Metrica: interrogazione
1051 endecasillabi (recitativo) in Ciro riconosciuto R 
della Media il confine?
                                           È quello.
                                                              Il loco
questo non è, dove alla dea triforme
ogn'anno Astiage ad immolar ritorna
le vittime votive?
                                  Appunto.
                                                      E scelto
non fu dal genitore al primo incontro
del ritrovato Ciro?
                                    E ben? Per questo
                                Che voglio dirti? E dove
Che fa? Perché non viene?
                                                  Eh principessa,
che il materno desio. Sai che prescritta
del tuo Ciro all'arrivo è l'ora istessa
del sacrifizio. Alla notturna dea
pria che il sol non tramonti; e or nasce il sole.
il figlio impaziente?... Ah ch'io pavento...
                     E di che? Se Astiage istesso,
che lo voleva estinto, oggi il suo Ciro
chiama, attende, sospira.
                                               E non potrebbe
                        Finger? Che dici? E vuoi
si faccia reo? Che ad ingannarlo il tempo
scelga d'un sacrifizio e far pretenda
del tradimento suo complici i numi?
non si scherza, o Mandane.
                                                   E pur se fede
prestar si dee... Ma chi s'appressa? Ah corri...
                         È una ninfa.
                                                  È ver. Che pena!
(Tutto Ciro le sembra). E ben?
                                                         Se fede
meritan pur le immagini notturne,
odi qual fiero sogno...
                                         Ah non parlarmi
di sogni, o principessa. È di te indegna
sì pueril credulità. Tu dei
più d'ognun detestarla. Un sogno, il sai,
fu cagion de' tuoi mali. In sogno il padre
vide nascer da te l'arbor che tutta
l'Asia copria. N'ebbe timor; ne volle
interpreti que' saggi, il cui sapere
sta nel nostro ignorar. Questi, ogni fallo
usi a lodar ne' grandi, il suo timore
chiamar prudenza ed affermar che un figlio
nascerebbe da te che il trono a lui
dovea rapir. Nasce il tuo Ciro e a morte,
su la fede d'un sogno il re l'invia.
Né gli bastò. Perché mai più non fosse
a te di prole e di timori a lui,
scaccia lungi da te. Vedi a qual segno
vergognosa credenza.
                                         Eh non è sogno,
due volte germogliò, da che perdei
nato appena il mio Ciro. Oggi l'attendo;
e mi speri tranquilla?
                                          In te credei
questo materno amor. Perdesti il figlio
nel partorirlo; ed il terz'anno appena
compievi allora oltre il secondo lustro.
leggiermente ogni affetto.
                                                 Ah non sei madre.
Arpago, il padre tuo? Sì. Forse ei viene...
è giunto il figlio tuo.
                                       Dov'è? (S’alza)
                                                       Non osa
passar del regno oltre il confin, sintanto
che il re non vien. Questa è la legge.
                                                                  Andiamo,
andiamo a lui. (Incamminandosi)
                              Ferma, Mandane. Il padre
vuol esser teco al grande incontro.
                                                               E il padre
                             Già incamminossi.
                                                                  Almeno,
Arpago, va'; ritrova Ciro...
                                                 Io deggio
qui rimaner, finché il re venga.
                                                          Amica
va' tu. (Felice me!) Presso a quel bosco
                   Volo a servirti. (Volendo partire)
                                                Ascolta.
l'aria, la voce, i moti suoi. Se in volto
ha più la madre o il genitor. Va', corri
e a me torna di volo... Odimi; i suoi
casi domanda, i miei gli narra e digli
Digli quel che non dico e dir vorrei.
Ed Astiage non viene? Arpago, io vado
il mio sposo presente! Oh dio, qual pena
sarà per lui nel doloroso esiglio
non poterlo veder! Tutte figuro
le smanie sue; gli sto nel cor.
                                                      Mandane,
odi; taci il secreto e ti consola.
Cambise oggi vedrai.
                                         Cambise! E come?
Di più non posso dirti.
                                           Ah mi lusinghi,
                 No. Su la mia fé riposa;
tel giuro; oggi il vedrai.
                                            Vedrò lo sposo,
del tenero amor mio che già tre lustri
piansi invano e chiamai?
                                                Sì.
                                                        Numi eterni,
torrente di contenti! Oh figlio! Oh sposo!
Oh me felice! Arpago, amico, io sono
fuor di me stessa; e nel contento estremo
per soverchio piacer lagrimo e tremo.
Sicuro è il colpo. Oggi farò palese
il vero occulto Ciro; oggi il tiranno
la vittima sarà. Con tanta cura
lo sdegno mio dissimulai che il folle
non diffida di me. Sedotti sono,
tutti i suoi più fedeli; infin Cambise
del disegno avvertii. Potete alfine,
ire mie, scintillar; fuggite ormai
dal carcere del cor; soffriste assai.
Ciri vi son? Già sul confin del regno
sai pur che un Ciro è giunto. Il re non venne
                                Il re s'inganna. È quello
un finto Ciro. Il ver tu sei.
                                                 L'arcano
meglio mi spiega. Io non l'intendo.
                                                                 Ascolta.
Sognò Astiage una volta...
                                                Io so di lui
il sogno ed il timor; de' saggi suoi
so il barbaro consiglio; il nato Ciro
so che ad Arpago diessi e so...
                                                       Non darti
sì gran fretta, o signor; quindi incomincia
quel che appunto non sai. Sentilo. Il fiero
Arpago d'eseguir. Fra gli ostri involto
timido a me ti reca...
                                        E tu nel bosco...
No; lascia ch'io finisca. (Oh impaziente
giovane età!) La mia consorte avea
partorito in quel dì; proposi il cambio;
sotto nome d'Alceo serbo ed espongo
l'estinto in vece tua.
                                      Dunque...
                                                           Non vuoi
ch'io siegua? Addio.
                                       Sì sì, perdona.
                                                                    Il cenno
credé compiuto il re. Pensovvi e sciolto
dal suo timor vide il suo fallo; intese
del sangue i moti e fra i rimorsi suoi
pace più non avea. Quasi tre lustri
Arpago tacque; alfin stimò costante
d'Astiage il pentimento e te gli parve
tempo di palesar. Pur come saggio
prima il guado tentò. Desta una voce
fra gli Sciti vivea, ch'altri in un bosco
lo raccolse bambino. O sparso fosse
dall'impostor quel grido o che dal grido
nascesse l'impostor, vi fu l'audace
che il tuo nome usurpò.
                                             Sarà quel Ciro
                     Quello. T'accheta. Al re la fola
Arpago accreditò, dentro al suo core
ragionando in tal guisa. O il re ne gode;
il suo Ciro scoprirgli; o il re si sdegna;
sopra dell'impostor.
                                      Ma già che tanto
tenero Astiage è del nipote e vuole
oggi stringerlo al sen, perché si tace
                         Dell'animo reale
Arpago non si fida. Il re gli fece
del trasgredito cenno; e mal s'accorda
tanto affetto per Ciro e tanto sdegno
per chi lo conservò. Prima fu d'uopo
contro di lui munirti. Alfin l'impresa
oggi è matura. Al tramontar del sole
sarai palese al mondo; abbraccerai
la madre, il genitor. Questi fra poco
verrà; l'altra già venne.
                                            È forse quella
che mi parve sì bella, or or che quindi
frettolosa passò?
                                No; fu la figlia
                    Addio. (Vuol partire)
                                   Dove?
                                                  A cercar la madre. (Vuol partire)
Fermati; ascolta. Ella, Cambise e ognuno
crede finora al finto Ciro e giova
l'inganno lor, che se Mandane...
                                                           A lei
finché tu nol permetta. Addio. Diffidi
della promessa mia? Tutti ne chiamo
in testimonio i numi. (Partendo)
                                          Ah senti. E quando
a frenare una volta? In quel che brami
tutto t'immergi e a quel che dei non pensi.
per la Media e per te? Sai ch'ogn'impresa
s'incomincia dal ciel? Va' prima al tempio;
devoto implora; e in avvenir più saggio
regola i moti... Ah come parlo! All'uso
di tant'anni, o signor, questa perdona
paterna libertà. So che favella
cambiar teco degg'io. Rigido padre
servo fedele il mio signor consiglio.
Padre mio, caro padre, è vero, è vero;
impeti miei; gli emenderò; cominci
l'emenda mia dall'ubbidirti. Ah mai,
mai più non dir che il figlio tuo non sono.
È troppo caro a questo prezzo il trono.
temperarsi dal pianto?
                                            Il ciel ti sia
fausto, o pastor. (Guardando intorno)
                                Te pur secondi. (Oh dei!
Non è nuovo quel volto agli occhi miei).
si veneran fra voi, mostrami, amico,
del sacrifizio il loco. Anch'io straniero
vengo la pompa ad ammirarne.
                                                           Io stesso
colà ti scorgerò. (No, non m'inganno;
egli è Cambise). (Guardandolo attentamente)
                                 (Ed Arpago non trovo!)
(Scoprasi a lui...) Ma chi vien mai?
                                                                 Son quelli
                             Anzi il re stesso.
Astiage? (Sorpreso)
                   Sì.
                           Lascia ch'io parta.
                                                              È troppo
              Oh fiero incontro! (Si nasconde)
                                                 Alcun non osi (Chiudendo la porta)
O già vide Cambise o sa l'arcano).
Chi è teco? (Guardando sospettosamente intorno)
                        Alcun non v'è. (Tremo).
                                                                     Ricerca
con più cura ogni parte. (Va a sedere)
                                              (Il vostro aiuto,
santi numi, io vi chiedo). (Fingendo cercare)
                                                 (Io son perduto).
Siam soli. (Tornando al re)
                      Or di'; serbi memoria ancora
de' benefizi miei?
                                   Tutto rammento.
io ti fui debitor, quando m'accolse
la tua corte real. Quest'ozio istesso
dell'umil vita, in cui felice io sono,
è, lo confesso, è di tua destra un dono.
la mia tranquillità, se quel ch'io voglio
fosse nel tuo poter, dimmi, potrei
                             (Ah Ciro ei vuol!)
                                                               Rispondi.
                            Questa corona in fronte
sostenermi tu puoi. Sta quel ch'io cerco
nelle tue mani. Ad onta mia serbato
Ciro, tu il sai...
                             (Misero me!)
                                                        Nel viso
tu cambi di color? La mia richiesta
prevedi forse e ti spaventi?
                                                   Io veggo...
Signor... pietà. (S’inginocchia)
                              No; non smarrirti. È il colpo
facil più che non credi. Al falso invito
Ciro credé; già sul confin del regno
con pochi sciti è giunto e l'ora attende
(Parla del finto Ciro. Io torno in vita).
ogni confin. Può facilmente Ciro
esser da te con qualche insidia oppresso.
(Ah quasi per timor tradii me stesso).
                      E ben?
                                      (Per affrettar che parta,
tutto a lui si prometta). Ad ubbidirti,
mio re, son pronto. (Risoluto)
                                      (Ah scellerato!)
                                                                    All'opra
solo non basterai. Sceglier conviene
                                  Oltre il mio figlio Alceo,
uopo d'altri non ho.
                                      Questo tuo figlio
                           (Nuovo spavento. Almeno
si liberi Cambise). Alle reali
tende, signor, tel condurrò.
                                                   No; voglio
qui parlar seco. A me lo guida.
                                                         Altrove
                  Non più. Vanne. Ubbidisci. (Sostenuto)
                                                                     (Oh dio!
In qual rischio è Cambise e Ciro ed io!)
parmi di respirar. Non so s'io deggia
alla speme del colpo o alla stanchezza
quel soave languor che per le vene
dolcemente mi serpe. Ah forse a questo
umil tetto lo deggio in cui non sanno
d'ogni soglio real cure infelici.
Che veggo, amici dei! Dorme il tiranno. (Esce)
Barbaro re, con tante furie in petto
come puoi riposar? Vindici numi,
quel sonno è un'opra vostra. Il sangue indegno
da me volete; io v'ubbidisco. Ah mori. (Snudando la spada)
Perfido! (Sognando)
                   Aimè! Si desta. (Trattenendosi)
                                                 Aita. (Sognando)
                                                             Ei vide
l'acciaro balenar. (Vuol nascondersi)
                                  Ciro m'uccide. (Sognando)
Ciro! Parlò sognando. E cada ormai,
cada il crudele. (In atto di ferire)
                               Ah traditor, che fai?
Mandane. (Con voce bassa)
                      Olà. (Alle guardie verso la porta)
                                 T'accheta. (Come sopra)
                                                      Olà, custodi.
            Padre. (Verso Astiage)
                           Idol mio. (Seguendola)
                                              Destati, o padre. (Scuotendolo)
Dove son? Chi mi desta? E tu chi sei?
con quel ferro volea...
                                         Ma, principessa,
meglio guardami in volto.
                                                 Ah scellerato... (Guardandolo)
Misera me! (Lo riconosce)
                         Perché divien la figlia
(Cambise! Aimè! Lo sposo mio! Son morta).
Ah traditor, ti riconosco. In queste
                        Sì, tiranno, io son Cambise.
(Sconsigliata! Ah che feci!)
                                                   Anima rea, (A Cambise)
in Media entrare ardisti? E in finte spoglie?
E insidiator della mia vita? Ah tale
scempio farò di te...
                                      Le tue minacce
Uccidimi, tiranno; al tuo destino
non fuggirai però. Già l'ora estrema
hai vicina e nol sai; sappilo e trema.
                                 Come? Che dici? Oh stelle! (Frettoloso)
Chi m'insidia? Perché? Parla.
                                                        Ch'io parli?
già per farti gelar dissi abbastanza.
Custodi, olà, della città vicina
                        Del tuo furor mi rido.
Ah padre... Ah sposo...
                                          Addio, Mandane, addio.
Mandane, udisti? Ah s'io sapessi, almeno...
Il sapresti tu mai? Parla. O congiuri
tu ancor co' miei nemici?
                                                Io? Come? E puoi
temere, oh dei! ch'io pur ti brami oppresso?
Chi sa? Temo d'ognun; temo me stesso.
Oh padre! Oh sposo! Oh me dolente! E come...
Bella ninfa... pietà. (Guardandosi indietro)
                                     Lasciami in pace,
pastor; la cerco anch'io.
                                            Deh...
                                                          Parti.
                                                                       Ah senti,
o ninfa o dea, qualunque sei, che al volto
non mi sembri mortal.
                                           Che vuoi?
                                                                Difesa
all'innocenza mia. Fuggo dall'ira
                                E il tuo delitto
solo al tempio n'andava... Ecco i custodi,
s'avanzi ancor. (Qual mai tumulto in petto
(Qual mai per me cara sembianza è questa!)
solo al tempio n'andava, udii la selva
dal più folto sonar; mi volsi e vidi
stranieri al certo, una leggiadra ninfa
presa rapir. L'atto villano, il volto
non ignoto al mio cor destommi in seno
sdegno e pietà. Corro gridando; e il dardo
vibro contro i rapaci. Al colpo, al grido
un ferito di lor, timidi entrambi
lascian la preda; ella sen fugge ed io
seguitarla volea, quando importuno
uom di giovane età, d'atroce aspetto,
m'attraversa il cammino e vuol ragione
del ferito compagno; io non l'ascolto
per seguir lei che fugge. Offeso il fiero
dal mio tacer, snuda l'acciaro e corre
superbo ad assalirmi; io disarmato
non aspetto l'incontro; a lui m'involo;
ei m'incalza, io m'affretto; eccoci in parte
dove manca ogni via. Mi volgo intorno,
non veggo scampo; ho da una parte il monte,
dall'altra il fiume e l'inimico a fronte.
penso allor di lanciarmi; e mentre il salto
ne misuro con gli occhi, armi più pronte
m'offre il timor. Due gravi sassi in fretta
colgo, m'arretro; e incontro a lui, che viene,
scaglio il primiero; egli la fronte abbassa,
gli striscia il crin l'inutil colpo e passa.
Emendo il fallo e violento in guisa
che previen la difesa; e a lui, pur come
frange una tempia in sul confin del ciglio.
scolorisce il feroce. Un caldo fiume
gl'inonda il volto; apre le braccia; al suolo
abbandona l'acciar; rotando in giro,
già di cadere accenna; a un verde ramo
cede al peso e lo siegue; ei rovinando
balzò nel fiume e si perdé nell'onda.
Ed è questo il delitto...
                                           Ecco la ninfa
cui di seguir mi frastornò quel fiero.
Arpalice, ed è vero...
                                       Ah dunque udisti,
Mandane, il caso atroce.
                                             Or l'ascoltai.
(Numi! Alla madre mia finor parlai).
fibra nel sen che non mi tremi al solo
pensier del tuo dolore.
                                           E donde mai
così presto il sapesti?
                                         Ah le sventure
van su l'ali de' venti. Ammiro anch'io
sia già noto ad ognun che Ciro è morto.
            (Il rival forse svenai!)
                                                      Che dici? (Ad Arpalice)
perder dovevi il figlio, era assai meglio
Come! Ciro è l'ucciso! Ah scellerato.
(Dicasi... Ah no, che di tacer giurai).
a chiedermi difesa? In questa guisa
si deride il dolor?
                                  Non seppi...
                                                          Ah taci,
taci, fellon; tutto sapesti; è tutto
menzogna il tuo racconto. O figlio, o cara
parte del sangue mio, dunque di nuovo,
misera, t'ho perduto? E quando? E come!
(Resister non si può. Morir mi sento).
Era presago il mio timor? Ma tanto
no, non temei. Perdere un figlio è pena;
ma che un vil... ma che un empio... Ah traditore
aprirti il sen, svellerti il core.
                                                      Oh dio!
svellimi il cor ma non t'affligger tanto.
Ch'io non m'affligga? E l'uccisor del figlio
così parla alla madre?
                                          Eh tu non sei...
Son io... Quello non fu... (Che pena, oh dei!)
quel carnefice reo. Poca vendetta
è il sangue tuo ma pur lo voglio.
                                                           Affrena
gli sdegni tuoi. Necessitato e senza
saperlo egli t'offese. Imita, imita
la clemenza de' numi.
                                          I numi sono
non v'è pietà, non v'è giustizia...
                                                            Ah taci.
Il dolor ti seduce. Almen gli dei
                          Ridotta a questo segno
Il mio figlio perdei, tutto ho perduto.
quella madre dolente.
                                          Ho troppo io stessa
di conforto bisogno e di consiglio.
E che mai sì t'affligge?
                                           Il tuo periglio.
alcun per me tenero affetto al core.
Perché, Alceo, perché mai nascer pastore?
nutrir potrei questa speranza audace?
Se non fossi pastor... Lasciami in pace.
Ah Mitridate, ah che mi dici? Alceo
Più sommessa favella. (Guardando con timore all’intorno)
                                           Alcun non ode.
Potrebbe udir. Sotto un crudele impero
troppo mai non si tace. Un sogno, un'ombra
passa per fallo e si punisce; è incerta
d'ogni amico la fé; le strade, i tempi,
le mense istesse, i talami non sono
dall'insidie sicuri. Ovunque vassi,
v'è ragion di tremar; parlano i sassi.
                           Rassicurar ti vuoi?
Dimandane il tuo cor; qual più sincero
testimonio ha una madre?
                                                  È vero, è vero.
Or mi sovvien; quando mi venne innanzi
la prima volta Alceo, tutto m'intesi,
tutto il sangue in tumulto. Ah perché tanto
                             Così geloso arcano
del materno piacer. Se il tuo dolore
pietà non mi facea, se del tuo sdegno
contro Alceo non temevo, ignoto ancora
ti sarebbe il tuo figlio.
                                          A parte a parte
                           Col fortunato avviso
                             Ferma. (Nol dissi?) Ah taci,
se vuoi salvo il tuo Ciro.
                                             Eterni dei!
Or di più non cercar.
                                        Sai che il mio figlio
prigioniero è per me.
                                         Se parti e taci,
libero tel prometto.
                                     E per qual via?
tutto il pensier; va'.
                                      Come vuoi. Ma posso
                          Se puoi fidarti? Oh stelle!
Se puoi credermi? Oh dei! Bella mercede
dalla grata Mandane ha la mia fede.
infinito saper! Per qual di Ciro
mirabile cammin guidi la sorte!
la mia pietà lo serba; e a me, perch'io
nasce opportuno al cambio un figlio estinto.
il re lo cerca; e affinch'ei sia deluso,
usurpa un impostor di Ciro il nome.
Vien lusingato il falso erede; e il vero
nol conosce e l'uccide; e il colpo appunto
esecuzion d'un suo comando. E pure
trovasi ancor chi per sottrarsi a' numi
forma un nume del caso; e vuol che il mondo
da una mente immortal retto non sia.
Cecità temeraria! Empia follia!
                     Signor, fosti ubbidito;
Ciro non vive più.
                                   Lo so; ti deggio,
amico, il mio riposo. E qual poss'io
render degna mercede a' merti tui?
Vieni, vieni al mio seno. (Odio costui).
Altro premio io non vo'...
                                               Non trattenerti,
Mitridate, con me. Potrebbe alcuno
dubitar del segreto.
                                      Il figlio Alceo...
So che vuoi dirmi; è prigioniero. Io penso
Tutto farò per voi. Fidati e parti.
                           (Più non tornasse almeno).
(Qual tempesta i tiranni han sempre in seno!) (Parte)
Che oggetto tormentoso agli occhi miei
costui divenne! Ei sa il mio fallo; a tutti
palesarlo potrà. Servo mi resi
del più reo de' miei servi. Ah Mitridate
mora dunque ed Alceo. L'estinto Ciro
il pretesto sarà... No. S'io gli espongo
a un pubblico giudizio, il mio segreto
per imprudenza o per vendetta. È meglio
assolvergli per ora. Un colpo ascoso
indi gli opprima. E in qual funesta entrai
necessità d'esser malvagio! A quanti
delitti obbliga un solo! E come, oh dio,
un estremo mi porta all'altro estremo!
Son crudel, perché temo; e temo appunto,
perché son sì crudel. Congiunta in guisa
è al mio timor la crudeltà che l'una
nell'altro si trasforma e l'un dell'altra
è cagione ed effetto; onde un'eterna
mi propaga nell'alma i miei tiranni.
Ah signor... (Affettando affanno)
                        Giusti dei! Che fu? (Con ispavento)
                                                             Sicuro
non è il sangue real.
                                      Che? Si cospira
                            No; ma il tuo Ciro estinto
                                (Altro temei).
                                                            (Di tutto
il misero paventa).
                                     Udisti, amico,
dunque la mia sventura? Il sol perdei
                           (Falso dolor! Con l'arte
                                Né m'è permesso
punire alcun senza ingiustizia. È stato
involontario il colpo.
                                       Alceo lo dice.
luogo a sospetti. Ho indubitate prove
dell'innocenza sua. Punir nol deggio
d'una colpa del caso. Alceo si ponga,
Arpago, in libertà; ma fa' che mai
né le perdite mie più mi rammenti.
                              Gran re, perdono,
             Di che?
                              Del più crudel delitto
che una suddita rea...
                                         Come! Tu ancora... (Con timore)
                            (Torna a tremar).
                                                              Son io
la misera cagion che Ciro è morto.
Alceo colpa non ha. Le sue catene
sciogli pietoso, or che al tuo piè sen viene.
di Mitridate il figlio? (Ad Arpago a parte)
                                         Appunto.
                                                             Oh dei!
Che nobil volto! Il portamento altero
poco s'accorda alla natia capanna.
Che dici? (Ad Arpago)
                     È ver; ma l'apparenza inganna.
                        Sì.
                                Pur mi desta in petto
sensi di tenerezza e di rispetto. (Da sé)
Partasi). (S’incammina e poi si ferma)
                   (Lode al cielo).
                                                Arpago, e pure (Ad Arpago a parte)
in quel sembiante un non so che ritrovo
che non distinguo e non mi giunge nuovo.
                       Taci, pastor. Commessa
è a me la sorte tua. Parlando aggravi
                        Più non favello. (Ritirandosi)
                                                      E ancora,
signor, non vai? Qual maraviglia è questa?
Perché cambi color? Che mai t'arresta?
(Partì; respiro). Arpalice, col reo
                           Ah genitor, tu m'ami;
sai che Alceo mi difese e reo lo chiami?
Sparse il sangue real.
                                         Senza saperlo,
                   Non più. Va'.
                                             Se nol salvi,
ah della figlia il difensor difendi.
un traditor poi fosse?
                                         Un traditore?
e parta ognun. (Partono le guardie)
                              (Quanto la figlia è grata,
è cauto il genitor).
                                   Posso una volta
parlarti in libertà. Permetti ormai
che umile a' piedi tuoi... (Inginocchiandosi)
                                               Sorgi; che fai?
su la destra reale, onor dovuto
purtroppo alla mia fé. Ciro, perdona
se di pianto mi vedi umido il ciglio.
Questo bacio, o signor, mi costa un figlio.
liberator, vieni al mio sen. Di quanto
debitor ti son io, già Mitridate
pienamente m'instrusse.
                                               Ancor compita
l'opra non è. Sul tramontar del sole
Mandane a noi; cerca evitarla.
                                                        Intendo.
Temi ch'io parli. Eh non temer; giurai
di non spiegarmi a lei, finché permesso
non sia da Mitridate; e fedelmente
il giuramento osserverò.
                                              T'esponi,
                                    Deh non perdiamo
di tant'anni il sudor. Sul fin dell'opra
tremar convien. L'esser vicini al lido
molti fa naufragar. Scema la cura,
e ogni rischio è maggior per chi nol teme.
Oh madre mia, se immaginar potessi
che il tuo figlio son io!
                                          Mio caro figlio!
Mio Ciro! Mio conforto!
                                             Io? Come? (Oh stelle!
                                 Alle materne braccia
torna, torna una volta... Ah perché schivi
                                    Temo... Potresti... (Oh numi!
                               Non dubitar, son io
la madre tua; non te lo dice il core?
                Sentimi pria. (Numi, consiglio.
Parlar deggio o tacer?)
                                           M'evita il figlio!
(Perché tacer? Già mi conosce). È tempo...
Poiché tant'oltre... (Ah no. Dal giuramento
sciolto ancor non son io. Dee Mitridate
consentir ch'io mi spieghi).
                                                    E ben t'ascolto,
                                (Sarò crudel tacendo;
                                  Né m'ode!
                                                        (Alfine
solamente un piacer; ma forse il frutto
dell'altrui cure e de' perigli immensi
arrischio col parlar).
                                       Che fai? Che pensi?
Che ragioni fra te? Quei passi incerti,
quelle nel proferir voci interrotte
che voglion dir? Che la tua madre io sono
sai finora o non sai? Se già t'è noto,
perché freddo così? Parla.
                                                 (Che pena!
Sento il sangue in tumulto in ogni vena).
(Ah Mitridate, e come vuoi ch'io taccia?)
Questi son dunque i teneri trasporti,
le lagrime amorose, i cari amplessi
affollate domande? Ah madre... Ah figlio...
Udisti i casi miei? Narrami i tui...
Quanto errai... Quanto piansi... Io dissi... Io fui...
No; questo è troppo, o il figlio mio non sei
tutti gli ordini suoi cambiò natura.
(Si voli a Mitridate; egli alla madre
                               Sì; pochi istanti aspetta;
a momenti ritorno. (S’incammina frettoloso)
                                      Ah prima... Ah senti,
di'; sei Ciro o non sei?
                                           Torno a momenti.
questo che vorrà dir? Sarebbe mai
la mia speme un inganno?
                                                  Amata sposa,
Cambise! Idolo mio! Tu qui! Tu sciolto!
Qual man liberatrice...
                                           Arpago... Oh quanto
dobbiamo alla sua fede! Arpago è quello
che mi salvò. Me prigionier raggiunse
per cammino un suo messo; a' miei custodi
parlò; fui sciolto. «In libertà» mi disse
«signor, tu sei; va'; con più cura evita
Arpago, che m'invia, diratti il resto».
Oh vero, oh fido amico!
                                             E pure il figlio
serbarci non poté. Sapesti... Oh dio,
che barbaro accidente!
                                           Il più crudele
                        Se fosse vero? Ah dunque
ne possiam dubitar? Parla, Mandane;
consola il tuo Cambise.
                                            E come posso
te consolar, se non distinguo io stessa
quel che creder mi debba?
                                                  Almen qual hai
                                    Si vuol che sia
l'ucciso un impostore, e il nostro figlio
quel pastor che l'uccise.
                                             O dei pietosi,
avverate la speme. E tu vedesti
                               Or da me parte.
                                                              È dunque...
Quei che meco or parlava.
                                                 Un giovanetto,
di biondo crin, di brune ciglia, a cui,
forse proprio trofeo, gli omeri adorna
spoglia d'uccisa tigre?
                                          Appunto.
                                                              Il vidi
e m'arrestai, finché da te partisse;
ma sugli occhi mi sta. Pur che ti disse?
fa spesso stupidir. Ma qual ti parve?
il dovea te presente. E chi l'arcano
                  Mitridate.
                                       Aimè! (Si turba)
                                                     Da lui
sotto nome d'Alceo, come suo figlio,
                         E Alceo si chiama?
                                                             Alceo.
Oh nera frode! Oh scelerati! Oh troppo
credula principessa!
                                       Onde, o Cambise,
queste smanie improvvise?
                                                    Alceo di Ciro
è il carnefice indegno; il colpo è stato
del tuo padre un comando.
                                                  Ah taci.
                                                                   Io stesso
dove Astiage l'impose; io l'ascoltai.
di Mitridate a frastornar giungesti
                          Sì.
                                  Colà dentro ascoso
vidi che il re venne a proporre il colpo
a Mitridate; ei col suo figlio Alceo
e appunto il figlio Alceo fu che l'uccise.
                        Dubiti ancor? Non vedi
la tua vendetta e per salvare il figlio
questa favola inventa? Arpago, a cui
tanto incresce di noi, parti che avrebbe
taciuto infino ad ora?
                                         Oh dei!
                                                          Non vedi...
Ah tutto vedo, ah tutto accorda; è vero;
è il carnefice Alceo. Perciò poc'anzi
tremava innanzi a me. Gli amplessi miei
perciò fuggia. Ben de' materni affetti
volle abusar ma s'avvilì nell'opra.
repugnar la natura a tanto orrore.
Ma tu creder sì presto...
                                             Oh dio! Consorte,
Mitridate parlò; parea che avesse
il cor sui labbri; anche un tumulto interno,
che Alceo mi cagionò, gli accrebbe fede;
e poi quel che si vuol presto si crede.
Oh dei, ridurci a tal miseria e poi
                                 Trarre una madre
d'un figlio all'omicida! Ah sposo! Il mio
non è dolor; smania divenne, insana
avidità di sangue.
                                   Io stesso, io voglio
soddisfarti, o Mandane. Addio. (Partendo)
                                                           Ma dove?
a trafiggergli il cor, sia pur nascosto
in grembo a Giove. (Partendo)
                                      Odi; se lui non giungi
in solitaria parte, avrà l'indegno
troppe difese. Ove s'avvalla il bosco,
fra que' monti colà, di Trivia il fonte
atto all'insidie è il sito; ivi l'attendi.
porta alla sua capanna; e in uso ogn'arte
io porrò perch'ei venga.
                                             Intesi. (Partendo)
                                                            Ascolta.
                                    Sì; l'ho presente;
non averne pietà; passagli il core;
fa' che senta il morir...
                                           Non più, Mandane;
non inspirarmi il tuo; fremo abbastanza.
Se tornasse il fellone... Eccolo... Oh come
tremo in vederlo! Una mentita calma
Madre mia, cara madre, ecco il tuo figlio.
                              Pur Mitridate alfine
consente che al tuo sen...
                                              Ferma. (Chi mai
sì reo lo crederia?)
                                    Numi, quel volto
come trovo cambiato! Intendo; è questa
una vendetta. Il mio tacer t'offese;
mi punisci così. Perdono, o madre,
bella madre, perdon.
                                        Taci.
                                                    Ch'io taccia?
(Con quel nome di madre il cor mi straccia).
Basta, basta, non più; del fallo ormai
è maggiore il castigo.
                                        Odi. (Un istante
tollerate, ire mie). Madre non vive
più tenera di me. Questo ritegno
è timor, non è sdegno. Alcun travidi
fra quelle piante ascoso. Il loco è pieno
tutto d'insidie. (Anima rea!) Bisogna
sciorre il freno agli affetti ed esser certi
che il re nulla traspiri. Oh quali arcani,
oh quai disegni apprenderai! Palese
vedrai tutto il mio cor.
                                           Vengo, son pronto,
                                     (Già corre all'esca
l'ingannator). Meco venir sarebbe
di sospetti cagion; tu mi precedi,
                                   Scegli tu stesso il loco.
                                      Sì... Ma potrebbe
sopraggiungere alcun.
                                          Di Pale all'antro?
Mai non seppi ove sia.
                                           Di Trivia al fonte?
che bagna il vicin bosco, ov'è più folto?
        Va'; m'è noto. (Ah traditor sei colto).
                               Parti una volta. (Con ira)
                                                             Oh dio!
Perché quel fiero sguardo?
                                                  Io fingo, il sai;
temo che alcun n'osservi.
                                               È ver; ma come
puoi trasformarti a questo segno?
                                                               Oh quanta
violenza io mi fo! Se tu potessi
vedermi il cor... Sento morirmi; avvampo
d'insoffribil desio; vorrei mirarti...
Vorrei di già... (Non so frenarmi). Ah parti.
Che voci insidiose! A poco a poco
cominciava a sedurmi. Un inquieto
senso partendo ei mi lasciò nell'alma
che non è tutto sdegno. Affatto priva
non sono alfin d'umanità. Mi mosse
quel sembiante gentil, que' molli accenti,
quella tenera età. Povera madre!
se madre ha pur, quando saprà che il figlio
lacero il sen da mille colpi... Oh folle
e mi scordo di me. Mora l'indegno,
se ne affligga chi vuole. Il figlio mio
vendicato esser dee. Son madre anch'io.
l'impazienze mie. D'Alceo che avvenne?
È assoluto? È punito? È giusto? È reo?
Deh per pietà non mi parlar d'Alceo.
d'Alceo darmi novella? Io non ho pace,
se il suo destin non so. Ma tanto affanno
d'un grato cor. Che? D'un pastore amante
Arpalice sarebbe? Eterni dei,
da tal viltà mi difendete. Io dunque
germe di tanti eroi... No no; rammento
quel che debbo a me stessa. E pur quel volto
mi sta sempre sugli occhi. Ah chi mi toglie,
È amore? Io nol distinguo. Alcun mel dica.
Lo veggo, Mitridate; un vivo esempio
tu sei di fedeltà. Non istancarti
l'istoria a raccontarmi. A pro di Ciro
e Cambise lo sa. Pensiamo entrambi
le tue cure a premiar. (Perfido!) È vero
che del merito tuo sempre minore
la mercede sarà; pur quel che feci
poco a Mandane, a Mitridate assai.
di premio e di mercé troppo m'offende.
mercenario così? S'inganna. Io fui
compiendo il dover mio. Le rozze spoglie
non trasformano un'alma. In me, lo sai,
non è sventura. Io volontario elessi
questa semplice vita e forse appunto
per serbarmi qual sono, e qual mi credi
per mai non divenir.
                                        (Numi! A qual segno
può simular l'indegno!)
                                             Un tal pensiero
tanto oltraggio mi fa...
                                          Perdona; è vero.
mi trasportò. Dovea pensar che il solo
e tu ben vi giungesti, al grado estremo
d'un'eroica virtù tutto ritrova,
tutto dentro di sé. Pieno si sente
d'un sincero piacer, d'una sicura
tranquillità che rappresenta in parte
lo stato degli dei. Di', tu lo provi,
                       Sì; né di questa invece
torrei di mille imperi...
                                            Anima vile!
Traditor! Scelerato!
                                      Io! Principessa,
le tue frodi occultar? Speravi, iniquo,
che invece del mio figlio il tuo dovessi
stringermi al sen? No, perfido, io non sono
tanto in odio agli dei. Ciro ho perduto;
ma so perché; so chi l'uccise; e voglio
                                      In quale inganno?
In qual misero error?...
                                            Taci; m'ascolta;
e comincia a tremar. Sappi che in questo
sta spirando il tuo figlio.
                                              Ah come?
                                                                   Ed io,
sentimi, traditore, io fui che l'empio
                                     Tu stessa!
                                                          Aita
vedi se può sperar; solingo è il loco,
chi l'attende è Cambise.
                                              Ah che facesti,
sconsigliata Mandane! Ah corri, ah dimmi
qual luogo almeno...
                                      Oh questo no; potresti
forse giugnere in tempo. Il loco ancora
saprai ma non sì presto.
                                              Ah principessa,
pietà di te! Quel che tu credi Alceo
è il tuo Ciro, è il tuo figlio.
                                                 Eh questa volta
non sperar ch'io ti creda.
                                               Il suol m'inghiotta,
se mentii, se mentisco.
                                            Empia favella,
familiare a' malvagi.
                                        Odimi; io voglio
qui fra' lacci restar; tu corri intanto
la tragedia a impedir. Se poi t'inganno,
squarciami allora il sen.
                                             Scaltra è l'offerta
ma non ti giova. In quest'angustia il colpo
ti basta differir. Sai ch'io non posso
d'alcun fidarmi; e ti prometti intanto
                                 Che far degg'io,
santi numi del ciel? Povero prence!
Infelici mie cure! Io mi protesto
di bel nuovo, o Mandane; il finto Alceo
è Ciro, è il figlio tuo. Salvalo, corri,
credimi per pietà. Se non mi credi,
l'orror, l'odio del mondo e di te stessa.
non m'inganni però.
                                       Ma questo, oh dio!
merta sì poca fé? Vaglion sì poco
le lagrime ch'io spargo?
                                             In quelle appunto
conosco il padre. In tale stato anch'io,
barbaro, son per te. Provalo; impara
che sia perdere un figlio.
                                               (Oh nostra folle
misera umanità! Come trionfa
delle miserie sue!) Parla, Mandane,
Ciro dov'è? Vorrai parlar ma quando
                     Va', traditor; ch'io dica
di più non aspettar.
                                      Sogno! Son desto!
Dove corro? Che fo? Che giorno è questo?
l'arte di simular! Prestansi il nome
oggi fra lor gli affetti; onde i sinceri
chi nasconder non sa gli applica almeno
a straniera cagion. Pietà d'amico,
zelo di servo il suo paterno affanno
volea costui che mi paresse e quasi
mi pose in dubbio. Ah la sventura mia
dubbia non è. Qual più sicura prova
che d'Arpago il silenzio? Un tale amico
che il suo perdé per il mio figlio, a cui
noto è il mio duol, della cui fé non posso
dubitar senza colpa, a che m'avrebbe
taciuto il ver? No, Mitridate infido,
con le menzogne tue della vendetta
non mi turbi il piacer. Così tornasse
                               Né qui lo veggo; ah dove, (Frettoloso)
dove mai si nasconde?
                                           Arpago amato,
                       Alceo. Se nol ritrovo, io perdo
d'ogni mia cura il frutto.
                                              Altro non brami?
Non agitarti; io so dov'è.
                                              Respiro,
lode agli dei. Deh me l'addita; è tempo
che al popolo si mostri. Altro non manca
                               O generoso amico,
veggo il tuo zel. Con pubblica vendetta
t'affanni a soddisfarmi. Io ti son grata
ma giungi tardi. A vendicarmi io stessa
                      Contro chi?
                                              Contro l'infame
uccisor del mio Ciro.
                                        Intendi Alceo?
di non tentar nulla a suo danno. Alceo
                          Che!
                                      Tel celai, temendo
che i materni trasporti il gran segreto
                                Come! Ed è vero...
se ingannarti poss'io. Ciro è in Alceo;
l'educò Mitridate; io gliel recai;
l'ucciso è un impostor. Serena il volto,
Santi numi del ciel, soccorso, aita. (Vuol partire)
                               Ah corriam... Son morta; io sento
stringermi il cor. (S’appoggia ad un tronco, poi siede)
                                  Tu scolorisci in volto!
Sudi! Tremi! Vacilli!
                                        Arpago... Ah vanne,
vola di Trivia al fonte; il figlio mio
salva, difendi; ei forse spira adesso.
               Ah va', che l'uccide il padre istesso.
Possenti numi! (Parte in fretta)
                               Oh me infelice! Oh troppo
verace Mitridate! Avessi, oh dio!
creduto a' detti tuoi. Potessi almeno
lusingarmi un momento. E come? Ah troppo
troppo tempo è già scorso; e troppo nero
è il tenor del mio fato. Ebbi il mio figlio,
stupida! innanzi agli occhi; udii da lui
chiamarmi madre; i violenti intesi
moti del sangue; e nol conobbi e volli
ostinarmi a mio danno! Ancor lo sento
parlar, lo veggo ancor. Povero figlio!
Non voleva lasciarmi. Il suo destino
parea che prevedesse. Ed io tiranna...
Ed io... Che orror! Che crudeltà! Non posso (S’alza)
tollerar più me stessa. Il mondo, il cielo
sento che mi detesta; odo il consorte
il parricidio suo; veggo di Ciro
che stillante di sangue... Ah dove fuggo?
Dove m'ascondo? Un precipizio, un ferro,
un fulmine dov'è? Mora, perisca
questa barbara madre e non si trovi
chi le ceneri sue... Ma... Come?... È dunque
perduta ogni speranza? E non potrebbe
giungere Arpago in tempo? Ah sì, clementi
numi del ciel, pietosi numi, al figlio
perdonate i miei falli. È questo nome
forse la colpa sua, colpa ch'ei trasse
dalle viscere mie. No, voi non siete
tanto crudeli. Io la giustizia vostra
dubitandone offendo. È vivo il figlio;
corrasi ad abbracciarlo... Ah folle! Io vado
languido di speranza ultimo raggio.
non è Cambise? Aimè! Son morta. È fatto
l'orrido colpo. Ha nella destra ancora
nudo l'acciar... Chi mi soccorre? Ah stilla
ancor del vivo sangue... Ah fuggi... Ah parti...
Vedi del mio furor...
                                       Fuggi; quel sangue
Questo sangue che vedi...
                                                Oh sangue... Oh... figlio... (Sviene)
Sposa? Mandane? Oh me perduto! Ascolta,
principessa, idol mio. Non ode. Ha chiuse
le languide pupille e alterna appena
qualche lento respiro. Almen sapessi
quell'alma richiamar.
                                         Dove la madre, (Senza veder gli altri)
dove mai troverò? Di Trivia al fonte
finor l'attesi e mai non venne. (Cercando)
                                                         All'onda
corriam del vicin rio. Ma sola intanto
qui lasciarla così? Se alcun vedessi...
Ah sì. Pastor... senti. (Vede Ciro)
                                        Quai grida? (Rivolgendosi)
                                                                (Oh numi!
                                   (Stelle! Non veggo
la mia madre colà?)
                                      Chi sei?
                                                        Che avvenne?
Non t'inoltrar, dimmi il tuo nome.
                                                                Eh lascia...
Di', non ti chiami Alceo?
                                               (Questo importuno
Sì, Alceo mi chiamo.
                                       Ah traditor! Sei morto. (In atto di ferire)
Come! Non appressarti; o ch'io t'immergo
questo dardo nel cor. (In atto di difesa)
                                         Dal furor mio
né tutto il ciel potrà salvarti.
                                                     Oh dio! (Cominciando a risentirsi)
Ah sposa, apri le luci, aprile e vedi
la bramata vendetta.
                                        Odimi, oh dei!
                                   Sì, scellerato,
son io; sappilo e mori. (In atto di ferire)
                                           Ah padre amato, (Getta il dardo)
ferma; già sono inerme; il colpo affrena;
riconoscimi prima e poi mi svena.
Perché ritorno in vita?
                                           (Il so, m'inganna
e pur m'intenerisce!)
                                         Eterni dei!
Non è quegli il mio Ciro? Ove son mai?
Fra l'ombre o fra' viventi?
                                                 (Io dunque, oh folle!
No; cadi... (In atto di ferire)
                      Ah sposo! Ah che il tuo figlio uccidi! (S’alza)
Uccido il figlio! (Resta immobile)
                               Oh caro figlio! Oh cara (Abbracciandolo)
parte dell'alma mia!
                                       Stelle! O deliro
o delira Mandane. E questi è Ciro?
dal paterno furor? Qual sangue mai
il tuo ferro macchiò? Di Trivia al fonte
                                   No; non vi giunsi,
che partendo da te per via m'avvenni
ne' reali custodi; essi di nuovo
mi volean prigionier; di loro alcuni
io trafissi e fuggii. Perciò con questo
ferro tinto di sangue...
                                          Intendo il resto.
Ma Ciro non morì? (A Mandane)
                                      No.
                                                (Ciel! Che ascolto!)
N'ebber cura gli dei.
                                       Spiegati, o sposa.
Ciro che cadde estinto...
                                             Il re s'appressa.
Ecco un nuovo periglio.
                                            Ecco le nostre
Seguite pur, seguite; io non disturbo
le gioie altrui; ma che ne venga a parte
parmi ragion. Via, chi di voi mi dice
l'ordin qual sia? Chi liberò costui?
Chi Ciro conservò? Dove s'asconde?
                  Nessun risponde? Anche la figlia
m'invidia un tal contento! Olà, s'annodi
a parlar cominciasti.
                                       Ecco il tiranno.
Per trarlo al tempio il cerco appunto.
                                                                    Or dimmi, (A Mandane)
qual è Ciro e dov'è? Nulla tacermi
o sotto agli occhi tuoi segno a più strali
                                 (Ei sa che Ciro è in vita
dunque ma non ch'è Alceo).
                                                    Barbare stelle!
                               (E tacito in disparte
sto del padre al periglio?)
                                                (Arpago all'arte).
Né parli ancor? Dunque il tuo sposo estinto
brami veder? T'appagherò. Custodi...
                  Senti...
                                  Io già parlo.
                                                          Il falso Ciro...
Astiage, ah sei tradito; ah corri; opprimi
che si destò. La tua presenza è il solo
                                   Aimè! Che avvenne?
Confusamente il so. S'affretta a gara
verso il tempio ciascun. Colà si dice
che Ciro sia. Tutti a vederlo, tutti
vanno giurargli fede; e il volgo insano
«Ciro è il re, Ciro viva, Astiage mora».
Ah traditori, ecco il segreto; entrambi
con questo acciar... (In atto di snudar la spada)
                                     Mio re, che fai? Se Ciro
è ver che viva, in tuo poter conserva
la madre e il genitor; con questi pegni
                                  Sì. Custodite (Dopo aver pensato)
dunque la coppia rea, sol perché sia
la mia difesa o la vendetta mia.
Partì; l'empio è nel laccio. Ei corre al tempio
e là trarlo io volea. Guerrieri, amici,
finger più non bisogna; andiam. Qui resti
Ciro intanto e Mandane. E tu, Cambise,
sollecito mi siegui. (Vuol partire)
                                     Odi; e in Alceo
com'esser può che Ciro...
                                               Oh dio! Ti basti (Con impazienza)
saper ch'è il figlio tuo. Tutto il successo
ti spiegherò; ma non è tempo adesso. (Parte)
Addio. (A Mandane e a Ciro)
                Padre!
                               Consorte!
                                                   E ci abbandoni
                                    Nulla vi dico,
perché troppo direi; né questo è il loco.
So ben tacer ma non saprei dir poco.
qualche nuova sventura. Il mio consorte
voglio seguir. Te d'Arpago l'avviso
ritrovi in questo loco.
                                         Or che paventi?
Figlio mio, non so dir; tremo per uso
avvezzata a tremar. Sempre vicino
qualche insulto mi par del mio destino.
questo torbido giorno e sia più chiaro
l'altro almen che verrà.
                                            Mio caro Alceo,
tu salvo! Oh me felice! Ah vieni a parte
de' pubblici contenti. Il nostro Ciro
vive, si ritrovò; quel che uccidesti
era un vile impostor.
                                        Sì! Donde il sai?
Certo il fatto esser dee; queste campagne
non risuonan che Ciro. Oh se vedessi
d'insolito piacer prorompe ogn'alma!
chi sparge fior, chi se n'adorna, i numi
chi ringrazia piangendo. Altri il compagno
corre a sveller dall'opra; altri l'amico
va dal sonno a destar. Riman l'aratro
qui nel solco imperfetto; ivi l'armento
resta senza pastor. Le madri ascolti
di gioia insane a' pargoletti ignari
narrar di Ciro i casi. I tardi vecchi
sé stessi invigorir. Sino i fanciulli,
non san perché ma sul comune esempio
van festivi esclamando: «Al tempio, al tempio».
                                   Ancor nol vidi.
pria d'ognun, tel prometto.
                                                   E Ciro...
                                                                     Ah ingrata,
tu non pensi che a Ciro. Il tuo pastore
già del tutto obbliasti. E pur sperai...
Non tormentarmi, Alceo. Se tu sapessi
come sta questo cor...
                                         Siegui.
                                                         Né vuoi
                                   Ah tu non m'ami.
                                                                     Almeno
veggo che non dovrei. Ma...
                                                   Che?
                                                               Ma parmi
debil ritegno il naturale orgoglio.
Parlar di te non voglio; e fra le labbra
ho sempre il nome tuo. Vo' dal pensiero
cancellar quel sembiante; e in ogni oggetto
col pensier lo dipingo. Agghiaccio in seno,
se in periglio ti miro. Avvampo in volto,
se nominar ti sento. Ove non sei,
tutto m'annoia e mi rincresce e tutto
quel che un tempo bramava or più non bramo.
Dimmi; tu che ne credi. Amo o non amo?
Sì, mio ben, sì, mia speme...
                                                     Al tempio, al tempio,
mio principe, mio re; questi guerrieri
Arpago invia per tua custodia. Ah vieni
a consolar l'impazienze altrui.
(Con chi parla costui?)
                                           Dunque è palese
di già la sorte mia?
                                     Nessuno ignora,
signor, che tu sei Ciro. Arpago il disse;
a' popoli ne diè; sparger le fece
per cento bocche, in mille luoghi; e tutti
voglion giurarti fé.
                                    Scherza? O da senno
                                Ciro son io.
Non bramasti vederlo? Eccolo.
                                                         Oh dio!
                          Né tanto umil né tanto
sublime io ti volea; ch'arda al mio foco,
se troppo è per Alceo, per Ciro è poco.
Mal mi conosci. Arpalice finora
me amò, non la mia sorte; ed io non amo
la sua sorte ma lei. La vita e il trono
Arpago diemmi; e se ad offrirti entrambi
quel che il padre mi diè rendo alla figlia.
Oh che dolce esser grato, ove s'accordi
la ragione, il desio, la mente e il core!
                     Ah Ciro, t'affretta.
                                                        Andiam. Mia vita,
                                  Deh non ti cambi il regno.
Ecco la destra mia; prendila in pegno.
Io son fuor di me stessa. A un vil pastore
cieca d'amor mi scopro amante; e sposa
mi ritrovo d'un re! Gl'istessi affetti
insuperbir mi fanno, onde poc'anzi
arrossirmi dovea! Certo quest'alma
era presaga e travedea nel volto
del finto Alceo... Che traveder? Che giova
cercar pretesti all'imprudenza? Ad altri
favelliamo così; ma più sinceri
ragioniamo fra noi. Diciam più tosto
chi prudenza ed amore unir pretende.
Ah crudeli! Ah spergiuri! Ov'è la fede
dovuta al vostro re? Nessun m'ascolta?
M'abbandona ciascun? No, non saranno
tutti altrove sì rei. (Vuol partire)
                                    Ferma, tiranno. (Arrestandolo)
Ah traditor! (In atto di difesa)
                         Voi custodite il passo; (Al suo seguito)
Arpago, ah vieni, il tuo signor difendi.
Circondatelo, amici. Alfin pur sei,
empio, ne' lacci miei. (Dall’altro lato con seguaci)
                                          Tu ancora!
                                                                Io solo,
barbaro, io sol t'uccido; a questo passo,
sappilo, io ti riduco.
                                      E tanta fede?
                          A chi svenasti un figlio
non dovevi fidarti. I torti obblia
l'offensor, non l'offeso.
                                           Ah indegno!
                                                                    È questa
                        La mia vendetta è questa.
Cadi. (In atto di ferire)
              Mori, crudel. (Come sopra)
                                        Ferma. (Trattenendo Arpago)
                                                        T'arresta. (Trattenendo Cambise)
                               (Che sarà?)
                                                       Rifletti, o sposo...
                               È un barbaro. (A Mandane)
                                                           È mio padre.
È un tiranno. (A Ciro)
                            È il tuo re.
                                                  Punirlo io voglio.
                        Non sperarlo.
                                                   Ove son io!
Popoli, ardir; l'esempio mio seguite;
s'opprima l'oppressor.
                                           Popoli, udite.
qual furor vi trasporta? Ove s'intese
giudice del suo re? Giudizio indegno
il giudice è peggiore. Odiate in lui
un parricidio e l'imitate. Ei forse
tentollo sol; voi l'eseguite. Un dritto,
forse Astiage abusò; voi quel che han solo
pretendete usurpar. M'offrite un trono
la maestà. Questo è l'amor? Son questi
gli auspizi del mio regno? Ah ritornate,
ritornate innocenti. A terra, a terra
l'armi sediziose. Io vi prometto
placato il vostro re. Foste sedotti,
lo so; vi spiace; a mille segni espressi
già intendo il vostro cor; già in ogni destra
veggo l'aste tremar; leggo il sincero
pentimento del fallo in ogni fronte.
Perdonalo, signor. Per bocca mia (Ad Astiage)
piangendo ognun tel chiede. Ognun ti giura
eterna fé. Se a cancellar l'orrore
v'è bisogno di sangue, eccoti il mio. (Inginocchiandosi)
Oh virtù che disarma il mio furore! (Arpago getta la spada e tutti i congiurati l’armi)
sorgi, vieni al mio sen. Così punisci
generoso i tuoi torti e l'odio mio?
tentai fraudar la terra! Ah vegga il mondo
il mio rimorso almeno. Eccovi in Ciro,
cedo il serto real. Rendigli, o figlio,
lo splendor ch'io gli tolsi. I miei deliri
non imitar. Quel che fec'io t'insegna
quel che far non dovrai. De' numi amici
e il mio rossor nelle tue glorie ascondi.
Della mente immortal provvida cura
è il natal degli eroi. Prendono il nome
i secoli da questi; ognun di loro
un tratto ne rischiara e veggon poi
gli altri eventi confusi e i casi ignoti.
segna l'occhio sagace e poi fidato
gli ampi spazi del ciel scorre e misura.
natali illustri; ha più ragion la nostra
d'insuperbir, se i pregi suoi ravvisa;
l'astro che lei rischiara è quel d'Elisa.

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