giustissimo dolor, Rodope amica,
salvami il padre. A queste sponde infami
digli che non s'appressi. A lui palesa
non giurasti svenarlo? Io pur ti vidi
d'Eurinome il furor. Vedesti come
forsennata e feroce in ogni petto
propagò le sue furie? E chi potea
un torrente arrestar? Sospetta all'altre
già sedotte compagne, io non sarei
utile al padre. A comparir crudele
m'insegnò la pietà. Giurava il labbro
del genitor lo scempio e in sua difesa
tutti gli dei sollecitava il core;
e l'ardir del mio volto era timore.
vana è la cura. Ah che vicine al porto
son già le navi; e se non corri... Oh dio!
ha pieno d'ira e di vendetta il ciglio!
Suggeritemi o dei qualche consiglio.
valorose compagne, a queste arene
dalle sponde di Tracia a noi ritorno
fanno i Lenni infedeli; a noi s'aspetta
l'oltraggio vendicar. Tornan gl'ingrati,
le messi rinnovar. Tornano a noi;
de' talami furtivi i frutti infami,
dipinte il volto e di ferino latte
avvezzate a nutrirsi, adesso altere
della vostra beltà vinta e negletta.
La giurammo; s'adempia. Al gran disegno
tutto cospira. L'opportuna notte,
la stanchezza de' rei, del dio di Nasso
il rito strepitoso, onde confuse
fra le grida festive. I padri, i figli,
cadano estinti; e sia fra noi comune
il merito o la colpa. Il grand'esempio
al sesso ingrato a serbar fede insegni.
saran discesi, ad avvertir ritorna...
fuor de' legni balzar vidi le squadre.
(Ah si prevenga il padre). (Vuol partire)
lo sdegno mio con accoglienza accorta.
vieni al paterno sen. Da te lontano
tutto degli anni miei sentivo il peso;
il peso alleggerir degli anni miei.
(Taci). (Piano ad Issipile)
perciò... (Eurinome minaccia Issipile acciò non parli)
Oh dio! (Eurinome come sopra)
avvezzata a regnar, temi che sia
termine del tuo regno il mio ritorno?
più sovrano né re. Punisci, assolvi,
ordina premi e pene. Altro non bramo,
che viver teco e che morirti accanto. (L’abbraccia)
Padre, non più. (Bacia la destra a Toante e piange)
Ma che vuol dir quel pianto?
d'un piacer ch'improvviso inonda il petto.
Issipile. (A Issipile che s’incamina appresso al padre)
a trafigger Toante ardir che basti,
ma in faccia al padre impallidir ti vidi.
Rodope, il giorno manca e non conviene
più differire. Il concertato segno
a momenti darò. Ma tu nel volto
compatisco in Toante. Il regio in lui
è de' nostri nemici. In duro esiglio
per lui morì Learco. E tu dovresti
ricordartene meglio. Il figlio in lui
tal pena meritò. Fingea d'amarmi;
scuotere il giogo e vendicar ti dei.
Ma i numi in ciel che fanno? Un sol fra loro
questa terra infelice? Oh infausta notte!
sconsigliato a perir? Fuggi.
non è tempo, Learco. È il tuo ritorno
smania di gelosia. Saputo avrai
Issipile si stringe; e qualche nera
Non più. Salvati; fuggi. Il nuovo giorno
qui troverà. Se ne giurò lo scempio
barbare abitatrici. E questa è l'ora
semplice tanto? Ad atterrirmi inventa
perdonami, è sospetta. Esser tradita
da me supponi e nella mia salvezza
t'interessi a tal segno? Ah mal si crede
una virtù che l'ordinario eccede.
a fole feminili. Ad ogni prezzo
si disturbin le nozze. Armata schiera
di gente infesta a' naviganti e avvezza
a viver di rapine, appresso al lido,
attende i cenni miei. Di questa reggia
ogni angolo m'è noto. Ascoso intanto
da quel che avviene io prenderò consiglio.
chi comincia a fallir. Di colpa in colpa
ch'ogni rimorso è intempestivo ormai.
Eccoci in salvo, o padre. È questo il bosco
sacro a Diana. Il mio ritorno attendi
l'imeneo di Giasone? E queste sono
non è tempo, signor. Celati.
assicuro così. Perché ti stimi
ciascuna estinto, accreditar l'inganno
uno si sceglierà che avvolto ad arte
nelle tue regie spoglie il pianto mio
v'è chi protegge i re; v'è chi seconda
tutto a mio danno e del tuo sangue invece
chiedesse il mio, spargasi pure. Almeno
all'aspetto del tuo. Saprà la terra
il cammin di virtù non ho smarrito;
e 'l dover d'una figlia avrò compito. (Parte)
Oh coraggio! Oh virtù! Pensando solo
ogni altra ingiuria al mio destin perdono.
toglietemi la vita, e conservate
sensi sì grandi alla mia figlia in seno,
pietosi dei, che avrò perduto il meno.
Rodope mi narrò. Che bell'inganno
se me, del padre invece, al suo ritorno
Issipile trovasse! Allor potrei
deluderla, rapirla... È ver... Ma come...
amor mi suggerisce. Ardir. Toante,
Toante. Ove si cela? (Avvicinandosi al bosco)
Misera figlia! Il padre istesso
non volendo l'uccide. (Affettando compassione)
Se il re non trovo, (Finge non udirlo)
empia reggia, mio re. Che qui t'ascondi
già si dubita in Lenno. Or or verranno
le congiurate donne; e fia punita,
affrettati a fuggir. Non v'è di questa
Non mi conosci! Io... sono...
veggo già lampeggiar l'armi rubelle.
Vi placherete mai, barbare stelle! (Parte frettoloso)
l'ingegnoso amor mio! Timidi amanti,
imparate da me. Meschiar con arte
tutto è gloria per noi. Vincasi pure
sempre di lode il vincitore è degno.
Sentimi. Non fuggirmi. (Trattenendo Rodope)
della tua crudeltà. Soffrir non posso
che ardì macchiar lo scellerato acciaro
dunque non crederò? Nel regio albergo
io vidi il re trafitto; e tremo ancora
invece di Toante... Alcun s'appressa.
sacro a Diana. Apprenderai l'arcano
un de' nostri tiranni; ei fu sorpreso
introduce alla reggia angusto varco.
(Ah forse è il padre mio).
È noto il nome suo? (Ad Eurinome)
distinguer non si può. Ma d'armi è cinto;
l'opprimeran le feminili squadre.
d'involarvi sperate. (Esce) Eccovi... (Nell’atto d’assalire Issipile, la conosce)
pur la reggia di Lenno o son le sponde
più gradito il piacer. Lo stuol seguace
perciò lascio alle navi e della reggia
prendo solo il camin. Da schiera armata
assalito mi sento. Il brando stringo,
fugo chi m'assalì. Cieco di sdegno
m'inoltro in queste soglie; e quando credo
raggiungere, punir, trovo la sposa.
si rispetti la vita. Il nostro voto
fu punito da noi. Non vive un solo
eseguir si poté sì reo disegno?
la stanchezza e la notte. Altri all'acciaro,
offrendolo agli amplessi, il seno offerse;
altri bevve la morte; altri nel sonno
spirò trafitto; in cento guise e cento
si vestì d'amicizia il tradimento.
nella strage comun. (Se scopro il vero,
delle furie son questi. Ah vieni altrove
aure meno crudeli, amata sposa, (La prende per mano)
a respirar con me. Più fausti auspici
abbia il nostro imeneo. Del re trafitto
memorabil vendetta a tutti i numi.
Cara è a Giasone. Avrà da lui
contro qualunque sia. Così mi serbi
il fren de' miei pensieri.
(Che duro passo!) È vero. (Prima di rispondere guarda Eurinome)
Come! (Abbandona la mano d’Issipile e resta immobile)
Issipile parlò? Giasone intese?
Or s'adempia il tuo voto. Il re tradito
Tu mia sposa? Io tuo bene? E chi potrebbe
della strage paterna ancor fumante
stringer mai quella destra? Esser mi sembra
se l'aure che respiri anch'io respiro;
e mi sento gelar, quando ti miro. (Nel partir si ferma vicino alla scena e guarda con meraviglia Issipile)
(Quanto mi costi, o padre!)
l'immagine del cor? Creda a costei;
tutto il merto dell'opra. E fanno oltraggio
quei segni di rimorso al tuo coragio. (Parte)
si corra a dileguar. No. Prima il padre
dal periglio si tolga e poi... Ma intanto
m'abbandona Giasone. Ah quel di figlia
è il più sacro dover. Si pensi a questo
e si lasci agli dei cura del resto.
che rinfaccia a quest'alma i suoi furori.
difendete il mio cor. Ditemi voi
che per me più non erra invendicata
l'ombra del figlio mio, che più di Lete
e che val la sua pace il mio delitto.
(Ecco Issipile. Ardire). (Esce dal bosco)
Cara. (Credendola Issipile la prende per la mano)
Chi sei? Qual voce! (Scostandosi da Learco spaventata)
(Ah m'ingannai). (Torna nel bosco)
per le vene mi scorre! È di Learco
quella voce che intesi. Ah dove sei?
Parla. Che vuoi? Perché mi giri intorno?
esser Rodope giunta. Eccola. Amica,
ora al porto verrò. Senti. Potrebbe
all'incontro venirne e 'l nostro scampo
assicurar così. (Va verso il bosco)
la fortuna mi scopre! Intendo, o figlio,
perché intorno mi giri. Io dunque invano
scellerata sarò? Vivrà il tiranno?
io perderei della mia colpa il frutto. (Parte furiosa)
Ecco le sacre piante ove si cela
l'amato genitore. Al primo arrivo
l'ombra, il timor, l'impaziente brama
i miei passi confuse. Or non m'inganno.
Padre, signor, t'affretta.
(È pur la voce (Esce dal bosco)
questa dell'idol mio. Coraggio. Oh dei!
Palpita il cor, mentre m'appresso a lei).
Vieni. Dove t'aggiri? I passi ascolto
e trovarti non so. Fra questo orrore
forse... Pur t'incontrai. (Incontra Learco e lo prende per mano)
Tu tremi, o padre! Ah non temer. Giasone
ci assicura la fuga. Ei, non ha molto,
giunse al porto di Lenno.
(Torno a celarmi). (Torna al bosco)
Dove vai? Perché fuggi? Oh come mai
compagne, il bosco intorno ed ogni uscita
or più tempo non è. V'è chi t'intese
chiamarlo a nome e ragionar con lui.
Purtroppo è ver. L'immagine funesta
sempre mi sta sugli occhi. In ogni loco
siegue la fuga mia. Mi chiama ingrata,
che vide per mia colpa il giorno estremo.
(Io gelo e so che finge).
Eurinome, tu stessa? Osserva il ciglio
tumido di furor, molle del pianto
che s'esprime dal cor, quando s'adira.
che di tiepido sangue ancor stillante
gli ricade sul volto. Odi gli accenti;
vedi gli atti sdegnosi. Ombra infelice,
son punita abbastanza. Ascondi, ascondi
la face, oh dio, caliginosa e nera,
e i flagelli d'Aletto e di Megera.
Misera principessa! Io sento in seno
è di larve importune infausto nido.
Ardetele, o compagne. In un istante
Dunque neppur gli dei dal tuo furore,
empia, saran sicuri? Il reo comando
tradisci il tuo segreto. Ecco la selva
dove ascoso è Toante. Andate, amiche,
traetelo al supplicio. (Entrano le amazzoni nel bosco di Diana)
Misera! Che farò? Numi del cielo,
avida di vendetta, aprimi il seno;
feriscimi per lui. Supplice, umile
eccomi a' piedi tuoi. (S’inginocchia)
oggetto al tuo furor. Per quanto accoglie
di più sacro per noi la terra e 'l cielo,
rinuova il mio furor. Mora il tiranno (Snuda la spada)
e mora di mia man. Non son contenta,
finché del sangue suo fatto vermiglio
quest'acciaro non veggo. (Crede incontrar Toante; ma nell’atto di rivoltarsi incontrandosi in Learco, che vien condotto dalle amazzoni fuori del bosco, resta immobile e le cade la spada di mano)
Come salvarlo mai? Finger conviene).
per soverchia pietà madre crudele.
dunque per vendicarti! Ah torni in vita
per farmi rea della tua morte. Oh quanto,
ad un tronco s'annodi e segno sia
alle nostre saette. (Le amazzoni legano Learco ad un tronco)
a forza altrove, onde non turbi l'opra
l'istesse leggi tue porre in oblio?
se il partir differisce anche un momento.
Oh tormento maggior d'ogni tormento!
i funesti trofei di tua bellezza,
Issipile crudele. Al duro passo
giungo per troppo amarti.
ne' volumi del fato allorch'io nacqui.
Infelice momento in cui ti piacqui!
la vittima sarà. Pubblico sia
e sia solenne il sacrifizio. Andate.
l'ara s'inalzi e se le aduni intorno
la schiera vincitrice. Io resto intanto
in custodia del reo. (Partono le amazzoni)
meglio la mia pietà. Finsi rigore,
ti costi uno spergiuro. Ecco ti rendo
Ma della tua pietà qual premio avrai?
Già premiata son io. Ma tu nol sai.
se destar non ti sai, perché ti scuoti,
languida mia virtù? Che vuoi con questi
rimorsi inefficaci? O regna o servi.
che vinta affatto o vincitrice appieno.
inganni un volto? Oh delle fiere istesse
Issipile più fiera! Ai boschi ircani
pregio di crudeltà. Là non s'annida
tigre sì rea che 'l genitore uccida.
E fra me la difendo! E invento ancora
scuse alla mia dimora! Il proprio inganno
orgoglioso mio cor. Degna d'amore
e ancor difendi il tuo giudicio in lei.
stanchi di vaneggiar vegliate ancora,
languidi spirti miei. Però vi sento
confondervi nel sen. S'aggrava il ciglio;
de' molesti pensier l'alma sospende. (S’addormenta)
malvagio io fui. Di variar costume
ormai tempo saria. Son stanco alfine
di tremar sempre al precipizio appresso,
d'ammirar gli altri e d'abborrir me stesso.
dorme colà. Felice te! Nascesti
sotto un astro benigno. A te si serba
la bella mia nemica. Io disperato
pianger dovrò; fra gli amorosi amplessi
tu riderai di me. Né poca parte
fia delle gioie tue la mia sventura.
che mi lacera il cor! No. Non si lasci
que' sensi generosi, onde poc'anzi
riprendeva me stesso? (Resta pensoso)
dove mai troverò? Forse... Learco!
Perché stringe quel ferro!
sarà questa virtù. S'io non l'uccido,
né gloria acquisto. Eh mi sarebbe un giorno
questa pietà che inopportuna usai.
Si vibri il colpo. (S’incammina in atto di ferire)
Ah traditor, che fai? (Trattenendogli il braccio)
non aspettar pietà. (Tenta liberare il braccio)
Eccolo, ingrata. (Learco pensa un momento e poi lascia lo stile in mano d’Issipile)
Ferma. (Giasone si sveglia, s’alza con impeto; e nell’atto di volere snudar la spada, s’avvede d’Issipile che tiene impugnato lo stile e resta sorpreso)
Chi mi tradisce? Eterni dei!
io che ti feci mai? Di qual delitto
mi vorresti punir? L'averti amata
ma non da te. D'abitatori il mondo,
perch'al tuo fallo un testimon non resti.
più sventure per me? Signor, t'inganni;
e quel volto smarrito e quella voce
che tua non fu, che mi destò dal sonno,
Altri tentò svenarti. Io ti salvai.
prove di tua pietà. Chi uccise un padre
così stolto Giasone? Anche il disprezzo
aggiungi al tradimento. Il tuo delitto
mi palesi tu stessa, ognun l'afferma,
testimonio io ne sono; ed or pretendi
innocente apparir! Mi desto e trovo
pronta a ferirmi; e assicurar mi vuoi
che per difesa mia mi vegli accanto?
gli abitatori suoi semplici tanto.
oggetto di spavento agli occhi miei.
di quest'orride sponde. Intendo, intendo,
l'innocenza è delitto. È poco il sangue
di cui miro vermiglio il suol natio;
saziatevi una volta, eccovi 'l mio. (Vuol ferirsi)
Chi la mia morte a trattener ti muove?
Mori, se vuoi morir; ma mori altrove. (Le toglie e getta lo stile)
durando anche un momento, affetti miei.
vadasi omai. La lontananza estingua
Son fuor di me. Come risorgi? Estinto
nell'albergo real ti vidi io stesso;
o sognavo in quel punto o sogno adesso.
avvolto in regie spoglie. E quel sembiante
altri ingannò. Questa pietosa frode
Issipile inventò per mia difesa.
dunque è la sposa mia. Toante, or ora
ritorno a te. (In atto di partire con fretta)
raggiungere il mio ben. Saprai, saprai
quanto ingiusto l'offesi. (Come sopra)
cui l'evento felice orgoglio accresce,
scorron per ogni loco. E se t'inoltri
All'armi, all'armi. (Verso le tende)
impaccio e non difesa. In mezzo all'ire
io tremerei per te. Compagni, oh dio!
Oh sposa! Oh amico! Oh tenerezze! Oh amore!
placido spettator. L'amor di padre
vigore accrescerà. Forte diviene
in difesa de' figli; altrui minaccia,
e l'istessa viltà cangia in valore.
fu vana, amici. Alle più belle imprese
la fortuna si oppone. Andate e sia
ciascun pronto a partir. Ma veggo o parmi?
Sì; Toante s'appressa. E solo ei viene (Partono i pirati)
Facciam l'ultima prova. Amici, udite. (Tornano i pirati, a’ quali tratti in disparte Learco parla in voce sommessa)
restar dovrei ma voi nol tollerate,
(Udiste? Andate). (a’ pirati che partono)
palpito, non ho pace. Ogni momento
alla reggia n'andrò. (In atto di partire)
al mio sguardo mai più. (In atto di partire)
Sentimi e poi (S’alza e lo siegue)
perfido, a te si serba in questo lido?
Issipile rapir. Ma se non trova
che 'l rimorso punì, si mora almeno
nel paterno terreno. Un lustro intero,
vivo in odio alle stelle, in odio al mondo;
vivo in odio al mio re. Grave a me stesso
e 'l tedio di soffrir. De' mali miei
il più grande è la vita; e chi dal seno
è pietoso con me, quando m'uccide.
scema l'orror della sua colpa antica).
(Quanto tarda a venir la schiera amica!) (Impaziente verso la scena)
in avvenir la maestà del trono.
Riconsolati e vivi. Io ti perdono. (In atto di partire)
dubbioso ancor, se un più sicuro pegno
pietoso imitator, questo momento
gli affanni che passai. (Né giunge ancora!)
eccomi alle tue piante... E in umil atto... (Mentre vuole inginocchiarsi e prender la mano al re, escono i corsari armati che circondano Toante)
Il colpo è fatto. (Lascia la mano di Toante, sorge ed abbandona l’affettata umiltà da lui finta finora)
Cedimi quella spada. (A Toante)
Non più. Mio prigionier tu sei.
cadesti ne' miei lacci. Arbitro io sono
de' giorni tuoi. Soffrilo in pace. Il mondo
varia così le sue vicende e sempre
all'evento felice il reo succede.
Or tocca a te di domandar mercede.
cambia linguaggio. Un grande esempio avesti
di prudenza da me. Supplice, umile
parlai finora. È l'adattarsi al tempo
necessaria virtù. Pendon quell'armi
dal mio cenno; e poss'io...
degli anni il peso e degli affanni miei.
Anch'io dissi così; ma nol credei.
ama di conservarsi. Arte, che inganna
solo il credulo volgo, è la fermezza
che affettano gli eroi ne' casi estremi.
Io ti leggo nell'alma e so che tremi.
d'esser simile a te, che avrei sugli occhi
l'orror di mille colpe; e mi parrebbe
sempre ascoltar che mi stridesse intorno
l'amor della virtù. Quando non basta
basta almeno a punirle. È un don del cielo
per chi n'abusa. Il più crudel tormento
che hanno i malvagi è il conservar nel core,
l'idea del giusto e dell'onesto i semi.
Io ti leggo nell'alma; io so che tremi.
saggio conoscitor traete, amici,
prigioniero alle navi. E tu deponi
Prendilo, traditor. (Getta la spada)
quest'orgoglio real porre in oblio.
Toante è il vinto. Il vincitor son io.
quel parlar generoso... Eh non si pensi
Oh dio, Learco. (Spaventata)
stuol di gente straniera al mar conduce
Toante prigioniero. Ah se ti resta
di virtù, di valore, ecco il momento
di farne prova. Ogni delitto antico
puoi cancellar, se vuoi. Puoi del tuo nome
di liberar Toante. Offri la vita
a pro del tuo monarca. O vinci o mori.
e mi tolga il rossor d'averti amato.
Generoso è il consiglio e per mercede
merita un disinganno. È mio comando
di Toante l'arresto. Alla superba
la novella, se vuoi. Dille che meno
s'avvezzi a disprezzar. Basta sì poco
per nuocere ad altrui che in umil sorte,
che oppresso ancora ogni nemico è forte.
malvagità fra noi? Misera figlia!
Principessa infelice! A tal novella
tutti gli affanni nostri. È stanco il cielo
di tormentarne più. Vinse di Lenno
il mio sposo fedel. Palese a lui
è l'innocenza mia. Sicuro il padre,
noi vincitrici, ogni discordia tace;
tutto è amor, tutto è fede e tutto è pace.
mi volete serbar? Che giorno è questo!
Issipile mio ben, qual nuovo affanno
opportuno giungesti. Ah puoi tu solo
consolarmi, se vuoi. Corri... Difendi...
Learco... Ah mi confondo.
svenar tentò; ma trattenuto, almeno
Principe generoso, ecco un'impresa
degna di te. Tu conservar mi puoi
il caro genitor. Perdi la sposa,
se lui non salvi. È ad un sol filo unita
la vita di Toante e la mia vita.
di punire il fellon. Ma tu rasciuga
le lagrime dolenti. Al mio coraggio
il vederti di pianto umido il ciglio.
t'abbandoni al dolor. Sempre la sorte
di Giasone al valor fidati e spera.
pensa a te stessa. Al vincitor t'ascondi,
ch'odio è del mondo e tua vergogna e mia.
Tanto sdegno perché? Tu lo salvasti...
simulata quest'ira. Un'altra volta
dicesti ancor che lo bramavi oppresso;
me stessa perderò. Ma che mi giova
senza lui questa vita. È reo Learco,
lo so, ma l'amo. Ed i delitti suoi
ma non l'amor. Più cresce l'odio altrui,
tutto il sangue gelar di vena in vena.
Giusti dei, l'esser madre è premio o pena?
giungemmo il traditor. Compagni, in quelli
secondate i miei passi. Io chiedo a voi
furore e crudeltà. S'ardan le vele,
si sommergan le navi. Orrida sia
di quel perfido sangue il mar vermiglio. (Learco comparisce su la poppa della nave, tenendo con la sinistra per un braccio l’incatenato Toante ed impugnando uno stile nella destra sollevata in atto di ferirlo)
Padre... Sposo... Learco... Oh dei... Son morta.
l'affligersi così? Della sua vita
arbitra sei; su questa nave ascendi
sposa a Learco. Il mio costante amore
premi la figlia; e 'l genitor non muore.
il patto scellerato, anima rea?
il mio giusto furor. (In atto di snudar la spada)
Pietà, Giasone. (Trattenendolo)
come corre a salvarti. I suoi disprezzi
paghi il tuo sangue. Ho tollerato assai. (In atto di ferire)
Eccomi, non ferir. (S’affretta verso la nave)
scordarti di te stessa? Ah non credea
farmi arrossir. D'un talamo reale
d'un infame pirata io t'educai.
madre di scellerati e non d'eroi?
custodisci l'onor del sangue mio.
già ti costi la vita; o te ne renda
più gelosa custode un tal pensiero.
vivi e regna per me. Se a voi s'accresce
abbastanza regnai, vissi abbastanza.
ti faccia impietosir. Del mio rifiuto
ti vendicasti assai. Basta, Learco,
basta così. Non sei contento ancora?
miserabile oggetto in questo lido?
Eccomi a' piedi tuoi. (S’inginocchia)
Sì verrò, traditor. Verrò ma quanto
meco verrà. Delle abborrite nozze
fia pronuba Megera, auspice Aletto.
io sarò la peggior. Verrò, ma solo
mostro di crudeltà, quel core infido.
Vieni o l'uccido. (Con sdegno in atto di ferire)
Sposa, così mi lasci? Empio. Vorrei...
Barbari dei... (Mentre Giasone va smaniando per la scena, esce frettolosa Eurinome)
Pur ti ritrovo, o figlio.
Ah scellerata, a caso (Trattiene Eurinome)
qui non giungesti. Issipile, t'arresta.
Guardami, traditor. Libero appieno
rendi Toante o la tua madre io sveno. (Issipile si ferma a mezzo il ponte e Giasone impugnando uno stile minaccia di ferire Eurinome)
non punire i miei falli. Il tuo nemico
luogo a consiglio. È mio nemico ognuno
che te non abborrisce. È rea costei
di mille colpe; e se d'ogni altra ancora
fosse innocente, io non avrei rossore
d'averle ingiustamente il sen trafitto.
L'esser madre a Learco è un gran delitto.
arbitre deità, questo offerisco
della madre lo scempio il peso resti.
Mori infelice. (Mostra ferirla)
Eurinome, conosci. È debolezza
non è virtù. Vorrei poter l'aspetto
e mi manca valore. Ad onta mia
agghiacciar nelle vene il sangue io sento.
Ah vilissimo cor, né giusto sei
né malvagio abbastanza. E questa sola
dubbiezza tua la mia ruina affretta.
Incominci da te la mia vendetta. (Si ferisce)
e non voglio perdono. Il morir mio
sia simile alla vita. (Si getta in mare)
Io manco. Oh dio! (Sviene ed è condotta dentro)
a disciogliere il re. (Gli argonauti corrono su la nave)
Principe. Figlia. (Scendendo dalla nave)
torno pure a baciar. (Bacia la mano a Toante)
stringervi ancora. (Gli abbraccia)
Rendiam grazie agli dei, che troppo, o figli,
se da lor non comincia ogni opra umana.