre d'orrore;
la mano avrai ma non sperare il core.
Non lo chiedo, o Semira. Io mi contento
di vederti mia sposa. E per vendetta,
odiami pur, ch'io non saprò lagnarmi.
Qual serie di sventure un giorno solo
unisce a' danni miei? Mandane, ah senti!
sarò, se giova all'infelice Arbace.
tu salvo il brami ed io lo voglio estinto.
o non ha colpa o per tua colpa è reo,
de' falli suoi. Col suo morir degg'io
giustificar me stessa e vendicarmi
il mio genio real che a lui donato
dovea destarlo a generose imprese
e per mia pena un traditor lo rese.
delle leggi il rigor che a lui sovrasta,
la tenera amistà; temo l'affetto
ne' satrapi e ne' grandi e temo in lui
quell'ignoto poter, quell'astro amico
che degli animi altrui signor lo rende.
riducilo a morir; però misura
prima la tua costanza. Hai da scordarti
la data fé, le tenerezze, i primi
scambievoli sospiri, i primi sguardi
la prima volta a sospirar d'amore.
Io che ti feci mai? Perché risvegli
colpevole pietà che opprimo in seno
a forza di virtù? Perché ritorni
con quest'idea, che 'l mio coraggio atterra,
fra' miei pensieri a rinnovar la guerra?
prima oppormi degg'io? Mandane, Arbace,
Megabise, Artaserse, il genitore,
tutti son miei nemici. Ognun m'assale
in alcuna del cor tenera parte;
mentre ad uno m'oppongo, io resto agli altri
senza difesa esposta ed il contrasto
sola di tutti a sostener non basto.
fidi sostegni, del paterno soglio
le cure a tollerar. Son del mio regno
sì torbidi i principi e sì funesti
teme di questo avvicinarsi al freno;
zelo, valore, esperienza e fede,
che 'l mio gran genitor vi diede in dono,
siatemi scorta in su le vie del trono.
e Mandane e Semira a te l'ingresso.
qual diversa cagione entrambe affretta.
d'un reo chiedo la morte.
nelle vene del figlio un premio chiede.
fuor che Semira il sacrifizio aspetta.
Artaserse, pietà. (S’inginocchiano)
Sorgete, oh dio! Sorgete. Il vostro affanno
quanto è minor del mio! Teme Semira
teme la mia clemenza. E amico e figlio
nel timor di Mandane e di Semira.
Solo d'entrambe io così provo... Ah vieni! (Vedendo Artabano)
Consolami, Artabano. Hai per Arbace
difesa alcuna? Ei si discolpa?
la tua, la mia pietà. La sua salvezza
Condannarlo? Ah crudel! Dunque vedrassi
l'amico d'Artaserse, il difensore?
Misero Arbace! Inutile mio pianto!
m'accusi di crudel. Che far poss'io,
se difesa non ha? Tu che faresti?
Che farebbe Artabano? Olà custodi,
Arbace a me si guidi; il padre istesso
sia giudice del figlio. Egli l'ascolti;
ei l'assolva se può. Tutta in sua mano
la mia depongo autorità reale.
l'amicizia al dover? Punir nol vuoi,
se la pena del reo commetti al padre.
di cui nota è la fé, che un figlio accusa
ch'io difender vorrei, che di punirlo
ha di punirlo. Io vendicar di Serse
la morte sol deggio in Arbace. Ei deve
nel figlio vendicar con più rigore
e di Serse la morte e 'l suo rossore.
Così, se Arbace è il reo,
la vittima assicuro al re svenato
ed al mio difensor non sono ingrato.
Che si può dir? Parlate, (Ai grandi)
se v'è ragion che a dubitar vi muova.
Il silenzio d'ognun la scelta approva.
S'ascolti. (Artaserse va in trono e li grandi siedono)
(Povero cor non palpitarmi in seno).
dunque son io che di mia rea fortuna
l'ingiustizie a mirar tutta s'aduna?
Chiamami amico; infin ch'io possa
dubitar del tuo fallo, esser lo voglio;
in un giudice è colpa, ad Artabano
nel mirarti in quel luogo e ripensando
qual io son, qual tu sei. Come potesti
farti giudice mio? Come conservi
così intrepido il volto e non ti senti
io provi in me tu ricercar non devi,
abbia col volto il cor. Qualunque io sia,
lo son per colpa tua. Se a' miei consigli
tu davi orecchio e seguitar sapevi
l'orme d'un padre amante, in faccia a questi
giudice non sarei, reo non saresti.
i vostri ad ascoltar privati affanni;
o Arbace si difenda o si condanni.
Dunque alle mie richieste
risponda il reo. Tu comparisci, Arbace,
di Serse l'uccisor. Ne sei convinto;
ecco le prove. Un temerario amore,
il tempo, il luogo, il mio timor, la fuga
so che la colpa mia fanno evidente;
e pur vera non è; sono innocente.
Dimostralo, se puoi; placa lo sdegno
costante nel soffrir, non assalirmi
in sì tenera parte. Al nome amato,
nella tua cieca intolleranza e stolta
dove sei, con chi parli e chi t'ascolta?
(Affetti, ah tollerate il freno!)
(Povero cor, non palpitarmi in seno).
né motivo a pentirmi; e se mi chiedi
mille volte ragion di questo eccesso,
tornerò mille volte a dir l'istesso.
o se parla o se tace. Or che si pensa?
Il giudice che fa? Questo è quel padre
che vendicar doveva un doppio oltraggio?
Mi vuoi morto, o Mandane?
sprone alla mia virtù. Resti alla Persia
nel rigor d'Artabano un grand'esempio
di giustizia e di fé non visto ancora.
Io condanno il mio figlio; Arbace mora. (Sottoscrive il foglio)
ho compito il dover. (S’alza e dà il foglio)
Barbaro vanto! (Scende dal trono e li grandi si levano da sedere)
(Ah mi tradisce il pianto!)
Piange Mandane! E pur sentisti alfine
qualche pietà del mio destin tiranno?
Si piange di piacer come d'affanno.
adempite ho le parti. Ah si permetta
uno sfogo, o signor! Figlio, perdona
d'un tiranno dover. Soffri, che poco
ti rimane a soffrir. Non ti spaventi
l'aspetto della pena; il mal peggiore
la sofferenza mia. Trovarmi esposto
in sembianza di reo, veder recise
sul verdeggiar le mie speranze, estinti
su l'aurora i miei dì, vedermi in odio
alla Persia, all'amico, a lei che adoro,
Barbaro padre... (Ah, ch'io mi perdo!) Addio. (In atto di partire, poi si ferma)
Dove trascorri? Ah genitor! Perdona;
eccomi a' piedi tuoi. Scusa i trasporti
d'un insano dolor. Tutto il mio sangue
si versi pur, non me ne lagno; e invece
io bacio quella man che mi condanna.
ma sappi... (Oh dio!) Prendi un abbraccio e parti.
io comincio a provar che sia la morte!)
A prezzo del mio sangue, ecco, o Mandane,
soddisfatto il tuo sdegno.
Fuggi dagli occhi miei, fuggi la luce
delle stelle e del sol; celati, indegno,
se pur la terra istessa a un empio padre,
così d'umanità privo e d'affetto,
nelle viscere sue darà ricetto.
Ha questa i suoi confini; e quando eccede,
cangiata in vizio ogni virtù si vede.
degna di lode. E se dovesse Arbace
giudicarsi di nuovo, io la sua morte
di nuovo chiederei. Dovea Mandane
un padre vendicar; salvare un figlio
Artabano doveva. A te l'affetto,
l'odio a me conveniva. Io l'interesse
non dovevo ascoltar; ma tu dovevi
di giudice il rigor porre in obblio;
questo era il tuo dover, quello era il mio.
congiura il ciel del nostro Arbace a danno?
Prima uccidi l'amico e poi lo piangi?
ed io sono il tiranno ed io l'uccisi?
barbara crudeltà. Giudice il padre
era servo alla legge. A te sovrano
la legge era vassalla. Ei non poteva
esser pietoso e tu dovevi. Eh dimmi
che godi di veder svenato un figlio
che amicizia non hai, non senti amore.
se ho pietà del tuo duol, se t'amo ancora.
lusingata ancor io dal genio antico,
pietoso amante e generoso amico;
perfido amico e dispietato amante.
Lascia a me le querele. Oggi d'ogn'altro
Grande è il tuo duol ma non è lieve il mio.
Son pur solo una volta e dall'affanno
respiro in libertà. Quasi mi persi
giudice nominar; ma superato
Salvai me stesso, or si difenda il figlio.
Oh dei, che miro! In questo albergo
di mestizia e d'orror chi mai ti guida?
termina della reggia, i passi affretta;
rammentati Artaserse, amalo e vivi.
perché vieni a salvarmi? E se innocente,
che a me donasti; e se innocente, io t'offro
puoi tacendo ottener. Fuggi, risparmia
d'ucciderti il dolor. Placa i tumulti
di quest'alma agitata. O sia che cieco
l'amicizia mi renda o sia che un nume
protegga l'innocenza, io non ho pace,
se tu salvo non sei. Parmi nel seno
una voce ascoltar che ognor mi dica,
qualor bilancio e la tua colpa e 'l merto,
che il fallo è dubbio, il benefizio è certo.
Signor, lascia ch'io mora. In faccia al mondo
colpevole apparisco ed a punirmi
t'obbliga l'onor tuo. Morrò felice,
se all'amico conservo e al mio signore
una volta la vita, una l'onore.
su le labbra d'un reo! Diletto Arbace,
non perdiamo i momenti. All'onor mio
già ti punì, che funestar non volli
di questo dì la pompa, in cui mirarmi
l'Asia dovrà la prima volta in trono.
un giorno esser palese. E allora...
amico, io te ne priego; e se pregando
nulla ottener poss'io, re tel comando.
Ubbidisco al mio re. Possa una volta
esserti grato Arbace. Ascolti intanto
distinguano i trionfi; allori e palme
tutto il mondo vassallo a lui raccolga;
i suoi giorni la parca; e resti a lui
che non spero trovar fino a quel giorno
che alla patria e all'amico io non ritorno.
Quella fronte sicura e quel sembiante
non l'accusano reo. L'esterna spoglia
e in gran parte dal volto il cor si scopre.
Figlio, Arbace, ove sei? Dovrebbe pure
ascoltar le mie voci. Arbace? Oh stelle!
Dove mai si celò? Compagni, intanto
custodite l'ingresso. (Entra fra le scene a mano destra)
E ancor si tarda? (Ai congiurati)
Ormai tempo saria... Ma qui non vedo
Che si fa? Che si pensa? In tanta impresa
Artabano, signore. (Entrando fra le scene a mano sinistra)
Oh me perduto! (Uscendo dall’istesso lato pel quale entrò ma da strada diversa)
Non trovo il figlio mio. Gelar mi sento;
forse in quest'altra parte io non invano...
E chi può dirlo? Ondeggio
orribili sospetti. Il mio timore
quante funeste idee forma e descrive!
Chi sa che fu di lui? Chi sa se vive?
precipiti i sospetti. E non potrebbe
Artaserse, Mandane, amico, amante
procurata la fuga? Ecco la via
la sua fuga celarmi? Ah! Megabise,
e ognun pietoso al genitor lo tace.
Cessin gli dei l'augurio. Ah! Ricomponi
i tumulti del cor. Sia la tua mente
che l'impresa il richiede.
vuoi ch'io pensi a compir, perduto il figlio?
Signor, che dici? Avrem sedotti invano
tu i reali custodi ed io le schiere?
Artaserse a giurar. La sacra tazza
già per tuo cenno avvelenai. Vogliamo
tanto sudor, cure sì grandi?
per chi deggio affannarmi? Era il mio figlio
la tenerezza mia. Per dargli un regno
divenni traditor; per lui mi resi
orribile a me stesso e lui perduto
veggio de' falli miei rapirmi il frutto.
in vita mi trattien. Sì Megabise,
guidami dove vuoi, di te mi fido.
Fidati pur, che a trionfar ti guido.
l'unica via d'indebolirmi. Al solo
dubbio che più non viva il figlio amato,
vincer non posso il turbamento interno
che a me stesso di me toglie il governo.
istupidisca il senso o ch'abbian l'alme
che presaghe le renda, io per Arbace,
quanto dovrei, non so dolermi. Ancora
l'infelice vivrà. Se fosse estinto,
già purtroppo il saprei. Porta i disastri
consolarti, Mandane. Il ciel t'arrise.
Forse il re sciolse Arbace?
È noto a ciascun; benché in segreto
ei terminò la sua dolente sorte.
(Oh presagi fallaci! Oh giorno! Oh morte!)
Eccoti vendicata, ecco adempito
il tuo genio crudel. Ti basta? O vuoi
altre vittime ancor? Parla.
Soglion le cure lievi esser loquaci
della tua più inumana. Al caso atroce
serbarsi asciutto; e tu non piangi intanto?
Picciolo è il duol, quando permette il pianto.
Va', se paga non sei, pasci i tuoi sguardi
del mio caro germano, osserva il seno,
numera le ferite e lieta in faccia...
sempre intorno m'avrai. Sempre importuna
rendere i giorni tuoi voglio infelici.
E quando io meritai tanti nemici?
Forsennata, che feci? Io mi credei
a me scemarlo e pur l'accrebbi. Allora
qualche ristoro a questo cor desio,
il suo trafiggo e non risano il mio.
Né pur qui la ritrovo. Almen vorrei
rivederla una volta e poi partire.
temerario m'inoltro? Eccola, oh dei!
Ardir non ho di presentarmi a lei. (Si ritira in disparte inosservato)
Olà, non si permetta in queste stanze
a veruno l'ingresso. (Ad un paggio, il quale ricevuto l’ordine rientra per la scena donde è uscito Arbace) Eccovi alfine,
eccovi in libertà. Del caro amante
versai barbara il sangue. Il sangue mio (Impugna uno stilo in atto d’uccidersi)
Oh dio! (Vedendo Arbace le cade lo stilo)
Misera me! Che si dirà, se alcuno
non dir così. So ch'hai più bello il core
di quel che vuoi mostrarmi; è a me palese;
tu parlasti, o Mandane, e Arbace intese.
O mentisci o t'inganni o questo labbro
Ecco il ferro, ecco il sen, prendi e mi svena. (Presentandole la spada nuda)
Saria la morte tua premio e non pena.
Ma questa mano emenderà... (In atto d’uccidersi)
il sangue tuo per appagarmi? Io voglio
sia la tua morte e che non abbia un segno,
torno al carcere mio. (In atto di partire)
Vuoi vedermi arrossir? Salvati, fuggi,
se a questo segno a compatirmi arrivi.
No, non crederlo amor ma fuggi e vivi.
non men padre che re. Siatemi voi
più figli che vassalli. Il vostro sangue,
è di guerra o di pace acquisto o dono
vi serberò; voi mi serbate il trono;
questo di fedeltà cambio e d'amore.
soave il freno. Esecutor geloso
delle leggi io sarò. Perché sicuro
ne sia ciascun, solennemente il giuro. (Una comparsa reca una sottocoppa con tazza)
Ecco la sacra tazza. Il giuramento
compisci il rito. (E beverai la morte).
«Lucido dio per cui l'april fiorisce,
per cui tutto nel mondo e nasce e muore,
volgiti a me; se il labbro mio mentisce,
piombi sopra il mio capo il tuo furore,
languisca il viver mio, come languisce
questa fiamma al cader del sacro umore, (Versa sul fuoco parte del liquore)
e si cangi, or che bevo, entro il mio seno
la bevanda vital tutta in veleno». (In atto di bere)
Al riparo signor. Cinta la reggia
da un popolo infedel tutta risuona
di grida sediziose e la tua morte
Numi! (Posa la tazza su l’ara)
Qual alma rea mancò di fede?
Vive, vive l'ingrato. Io lo disciolsi
empio con Serse e meritai la pena
io stesso fabbricai la mia ruina.
Di che temi, o mio re? Per tua difesa
Sì, corriamo a punir... (In atto di partire)
seguendo Megabise era trascorsa
fino all'atrio maggior, quando chiamato
dallo strepito insano accorse Arbace.
Che non fe', che non disse in tua difesa
quell'anima fedel? Mostrò l'orrore
dell'infame attentato. Espresse i pregi
di chi serba la fede. I merti tuoi,
le tue glorie narrò. Molti riprese,
molti pregò, cangiando aspetto e voce,
or placido, or severo ed or feroce.
Ciascun depose l'armi e sol restava
ma l'assalì, ti vendicò, l'uccise.
m'inspirò di salvarlo. È Megabise
dov'è? Si trovi e si conduca a noi.
Ecco Arbace, o monarca, a' piedi tuoi.
Vieni, vieni al mio sen; perdona, amico,
s'io dubitai di te. Troppo è palese
la tua bella innocenza; ah! fa' ch'io possa
con franchezza premiarti. Ogni sospetto
nel popolo dilegua; e rendi a noi
qualche ragion del sanguinoso acciaro
che in tua man si trovò; della tua fuga,
qualche premio da te, lascia ch'io taccia.
credi a chi ti salvò. Sono innocente.
faccia fede del vero. Ecco la tazza
al rito necessaria. Or seguitando
vindice chiama e testimonio un nume.
Son pronto. (Prende in mano la tazza)
(Ecco il mio ben fuor di periglio).
(Che fo? Se giura, avvelenato è il figlio).
«Lucido dio per cui l'april fiorisce,
per cui tutto nel mondo e nasce e muore...»
«Se il labbro mio mentisce,
la bevanda vital...» (In atto di voler bere)
già mi tradì l'amor di padre. Io fui
di Serse l'uccisore. Il regio sangue
tutto versar volevo. È mia la colpa,
non è d'Arbace. Il sanguinoso acciaro
per celarlo io gli diedi. Il suo pallore
era orror del mio fallo. Il suo silenzio
pietà di figlio. Ah! Se minore in lui
la virtù fosse stata o in me l'amore,
e involata t'avrei la vita e 'l regno.
Anima rea! M'uccidi il padre,
colpevole mi rendi; a quanti eccessi
t'indusse mai la scellerata speme?
Noi moriremo insieme. (Snuda la spada e seco Artaserse in atto di difesa)
che un disperato ardir. Mora il tiranno. (Le guardie sedotte si pongono in atto di assalire)
Deponi il ferro o beverò la morte. (In atto di bere)
Eh lasciami compir. (In atto di assalire)
Guardami, io bevo. (Come sopra)
vuoi che per troppo amarti un padre cada?
Vincesti, ingrato figlio, ecco la spada. (Getta la spada e le guardie sollevate si ritirano fuggendo)
i fugaci ribelli ed Artabano
Troppo enorme è il delitto. Io non confondo
il reo coll'innocente; a te Mandane
sarà sposa, se vuoi; sarà Semira
ma per quel traditor non v'è perdono.
Toglimi ancor la vita. Io non la voglio,
se per salvarti il genitore uccido.
da te clemenza, usa rigor; ma cambia
la sua nella mia morte. Al regio piede (S’inginocchia)
di morir per un padre; in questa guisa
è sangue d'Artabano il sangue mio.
quel generoso pianto, anima bella.
Chi resister ti può? Viva Artabano;
ma viva almeno in doloroso esiglio;
l'error d'un padre alla virtù d'un figlio.