Credimi, o padre; il tuo soverchio affetto
rende sicuro. A domandar che solo
l'urna fatale, altra ragion non hai
son men padre del re? D'Apollo il cenno
vuol che su l'are sue si sparga il sangue
ogni anno in questo dì; ma non esclude
le vergini reali. Ei, che si mostra
sì rigido custode, agli altri insegni
con l'esempio costanza. A sé richiami
sue regie figlie. I nomi loro esponga
anch'egli al caso. All'agitar dell'urna
provi egli ancor d'un infelice padre
come palpita il cor, come si trema
la mano accosta il sacerdote, e quando
l'estratto nome a pronunciar s'appresta;
ch'abbia a toccar sempre la parte a lui
di spettator nelle miserie altrui.
Le umane sì, non le divine.
a lor s'aspetta interpretar.
Non più, Dircea; son risoluto.
pensaci, o genitor. L'ira ne' grandi
tarda s'estingue. È temeraria impresa
che ha congiunto il poter. Già il re purtroppo
bieco ti guarda. Ah che sarà, se aggiunge
ire novelle all'odio antico?
l'odio di lui tu mi rammenti e l'ira;
la ragion mi difende, il ciel m'inspira.
quindi lungi non fosse... Oh ciel, che miro!
Potrebbe udirti alcun. Rammenta, o caro,
suddita sposa a regio figlio unita.
Non temer, mia speranza. Alcun non ode.
né la cagion ne so. Ma tu, mia vita,
qual ti lasciai? Pensasti a me?
chieder lo puoi? Puoi dubitarne?
Non dubito, ben mio; lo so che m'ami;
sentirlo replicar troppo mi piace.
Ed il picciolo Olinto, il caro pegno
orme incerte a segnar. Tutta ha nel volto
che tanto in te mi piacque. Allor che ride,
par l'immagine tua. Lui rimirando,
te rimirar mi sembra. Oh quante volte,
credula troppo al dolce error del ciglio,
mi strinsi al petto il genitor nel figlio!
guidami a lui; fa' ch'io lo vegga.
signor, per ora il violento affetto.
egli vive celato; e andarne a lui
non è sempre sicuro. Oh quanta pena
di finger più, di tremar sempre; io voglio
d'uscir di tante angustie.
altra angustia maggiore. Il giorno è questo
dell'annuo sagrifizio. Il nome mio
sarà esposto alla sorte. Il re lo vuole;
si oppone il padre; e della lor contesa
al padre tuo che sei mia sposa?
nol voglia mai. Più non vivrei.
si consulti l'oracolo. Acquistiamo
«Con voi del ciel si placherà lo sdegno,
fia l'innocente usurpator d'un regno».
esce il mio nome, io che farò? La morte
mio spavento non è; Dircea saprebbe
per la patria morir. Ma Febo chiede
d'una vergine il sangue. Io moglie e madre
come accostarmi all'ara? O parli o taccia,
il ciel se taccio, il re se parlo offendo.
gran coraggio bisogna. Al re conviene
può rivocarla un re. Benché severo,
Demofoonte è padre ed io son figlio.
io lo so, tu lo sai. Non torno alfine
senza merito a lui. La Scitia oppressa,
son mie conquiste; e qualche cosa il padre
può fare anche per me. Se ciò non basta,
piangere, supplicar, piegarmi al suolo,
Non dubitar, Dircea. Lascia la cura
a me del tuo destin. Va'. Per tua pace
che a te penso, cor mio, più che a me stesso.
Sei pur cieca, o Fortuna! Alla mia sposa
beltà, virtù quasi divina e poi
la fai nascer vassalla. Error sì grande
correggerò ben io. Meco sul trono
la Tracia un dì l'adorerà. Ma viene
il real genitor. Più non s'asconda
Padre, signor. (S’inginocchia e gli bacia la mano)
la pacifica reggia; e il cenno mio,
forse t'incresce. I tuoi trionfi, o prence,
e perché mie conquiste e perché tuoi,
sempre cari mi son. Ma tu di loro
mi sei più caro. I tuoi sudori ormai
di riposo han bisogno. È del riposo
figlio il valor. Sempre vibrato alfine
inabile a ferir l'arco si rende.
Il meritar son le tue parti; e sono
il premiarti le mie. Se il prence, il figlio
degnamente le sue compì finora,
il padre, il re le sue compisca ancora.
(Opportuno è il momento; ardir). Conosco
conoscerlo abbastanza. Io penso, o figlio,
Io ti leggo nell'alma e quel che taci
intendo ancor. Con la tua sposa al fianco
vorresti ormai che ti vedesse il regno;
(Certo ei scoperse il nodo
che mi stringe a Dircea).
rispettoso silenzio. Io lo confesso,
dubitai su la scelta; anzi mi spiacque.
mi pareva viltà. Gli odi del padre
abborria nella figlia. Alfin prevalse
nuova vita or mi dai. Volo alla sposa
V'è per mio cenno al porto
vegga apparir la sospirata nave,
strano, lo so. Gli ereditari sdegni
de' suoi, degli avi nostri un simil nodo
non facevan sperar; ma in dote alfine
ella ti porta un regno. Unica prole
che suddita non sia, per te non trovo.
ne arrossirebbon l'ombre. È lor la legge
che condanna a morir sposa vassalla
unita al real germe; e, finch'io viva,
vola, o Timante. (Adrasto si ritira)
ma un funesto dover mi chiama al tempio.
Confessarti... (Che fo?) Chiederti... (Oh dio,
che angustia è questa!) Il sacrifizio, o padre...
(Oh legge! Oh sposa! Oh sacrifizio! Oh sorte!)
più luogo a pentimento. È stretto il nodo;
io l'ho promesso. Il conservar la fede
obbligo necessario è di chi regna;
e la necessità gran cose insegna.
la povera Dircea che tante unite
sventure contro lei! Voi che inspiraste
i casti affetti alle nostr'alme, voi
che al pudico imeneo foste presenti,
difendetelo, o numi; io mi confondo.
che il cor mancommi e si smarrì l'ingegno.
Perché mesto così? Pensi, sospiri,
taci, mi guardi; e, se a parlar t'astringo
molto a dir ti prepari e nulla dici.
allegro tuo sembiante? Ove i festivi
detti ingegnosi? In Tracia tu non sei
qual eri in Frigia. Al talamo le spose
s'accompagnan fra voi? Per le mie nozze
presagisce il mio duol, tutto si sfoghi,
tutto sopra di me. Poco i miei mali
accresceran le stelle. Io de' viventi
già sono il più infelice.
non può svelarsi a me? Vaglion sì poco
il mio soccorso, i miei consigli?
ch'io parli? Ubbidirò. Dal primo istante...
Quel giorno... Oh dio! No, non ho cor; perdona;
meglio è tacer; meriterei parlando
già la tua diffidenza. È ver che alfine
mal sicuro il segreto. Andiamo, andiamo.
Parlerò; non sdegnarti. Io non ho pace;
tu me la togli; il tuo bel volto adoro;
e mi sento morir. Questo è l'arcano.
Taci, taci; non più. (Volendo partire)
il delitto ascoltar, senti la scusa.
se ardo per te, che se l'amarti è colpa,
Demofoonte è il reo. Doveva il padre
altri sceglier che me. Se l'esca avvampa,
stupir non dee chi l'avvicina al fuoco.
Tu bella sei; cieco io non son. Ti vidi,
t'ammirai, mi piacesti. A te vicino
ogni dì mi trovai. Comodo e scusa
mi diè per vagheggiarti; e me quel nome
non che gli altri ingannò. L'amor, che sempre
sospirar mi facea d'esserti accanto,
mi pareva dovere; e mille volte
gli affetti del german, spiegando i miei.
(Ah me n'avvidi). Un tale ardir mi giunge
nuovo così che istupidisco.
talor mi lusingai che l'alme nostre
senza parlar. Certi sospiri intesi;
un non so che di languido osservai
spesso negli occhi tuoi che mi parea
cominci ad abusar. Mai più d'amore
Mi spiegherò. Se in avvenir più saggio
non sei di quel che fosti infino ad ora,
non comparirmi innanzi. Intendi ancora?
la mia presenza. (In atto di partire)
della tua tolleranza. (Come sopra)
mal mi conosci! Io da quel punto... (Oh numi!)
Da quel punto... (Ah che fo!) Parti, se vuoi.
Barbara, partirò; ma forse... Oh stelle!
Dimmi, Cherinto; è questa
seco parlar. Per un momento solo
in gran periglio entrambi. Il tuo decoro,
genitori fra noi strinsero un nodo
ch'io non richiesi. I pregi tuoi reali
non che di me; ma il mio destin non vuole
ch'io possa esserti sposo. Un vi si oppone
invincibil riparo. Il padre mio
nol sa né posso dirlo. A te conviene
prevenire un rifiuto. In vece mia,
va', rifiutami tu. Di' ch'io ti spiaccio;
i demeriti miei; sprezzami e salva
per questa via, che il mio dover t'addita,
l'onor tuo, la mia pace e la mia vita.
trattenermi di più. Prence, alla reggia
sia tua cura il condurla. (A Cherinto partendo)
né più dirti saprei; pensaci. Addio. (Parte)
Numi, a Creusa, alla reale erede
dello scettro di Frigia un tale oltraggio!
vendica tu, se m'ami. Il cor, la mano,
quanto possiedo è tuo; limite alcuno
Che! Impallidisci? Ah vile!
Non più; lo so, siete d'accordo entrambi,
così dunque il mio amor poco sincero?
Del tuo amor mi vergogno o falso o vero.
Oh dei! Perché tanto furor? Che mai
le avrà detto il german? Voler ch'io stesso
nelle fraterne vene... Ah che in pensarlo
gelo d'orror! Ma con qual fasto il disse,
con qual fierezza! E pur quel fasto e quella
sua fierezza m'alletta; in essa io trovo
stupir mi fa, mi fa languir d'amore.
sen della Libia, alle foreste ircane,
fra le scitiche rupi o in qualche ignota,
separata dal mondo ultima terra.
nella cura de' figli. Ecco il rispetto
che prometter si può la vostra cura.
(Ah scoprì l'imeneo! Son morta). Oh dio!
Il tuo caso domanda altro che pianto.
volo a cercar che ne trasporti altrove. (Parte)
vuol condurmi a morir? Figlio innocente,
adorato consorte, oh dei, che pena
e addio per sempre. Al tuo paterno amore
abbraccialo per me; bacialo e tutta
capace di pietà, la sorte mia.
Sposa, che dici? Ah nelle vene il sangue
il nostro arcano. Ebbro è di sdegno; e vuole
quindi lungi condurmi. Io lo conosco,
per me non v'è più speme.
lo smarrito tuo cor, sposa diletta;
la paterna ragion. (Snuda la spada)
la mia difenderò. (Fa lo stesso)
Fermati, o genitore. (Si frappone)
che al crudel sacrifizio una innocente
Nulla sa; m'ingannai). (Piano a Timante, fingendo trattenerlo)
(Io quasi per timor tradii me stessa).
Signor, perdona; ecco l'error. Ti vidi
verso lei, che piangea, correr sdegnato;
tempo a pensar non ebbi; opra pietosa
il salvarla credei dal tuo furore.
non impedir. La vittima, se resta,
tuo padre vuol quell'innocente uccisa
fosse esposta Dircea, perché produssi
l'esempio suo, perché l'amor paterno
mi fe' scordar d'esser vassallo.
Ogni cosa congiura a danno mio).
Matusio, non temer; barbaro tanto
il re non è. Negl'impeti improvvisi
tutti abbaglia il furor; ma la ragione
poi ne emenda i trascorsi.
custodite Dircea. (Le guardie la circondano)
No, non fia vero... (In atto d’assalire)
questo ferro le immergo. (Impugnando uno stile)
sono vane, o Dircea, le tue querele.
Ah barbaro! (In atto d’assalire)
Ferma, crudele. (Arrestandosi)
tanta empietà, tanta ingiustizia! E poi
miglior uso del tempo. Appresso a lei
tu vanne e vedi ov'è condotta. Il padre
io volo intanto a raddolcir.
altra via di salvarla, ove non ceda
Oh di padre miglior figlio ben degno! (L’abbraccia e parte)
Chiedi pure, o Creusa. In questo giorno
tutto farò per te. Ma non parlarmi
a favor di Dircea. Voglio che il padre
morir la vegga. Il temerario offese
troppo il real decoro. In faccia mia
sparger nel volgo? a' miei decreti opporsi?
Paragonarsi a me? Regnar non voglio,
se tal vergogna ho da soffrir nel soglio.
a pregarti, signor. Conosco assai
quel che potrei sperar. Le mie preghiere
subito ritornar. Manca il tuo cenno
le navi uscir. Questo io domando; e credo
che negarlo non puoi, se pur qui dove
non è strano il timor, schiava io non sono.
Che dici, o principessa! Ah quai sospetti!
Che pungente parlar! Partir da noi!
Creusa è poco. Una beltà mortale
non lo speri ottener. Per lui... Ma questa
la mia cura non è. Partir vogl'io;
l'arbitra di te stessa. In Tracia a forza
ritenerti io non vuo'. Ma non sperai
chi ha ragion di lagnarsi; e il prence... Alfine
Ruvido troppo alle parole, agli atti
ti parve il prence. Ei freddamente forse
t'accolse, ti parlò. Scuso il tuo sdegno;
a' molli avvezza e teneri costumi,
l'aria d'un trace. E se Timante è tale,
meraviglia non è; nacque fra l'armi,
fra l'armi s'educò. Teneri affetti
per lui son nomi ignoti. A te si serba
ne' misteri d'amor. Poco, o Creusa,
ti costerà. Che non insegna un volto
sì pien di grazie e due vivaci lumi
che parlan come i tuoi? S'apprende in breve
di sì dotti maestri ogni dottrina.
Al rossor d'un rifiuto una mia pari
pur che tu non la sdegni, in questo giorno
il figlio a te darà; la mia ne impegno
fede reale. E se l'audace ardisse
di repugnar, da mille furie invaso
saprei... Ma no; troppo è lontano il caso.
(Sì sì, Timante all'imeneo s'astringa,
per poter rifiutarlo). E bene, accetto,
signor, la tua promessa. Or fia tua cura
Che alterezza ha costei! Quasi... Ma tutto
al grado, al sesso ed all'età si doni.
troppo mal l'abbia accolta. È forza ch'io
lo avverta, lo riprenda, acciò più saggio
le ripugnanze sue vinca in appresso.
Timante a me... (Alle guardie) Ma vien Timante istesso.
Mio re, mio genitor, grazia, perdono,
del suo destin. Non si rivoca un cenno
che uscì da regio labbro. È d'un errore
conseguenza il pentirsi; e il re non erra.
Se si adorano in terra, è perché sono
placabili gli dei. D'ogni altro è il Fato
nume il più grande; e, sol perché non muta
un decreto giammai, non trovi esempio
di chi voglia innalzargli un'ara, un tempio.
Di lui figlio è il rispetto.
t'insegnerà quel ch'or non sai. Per ora
d'altro abbiamo a parlar. Dimmi; a Creusa
che mai facesti? In questo dì tua sposa
repugnanza nel cor che non mi sento
Ne parleremo. Or per Dircea, signore,
sono al tuo piè. Quell'innocente vita
dona a' prieghi d'un figlio.
torni a parlar. Se l'amor mio t'è caro,
questa impresa abbandona.
non ti posso ubbidir. Deh, se giammai
son giunto a meritar, se, adorno il seno
d'onorate ferite, alle tue braccia
ritornai vincitor, se i miei trionfi,
non tardi frutti, han mai saputo alcuna
lagrima di piacer, libera, assolvi
la povera Dircea. Misera! Io solo
parlo per lei; l'abbandonò ciascuno;
non ha speme che in me. Sarebbe, oh dio!
troppa inumanità, senza delitto,
nel fior degli anni suoi, su l'are atroci
vederla agonizzar, vederle a rivi
dal molle sen, del moribondo labbro
udir gli ultimi accenti, i moti estremi
degli occhi suoi... Ma tu mi guardi, o padre!
Tu impallidisci! Ah! Lo conosco; è questo
un moto di pietà. (S’inginocchia) Deh non pentirti;
secondalo, o signor. No, finché il cenno
onde viva Dircea, padre, non dai,
io dal tuo piè non partirò giammai.
Principe (oh sommi dei!) sorgi. E che deggio
creder di te? Quel nominar con tanta
tenerezza Dircea, queste eccessive
che voglion dir? L'ami tu forse?
delle freddezze tue verso Creusa
la nascosta sorgente. E che pretendi
da questo amor? Che per tua sposa forse
una vassalla io ti conceda? O pensi
che un imeneo nascosto... Ah, se potessi
ti cade in mente! A tutti i numi il giuro,
non sposerò Dircea; nol bramo; io chiedo
che viva solo. E se pur vuoi che mora,
morrà, non lusingarti, il figlio ancora.
(Per vincerlo si ceda). E ben, tu 'l vuoi,
Mio caro padre... (Vuol baciargli la mano)
condescendenza una mercé?
No, caro figlio; io bramo
meno da te. Nella real Creusa
rispetta la mia scelta. A queste nozze
non ti mostrar sì avverso.
ti costan pena; or questa pena accresca
merito all'ubbidienza. Ebb'io pietade
della tua debolezza; abbi tu cura
dell'onor mio. Che si diria, Timante,
del padre tuo, se per tua colpa astretto
le promesse a tradir... Ma tanto ingrato
so che non sei. Vieni alla sposa. Al tempio
conduciamola adesso; adesso in faccia
adempi, o figlio, i tuoi doveri e i miei.
da padre ti parlai; non obbligarmi
egualmente mi son; ma, tu lo sai,
le nozze de' privati. Hanno i tuoi pari
nume maggior che li congiunge; e questo
sempre è il pubblico ben.
tal prezzo ha da costar...
di garrir teco. Altra ragion non rendo;
che in Dircea s'incominci il tuo castigo.
Che? Temerario! (Oh dei!)
se priego o se minaccio. A poco a poco
la ragion m'abbandona. A un passo estremo
non costringermi, o padre. Io mi protesto;
Di'; che faresti, ingrato?
Tutto quel che farebbe un disperato.
Dunque m'insulta ognun? L'ardita nuora,
il suddito superbo, il figlio audace,
tutti scuotono il freno? Ah non è tempo
di soffrir più. Custodi, olà; Dircea
senz'altro indugio. Ella è cagion de' falli
del padre suo, del figlio mio. Né, quando
viver dovrebbe. È necessario al regno
l'imeneo con Creusa; e mai Timante
nol compirà, finché Dircea non muore.
la perdita d'un solo, anche innocente.
Sì, caro amico, è nella fuga. Invece
il re più s'irritò. Fuggir conviene
e fuggire a momenti. Un agil legno
sollecito provvedi; in quello aduna
quanto potrai di prezioso e caro;
alla destra del porto il mar s'interna,
m'attendi ascoso; io con Dircea fra poco
Deluderò la cura. Ignota via
v'è chi m'apre all'albergo ov'ella è chiusa.
Va', che il tempo è infedele a chi ne abusa.
Gran passo è la mia fuga. Ella mi rende
e povero e privato. Il regno e tutte
io perderò. Ma la consorte e il figlio
vaglion di più. Proprio valor non hanno
gli altri beni in sé stessi; e li fa grandi
la nostra opinion. Ma i dolci affetti
e di padre e di sposo hanno i lor fonti
nell'ordine del tutto. Essi non sono
dalla forza dell'uso o dalle prime
idee di cui bambini altri ci pasce;
già ne ha i semi nell'alma ognun che nasce.
Fuggasi pur... Ma chi s'appressa? È forse
il re; veggo i custodi. Ah no; vi sono
ancor sacri ministri; e in bianche spoglie
fra lor... Misero me! La sposa! Oh dio!
Fermatevi. Dircea, che avvenne?
ecco l'ora fatale; ecco l'estremo
istante ch'io ti veggo. Ah prence, ah questo
Infin ch'io vivo... (Volendo snudar la spada)
Signor, che fai? Sol contro tanti, invano
difendi me; perdi te stesso.
Miglior via prenderò. (Volendo partire)
quanti amici potrò. Va' pure; al tempio
sarò prima di te. (Come sopra)
Non v'è più che pensar. La mia pietade
già diventa furor. Tremi qualunque
oppormisi vorrà; se fosse il padre,
non risparmio delitti. Il ferro, il fuoco
la reggia, il tempio, i sacerdoti, i numi. (Parte)
Fermati. Ah non m'ascolta. Eterni dei,
custoditelo voi. S'ei pur si perde,
chi avrà cura del figlio? In questo stato
di tremar per lo sposo. Avessi almeno
a chi chieder soccorso... Ah principessa,
ah Creusa, pietà! Non puoi negarla;
nell'ultime miserie una che muore.
purtroppo ti sarà; Dircea son io;
vado a morir; non ho delitto. Imploro
pietà ma non per me. Salva, proteggi
il povero Timante. Egli si perde
per desio di salvarmi. In te ritrovi,
se i prieghi di chi muor vani non sono,
disperato assistenza e reo perdono.
come puoi pensar tanto al suo riposo?
Oh dio! Più non cercar. Sarà tuo sposo.
Che incanto è la beltà! Se tale effetto
fa costei nel mio cor, degno di scusa
è Timante che l'ama. Appena il pianto
io potei trattener. Questi infelici
s'aman da vero. E la cagion son io
di sì fiera tragedia? Ah no; si trovi
qualche via d'evitarla. Appunto ho d'uopo
con l'ira nacque e s'ammorzò con l'ira;
or desio di salvarlo. Al sacrifizio
Timante è disperato; i suoi furori
tu corri a regolar; grazia per lei
d'un'anima reale! E chi potrebbe
non amarti, o Creusa? Ah, se non fossi
ch'io son tiranna? È questo cor diverso
Anch'io... Ma va'. Troppo saper vorresti.
Cherinto idolo mio, quanto mi costa
questo finto rigor che sì t'affanna,
ah forse allor non ti parrei tiranna.
ancor sposa non son; facile è il cambio;
può dipender da me; ma, destinata
al regio erede, ho da servir vassalla
dove venni a regnar? No, non consente
il fasto, la virtù, la gloria mia.
difendetelo voi! Timante, ascolta;
Vieni, mia vita, (Tornando affannato con ispada alla mano)
oh dio, tu sei ferito! Oh dio, tu sei
non ti smarrir; dalle mie vene uscito
questo sangue non è. Dal seno altrui
non più dubbi; fuggiamo. (La prende per mano)
quando in salvo sarai. (Partendo alla sinistra)
È ver; fuggiamo (Verso la destra)
dunque per l'altra via. Ma quindi ancora
Gli amici (Guardando intorno)
una via t'aprirò. Sieguimi. (Lascia Dircea e colla spada alla mano s’incammina alla sinistra)
Alcuno (Vede crescere il numero delle guardie e si pone innanzi alla sposa)
non si stringa il ribelle; al suo furore
fin dove giungerà. Via su, compisci
l'opera illustre. In questo petto immergi
quel ferro, o traditor. Tremar non debbe
chi fin dentro a' lor tempi insulta i numi.
Che ti trattien? Forse il vedermi
la destra armata? Ecco l'acciaro a terra.
Brami di più? Senza difesa io t'offro
il tuo maggior nemico. Or l'odio ascoso
puoi soddisfar; puniscimi d'averti
prodotto al mondo. A meritar fra gli empi
il primo onor poco ti manca; ormai
il più facesti. Altro a compir non resta
fumante ancor, la scellerata mano
taci; non più. Con quei crudeli accenti
l'anima mi trafiggi. Il figlio reo,
ecco al tuo piè. Quest'infelice vita
riprenditi, se vuoi; ma non parlarmi
mai più così. So ch'io trascorsi; e sento
che ardir non ho per domandar mercede;
ma un tal castigo ogni delitto eccede.
della perfidia sua prove sì grandi,
mi sedurrebbe. Eh non s'ascolti). a' lacci
Ecco la man; non le ricusa il figlio
del giusto padre al venerato impero.
(Purtroppo il mio timor predisse il vero!)
la vittima si renda; e me presente
Quante volte in un dì morir degg'io!
non sarà ver. Si differisca almeno
il suo morir. Sacri ministri, udite;
sentimi, o padre. Esser non può Dircea
la vittima richiesta. Il sacrifizio
ella è moglie, ella è madre e mia consorte.
che ascolto mai! L'incominciato rito
sospendete, o ministri. Ostia novella
sceglier convien. Perfido figlio! E queste
ch'io nutrivo di te? Così rispetti
le umane leggi e le divine? In questa
guisa tu sei della vecchiezza mia
il felice sostegno? Ah...
signor, con lui; son io la rea; son queste
infelici sembianze. Io fui che troppo
mi studiai di piacergli; io lo sedussi
con lusinghe ad amarmi; io lo sforzai
al vietato imeneo con le frequenti
non crederle, signor. Diversa affatto
è l'istoria dolente. È colpa mia
la sua condescendenza. Ogni opra, ogni arte
ho posta in uso. Ella da sé lontano
mi scacciò mille volte; e mille volte
feci ritorno a lei. Pregai, promisi,
costrinsi, minacciai. Ridotto alfine
mi vide al caso estremo; in faccia a lei
questa man disperata il ferro strinse;
volli ferirmi e la pietà la vinse.
Tacete. (Un non so che mi serpe
di tenero nel cor che in mezzo all'ira
vorrebbe indebolirmi. Ah troppo grandi
sono i lor falli; e debitor son io
di virtù, di giustizia). Olà, costoro
Congiunti almen nelle sventure estreme...
Sarete, anime ree, sarete insieme.
così vilmente indebolirci? Eh sia
di noi degno il dolor. Un colpo solo
questo nodo crudel divida e franga.
Separiamci da forti; e non si pianga.
l'intrepido pensier. Più non si sparga
Principe, addio. (Si dividono con intrepidezza; ma, giunti alla scena, tornano a riguardarsi)
veder come resisti a' tuoi martiri.
l'immaginar dall'eseguire!
più forte mi credei! S'asconda almeno
questa mia debolezza agli occhi tuoi.
Ah fermati, ben mio. Senti.
quando muore Dircea, serbarmi in vita,
stringendo un'altra sposa? E con qual fronte
sì vil consiglio osi propor?
tua Dircea lo propone. Ella ti parla
così per bocca mia. Dice che è questo
l'ultimo don che ti domanda.
perch'ella il vuol, non deggio farlo.
Chi di viver mi parla è mio nemico.
Perché bramar la vita? E quale in lei
piacer si trova? Ogni fortuna è pena;
è miseria ogni età. Tremiam fanciulli
d'un guardo al minacciar; siam giuoco adulti
di fortuna e d'amor; gemiam canuti
sotto il peso degli anni. Or ne tormenta
la brama d'ottenere; or ne trafigge
di perdere il timor. Eterna guerra
hanno i rei con sé stessi; i giusti l'hanno
con l'invidia e la frode. Ombre, deliri,
sogni, follie son nostre cure; e quando
a scoprir s'incomincia, allor si muore.
vieni al mio sen. (L’abbraccia)
mi dai gli estremi amplessi? E queste sono
che lagrime, che morte? Il più felice
tu sei d'ogni mortal. Placato il padre
è già con te; tutto obbliò. Ti rende
la tenerezza sua, la sposa, il figlio,
Cherinto, per pietà. Troppe son queste,
troppe gioie in un punto. Io verrei meno
già di piacer, se ti credessi a pieno.
cambiò pensier? Quando partì dal tempio,
me con Dircea voleva estinto.
e l'eseguia, che inutilmente ognuno
s'affannò per placarlo. Io cominciavo,
principe, a disperar, quando comparve
tu non conosci i pregi. E che non disse,
che non fe' per salvarti? I merti tuoi
come ingrandì! Come scemò l'orrore
del fallo tuo! Per quante strade e quante
il cor gli ricercò! Parlar per voi
la gloria, la pietà. Sé stessa offesa
e lo fece arrossir. Quand'io m'avvidi
che il genitor già vacillava, allora
volo, il ciel m'inspirò, cerco Dircea;
con Olinto la trovo. Entrambi appresso
frettoloso mi traggo; e al regio ciglio
presento in quello stato e madre e figlio.
terminò la vittoria. O sia che l'ira
per soverchio avvampar fosse già stanca,
le sue ragioni esercitasse il sangue,
il re cedé; si raddolcì; dal suolo
la nuora sollevò; si strinse al petto
l'innocente bambin; gli sdegni suoi
calmò; s'intenerì, pianse con noi.
Oh caro padre mio! Cherinto, andiamo,
recarti ei vuol. Si sdegnerà se vede
tenerezza ha per me che fino ad ora
la meritai sì poco? Oh come chiari
la sua bontà rende i miei falli! Adesso
li veggo e n'ho rossor. Potessi almeno
disimpegnar la fé. Cherinto, ah salva
l'onor suo tu che puoi. La man di sposo
offri a Creusa in vece mia. Difendi
gli ultimi dì della paterna vita.
Che mi proponi, o prence! Ah per Creusa,
sappilo alfin, non ho riposo; io l'amo
quanto amar si può mai. Ma...
ch'ella m'accetti. Al successor reale
sai che fu destinata; io non son tale.
disimpegna, o german; tu sei l'erede.
s'io non vivea per te. Ti rendo, o prence,
quando ti cedo ogni ragione al trono.
non vedremo arrossir. Povero padre!
Posso far men per lui? Che cosa è un regno
Sempre è più quel che resta a chi la dona.
parti dell'alma mia! Dunque fra poco
v'abbraccerò sicuro? È dunque vero
senza più palpitar vivremo insieme?
Numi, che gioia è questa! A prova io sento
che ha più forza un piacer d'ogni tormento.
Sei tu, Matusio? Ah scusa
se invano al mar tu m'attendesti.
ti scusa il luogo in cui ti trovo.
potesti mai qui penetrar?
scopersi un gran segreto.
Dircea non è mia figlia, è tua germana.
La cuna, il sangue, il genitor, la madre
(Ah nol permetta il ciel!)
Porgilo a me. (Con impazienza)
chiuso mel diè la mia consorte; e volle
giuramento da me che, tolto il caso
che a Dircea sovrastasse alcun periglio,
oggi dal re fu destinata a morte,
scorsi di già ch'io l'obbliai.
Quando a fuggir m'accinsi,
il ritrovai che trassi meco al mare.
Lascia alfin ch'io lo vegga. (Con impazienza)
Rammenti già che alla real tua madre
fu amica sì fedel la mia consorte
che in vita l'adorò, seguilla in morte?
di propria man della regina impresso?
Sì; non straziarmi più. (Con impazienza)
Leggilo adesso. (Gli porge il foglio)
(Mi trema il cor). (Legge) «Non di Matusio è figlia
germe è Dircea; Demofoonte è il padre;
nacque da me. Come cambiò fortuna
altro foglio dirà. Quello si cerchi
nel domestico tempio a piè del nume,
accostarsi che il re. Prova sicura
eccone intanto; una regina il giura.
Questo è più che stupor. Perché ti copri
(Onnipotenti dei, che colpo è questo!)
Ma che t'affligge? Una germana acquisti
ed è questa per te cagion di duolo?
Lasciami, per pietà, lasciami solo. (Si getta a sedere)
son mai varie fra lor! Lo stesso evento
a chi reca diletto, a chi tormento.
Misero me! Qual gelido torrente
mi ruina sul cor! Qual nero aspetto
prende la sorte mia! Tante sventure
comprendo alfin. Perseguitava il cielo
un vietato imeneo. Le chiome in fronte
mi sento sollevar. Suocero e padre
m'è dunque il re? Figlio e nipote Olinto?
Dircea moglie e germana? Ah qual funesta
confusion d'opposti nomi è questa!
Fuggi, fuggi, Timante; agli occhi altrui
non esporti mai più. Ciascuno a dito
ti mostrerà. Del genitor cadente
tu sarai la vergogna; e quanto, oh dio,
si parlerà di te! Tracia infelice,
ecco l'Edipo tuo. D'Argo e di Tebe
le furie in me tu rinnovar vedrai.
conosciuta, Dircea! Moti del sangue
violenze d'amor. Che infausto giorno
fu quel che pria ti vidi! I nostri affetti
saran per noi! Che mostruoso oggetto
a me stesso io divengo! Odio la luce;
ogni aura mi spaventa; al piè tremante
parmi che manchi il suol; strider mi sento
cento folgori intorno; e leggo, oh dio!
scolpito in ogni sasso il fallo mio.
Ah principessa, ah perché mai
Troppo, troppo ho saputo.
pegno del mio perdon... Come! T'involi
Ardir non ho di rimirarti in faccia.
Dove, misero me, dove m'ascondo!
consolarmi, crudeli, e m'uccidete.
ove non sian viventi, ove sepolta
la memoria di me sempre rimanga.
Non parlate così. Padre, consorte,
figlio, german son dolci nomi agli altri;
fortunati momenti in cui ti piacqui...
Ma taci per pietà. Tu mi trafiggi
curi la sposa, almen ti muova il figlio.
Ma in che peccò? Perché lo sdegni? A lui
perché nieghi uno sguardo? Osserva, osserva
come solleva a te, quanto vuol dirti
infelice bambin, quel che saprai
lieto così non mi verresti intorno.
Sieguilo, Adrasto. Ah chi di voi mi spiega
se il mio Timante è disperato o stolto! (Adrasto parte, dopo aver consegnato Olinto ad un servo che lo conduce fuori di scena)
mi guardate e tacete! Almen sapessi
qual riparo apprestar. Numi del cielo,
fate almen ch'io conosca il mio periglio.
E tu, Dircea, che fai? Di te si tratta,
si tratta del tuo sposo. Appresso a lui
corri; cerca saper... Ma tu non m'odi?
non sollevi dal suol? Dal tuo letargo
svegliati alfin. Sempre il peggior consiglio
è il non prenderne alcun. Se altro non sai,
piangi, lagnati almen, parla, rispondi.
Qual terra è questa! Io perché venni a parte
delle miserie altrui? Quante in un giorno,
quante il caso ne aduna! Ire crudeli
tra figlio e genitor, vittime umane,
infelici imenei. Mancava solo
senza saper perché. Ma troppo, o sorte,
è violento il tuo furor; conviene
che passi o scemi. In così rea fortuna
parte è di speme il non averne alcuna.
Dove, crudel, dove mi guidi? Ah! Queste
più il mio german. Che debolezza è questa
troppo indegna di te? Senza saperlo
errasti alfin. Sei sventurato, è vero,
ma non sei reo. Qualunque male è lieve,
regola i suoi giudizi; e la ragione,
quando l'opra condanna, indarno assolve.
Son reo purtroppo; e se finor nol fui,
lo divengo vivendo. Io non mi posso
dimenticar Dircea. Sento che l'amo;
so che non deggio. In così brevi istanti
che un vero amor, che un imeneo, che un figlio
strinser così, che le sventure istesse
resero più tenace? E tanta fede?
E sì lungo costume? Oh dio, Cherinto,
lasciami per pietà! Lascia ch'io mora,
ti ricerca, o Timante. Or con Matusio
dal domestico tempio uscir lo vidi.
troppo l'incontro del paterno ciglio.
Figlio mio, caro figlio. (Abbracciandolo)
No, non fuggirmi, o sposo;
per rimettere in calma il mio pensiero.
Non t'ingannan, Timante; è vero, è vero.
no, mio figlio non sei. Tu con Dircea
fosti cambiato in fasce. Ella è mia prole,
tu di Matusio. Alla di lui consorte
la mia ti chiese in dono. Utile al regno
il cambio allor credé; ma, quando poi
nacque Cherinto, al proprio figlio il trono
d'aver tolto s'avvide e a me l'arcano
non ardì palesar, che troppo amante
già di te mi conobbe. All'ore estreme
ridotta alfin, tutto in due fogli il caso
scritto lasciò. L'un diè all'amica e quello
Matusio ti mostrò; l'altro nascose
del regio suo natal. Bastò per questo
giurar ch'era sua figlia. Il gran segreto
della vera tua sorte era un arcano
da non fidar che a me, perch'io potessi
palesarlo o tacerlo. A tale oggetto
celò quest'altro foglio in parte solo
le prove, i segni. Eccoti il foglio in cui
di quanto ti narrai la serie è accolta.
Non deludermi, o sorte, un'altra volta. (Prende il foglio e legge fra sé)
le felici novelle, onde la reggia
Ecco lo sposo tuo. L'erede, il figlio
io ti promisi; ed in Cherinto io t'offro
A quel che il ciel destina
Ancora non vuoi dir ch'io ti son caro?
quell'innocente usurpator di cui
ogni nube sparì. Libero è il regno
dall'annuo sacrificio. Al vero erede
la corona ritorna. Io le promesse
senza usar crudeltà; Cherinto acquista
la sua Creusa, ella uno scettro. Abbracci
sicuro tu la tua Dircea; non resta
e scioglie tanti nodi un foglio solo.
Oh caro foglio! Oh me felice! Oh numi!
mi sento alleggerir! Figlio, consorte,
tornate a questo sen; posso abbracciarvi
a' piedi tuoi (S’inginocchia)
mio giustissimo re. Scusa gli eccessi
d'un disperato amor. Sarò, lo giuro,
mio figlio ancor. Chiamami padre; io voglio
esserlo fin che vivo. Era finora
obbligo il nostro amor ma quindi innanzi
elezion sarà, nodo più forte
fabbricato da noi, non dalla sorte.
le crudeltà, le violenze altrui
di spettacol festivo agli occhi tui
non è strano, o signor. Gli opposti oggetti
rende più chiari il paragon. Distingue
nel mal, che gli altri oppresse, il ben ch'ei gode;
e il ben che noi godiam tutto è tua lode.
mandi il trace inumano, ognun ripensa
alla giustizia tua. Frema e s'irriti
de' miseri al pregar, rammenta ognuno
la tua pietà. Barbaro sia col figlio,
tenero padre a noi. Qualunque eccesso
rappresentin le scene, in te ne scopre
la contraria virtù. L'ombra in tal guisa
ingegnoso pennello al chiaro alterna;
qualor lucida gemma in oro accoglie,
fosco color le sottopone; e quella
presso al contrario suo splende più bella.