quel superbo a punir. Vedesti, o padre,
come ascoltò le tue richieste? E quanti
insulti mai dobbiam soffrir?
gli ardori intempestivi. Ancor supponi
d'essere in Grecia? E di vedermi intorno
che s'affolla a ciascun quando è felice?
Tutto, o Neocle, cambiò. Debbono i saggi
adattarsi alla sorte. È del nemico
questa la reggia; io non son più d'Atene
la speranza e l'amor; mendico, ignoto
ogni cosa perdei; sola m'avanza,
e il miglior mi restò, la mia costanza.
Ormai, scusa, o signor, quasi m'irrita
questa costanza tua. Ti vedi escluso
che il tuo sangue serbò; trovi per tutto
l'odio persecutor che ti circonda,
che t'insidia ogni asilo e vuol ridurti
che non abbi terren che ti sostenga.
E tranquillo ti miro! Ah come puoi
sei nuovo pellegrin; perciò ti sembra
mostruoso ogni evento. Il tuo stupore
non condanno però; la meraviglia
è madre del saper. L'odio che ammiri
la mercé più frequente. Odia l'ingrato,
e assai ve n'ha, del beneficio il peso
nel suo benefattor; ma l'altro in lui
ama all'incontro i benefici sui.
quindi m'odia la patria e quindi io l'amo.
fosser gli uomini teco, il soffrirei;
ma con te sono ingiusti ancor gli dei.
Di tua virtù premio si chiama
sai tu ben qual è premio e quale è pena?
la virtù ne' travagli e si corrompe
nelle felicità. Limpida è l'onda
rotta fra' sassi; e se ristagna, è impura.
splendeva in guerra, è rugginoso in pace.
più che i trionfi miei le mie sventure.
Sia tutto ver; ma qual ragion ti guida
a cercar nuovi rischi in questo loco?
L'odio de' Greci è poco? Espor de' Persi
anche all'ire ti vuoi? Non ti sovviene
uscì per te di tutta l'Asia a fronte,
Serse derise e il temerario ponte?
l'odio nel cor d'un re. Se alcun ti scopre,
a chi ricorri? Hai gran nemici altrove
ma qui son tutti; a ciascheduno ha tolto
nella celebre strage il tuo consiglio
o l'amico o il congiunto o il padre o il figlio.
veggo alcuno appressar. Lasciami solo;
della tua tolleranza e il nostro stato
(Uom d'alto affare al portamento, al volto
quegli mi par; sarà men rozzo. A lui
chieder potrò... Ma una donzella è seco
Non posso, (In atto di partire)
Temistocle conduce estinto o vivo
grandi premi otterrà. (In atto di partire)
tanto saper; può del gran Serse al piede
ciascuno andar? Quando è permesso e dove?
(Come il padre avvertir?) (Da sé)
Chiedilo altrove. (A Temistocle con disprezzo)
m'avverti dell'error. Stranier son io
Aspasia, addio. (Ad Aspasia doppo aver guardato Temistocle come sopra)
(A queste sponde, o numi,
deh non guidate il genitor).
qualche lume miglior). Gentil donzella,
se il ciel... (Stelle! Che volto!)
È il genitore o al genitor somiglia!)
Ah figlia! (S’abbracciano)
caro mio genitor. Qual ti condusse
maligna stella a questa reggia? Ah Serse
vuol la tua morte; a chi ti guida a lui
premi ha proposti... Ah non tardar, potrebbe
eccessivo timor. Di', quando in Argo
io ti mandai per non lasciarti esposta
a' tumulti guerrieri, il tuo naviglio
campò dal mare. Io sventurata, io sola
con la mia libertà comprai la vita.
Un legno nemico all'onde... (Oh dio!
Lo spavento m'agghiaccia). All'onde insane
prigioniera mi trasse a questa riva.
mi diè non conosciuta. Oh quante volte
ti richiamai! Con quanti voti il cielo
stancai per rivederti! Ah non temei
sì funesti adempiti i voti miei.
Rasserenati, o figlia; assai vicini
la gioia e il lutto; onde il passaggio è spesso
opra sol d'un istante. Oggi potrebbe
prender la nostra sorte un ordin nuovo;
già son meno infelice or che ti trovo.
Ma qual mi trovi? In servitù. Qual vieni?
Solo, proscritto e fuggitivo. Ah dove,
misero genitor, dov'è l'usato
splendor che ti seguia? Le pompe, i servi,
le ricchezze, gli amici... Oh ingiusti numi!
E il terren ti sostiene? E oziosi ancora
regola, Aspasia, il tuo dolor. Mia figlia
della patria bramar. Né un solo istante
tollero in te sì scellerata idea.
Quando tu la difendi, ella è più rea.
è Temistocle ignoto? Il luminoso
carattere dell'alma in fronte impresso
basta solo a tradirti. Oggi più fiero
sarebbe il rischio. Un orator d'Atene
in Susa è giunto; a' suoi seguaci, a lui
il re l'ascolterà. Puoi quindi ancora
il popolo veder che già s'affretta
a render pago il desiderio antico
ch'ho di mirar dappresso il mio nemico.
Ferma; misera me! Che tenti! Ah vuoi
ch'io muoia di timor. Cambia, se m'ami,
cambia pensier. Per questa mano invitta
torno a baciar, per quella patria istessa
ch'ami nemica e che difendi ingrata.
Vieni al mio sen, diletta Aspasia; in questi
palpiti tuoi d'un'amorosa figlia
conosco il cor. Non t'avvilir; la cura
di me lascia a me stesso. Addio; l'aspetto
dal padre intanto a disprezzare impara.
di te lagnarmi. I tuoi felici eventi
perché celar? Se non amica, almeno
Non parli! È dunque ver? Sì gran nemica
tutta l'anima mia, di te mi fido
e m'insulti e ti sdegni. Il cor di Serse
possiedi pur, non tel contrasto; io tanto
né van le mie speranze insino al trono.
Non simular. Mille argomenti ormai
ho di temer. Da che ti vede, io trovo
Serse ogni dì più indifferente; osservo
come attento ti mira; odo che parla
troppo spesso di te, che si confonde
s'io d'amor gli ragiono; e mendicando
della sua tiepidezza il regno accusa.
v'è fra Serse ed Aspasia.
questo è il pregio ch'io temo. Han picciol vanto
le gemme là dove n'abbonda il mare;
son tesori fra noi, perché son rare.
Rossane, per pietà, non esser tanto
ingegnosa a tuo danno. A te fai torto,
a Serse e a me. Se fra le cure acerbe
del mio stato presente avesser parte
quelle d'amor, non ne sarebbe mai
il tuo Serse l'oggetto. Altro sembiante
porto nel core impresso; e Aspasia ha un core
che ignora ancor come si cambi amore.
se vuoi mirarlo, or l'orator d'Atene
Questi è il mio ben). Ma perché venne?
nemico al padre mio! Dunque fa guerra
contro un misero sol tutta la terra!)
Precedimi, Sebaste. Aspasia, addio. (Parte Sebaste)
questa dal cor gelosa cura. E come
in un'alma gentil sì basso affetto?
E sarà ver? Del genitore a danno
vien Lisimaco istesso! Ah l'incostante
già m'obliò; mi crede estinta e crede
che agli estinti è follia serbar più fede.
questo sol mi mancava, astri tiranni.
Padre, dove t'inoltri? Io non intendo
il tuo pensier. Temo ogni sguardo e parmi
che ognun te sol rimiri. Ecco i custodi
Più non cercar, taci una volta.
(Io tremo). (Si ritirano da un lato)
il greco ambasciador. Sebaste, e ancora
all'ire mie Temistocle si cela?
il mio favor, le mie promesse?
lungamente non fia; son troppi i lacci
finché costui respiri. Egli ha veduto
Serse fuggir. Fra tante navi e tante
onde oppressi l'Egeo, sa che la vita
ei mi ridusse a confidar, che poca
fu la mia sete a mendicar costretta
e dolce la stimò bevanda eletta.
si può vantar? No, non fia vero; avrei
questa sempre nel cor smania inquieta. (Va sul trono)
Monarca eccelso, in te nemico ancora
la real maestà; ma dal tuo core,
grande al par dell'impero, un dono attende
Pur che pace non sia, siedi ed esponi. (Lisimaco siede)
(È Lisimaco?) (A Temistocle)
il pubblico riposo è de' regnanti
interesse comun. Debbon fra loro
giovarsi in questo anche i nemici. A tutti
che la speme d'asilo a' falli alletta.
amico sventurato) è il delinquente
che cerca Atene. In questa reggia il crede;
pretenderlo potrebbe; in dono il chiede.
messaggier, non vogl'io qual sia la vera
cagion per cui qui rivolgesti il piede,
né quanto è da fidar di vostra fede.
dell'accorto tuo dir punto non copre
l'ardir di tal richiesta. A me che importa
il riposo d'Atene? Esser degg'io
de' vostri cenni esecutor? Chi mai
obbligo fra' nemici? A dar venite
leggi o consigli? Io non mi fido a questi,
quelle non soffro. Eh vi sollevi meno
l'aura d'una vittoria; è molto ancora
è ancor la via d'Atene a Serse aperta.
quando si trovi in mio poter.
l'odio, o signor, del greco nome; e pure
la mia mente spiegai; partir già puoi.
credon, Sebaste, i Greci? Ah cerca e spia
se fosse vero. Il tuo signor consola.
(E il genitor non fugge!)
(Ecco il punto, all'impresa). (Si fa strada fra le guardie)
Potentissimo re. (Innanzi al trono)
Che ardir! Quel folle (Alle guardie)
Non oltraggiano i numi i voti umani.
parla, stranier, che vuoi?
cerco un asilo e non lo spero altrove;
difendermi non può che Serse o Giove.
qui è colpa, il so; ma questa colpa è vinta
da un gran merito in me. Serse, tu vai
Temistocle cercando; io tel recai.
premio non v'è che ricompensi. Ah dove
quest'oggetto dov'è dell'odio mio?
(Dove m'ascondo). (Parte)
Ascolta e risolvi. Eccoti innanzi
un esempio, o signor. Quello son io,
che scosse già questo tuo soglio; ed ora
a te ricorre, il tuo soccorso implora.
non t'ignora sdegnato e pur la speme
d'averti difensore a te lo guida;
tanto, o signor, di tua virtù si fida.
Sono in tua man; puoi conservarmi e puoi
vendicarti di me. Se il cor t'accende
fiamma di bella gloria, io t'apro un campo
degno di tua virtù; vinci te stesso;
stendi la destra al tuo nemico oppresso.
l'odio sospendi un breve istante; e pensa
d'un nemico impotente, util l'acquisto
d'un amico fedel, che re tu sei,
ch'esule io son, che fido in te, che vengo
vittima volontaria a questi lidi.
Pensaci e poi del mio destin decidi.
di virtù, di coraggio! A Serse in faccia
venir! Fidarsi... Ah questo è troppo!) Ah dimmi
Temistocle, che vuoi? Con l'odio mio
cimentar la mia gloria? Ah questa volta
non vincerai. Vieni al mio sen; m'avrai (Scende)
qual mi sperasti. In tuo soccorso aperti
saranno i miei tesori; in tua difesa
s'armeranno i miei regni; e quindi appresso
fia Temistocle e Serse un nome istesso.
un eccesso parea la mia speranza
e pur di tanto il tuo gran cor l'avanza.
Che posso offrirti? I miei sudori? Il sangue?
La vita mia? Del beneficio illustre
la mia vita, il mio sangue, i miei sudori.
la mia sola mercé. Le nostre gare
non finiscan però. De' torti antichi
guerra con te più generosa io voglio.
cangi d'aspetto! A vaneggiar vorresti
trarmi con te. No; ti provai più volte
ed avversa e felice. Io non mi fido
del tuo favor; dell'ire tue mi rido.
misera! il genitor? Nol veggo e pure
qui si scoperse al re. Neocle mel disse,
non poteva ingannarsi. Ah principessa,
pietà, soccorso. Il padre mio difendi
(Aimè! La mia rival si fa più forte).
Grazia per lui! Tu dunque
il padre si scoperse; il mio germano,
che impedir nol poté, fuggì, mi vide;
Serse ti chiama a sé. Che sei sua figlia
Temistocle or gli disse; e mai più lieta
novella il re non ascoltò.
Ed or l'abbraccia, il chiama
la sua felicità, l'addita a tutti,
non so per troppa gioia ove son io.
Che mai vuol dir, Sebaste,
questa di Serse impaziente cura
che Serse l'ami. Allor che d'essa intese
la vera sorte, un'improvvisa in volto
gioia gli scintillò che del suo core
Lo voglia il ciel. Ma giova
beltà facil sarebbe. È un gran diletto
d'un infido amator punir l'inganno.
Consola, è ver, ma non compensa il danno.
M'arride il ciel; Serse è d'Aspasia amante;
irritata è Rossane. In lui l'amore,
gli sdegni in lei fomenterò. Se questa
un gran colpo avventuro. a' molti amici
ch'io posso offrirle uniti i suoi, mi rendo
terribile anche a Serse. Al trono istesso
potrei forse... Chi sa. Comprendo anch'io
ma fortuna ed ardir van spesso insieme.
Eccoti in altra sorte; ecco cambiato,
Temistocle, il tuo stato. Or or di tutto
bisognoso e mendico invan cercavi
un tugurio per te. Questo or possiedi
in tal copia i tesori; arbitro sei
e d'un regno e d'un re. Chi sa qual altro
aspetto io cambierò. Veggo purtroppo
e la favola mia non è compita.
amato genitor, fauste le stelle
all'innocenza, alla virtù; siam pure
fuor de' perigli. A tal novella, oh come
tutti d'Atene i cittadini ingrati!
comincia il corso. Io lo prevengo e parmi
teco adunar, teco goderne e teco
i regi debellar, dar legge a' regni.
fiducia, o Neocle. Or nell'ardire eccedi,
pria nel timor. Quand'eran l'aure avverse,
tremavi accanto al porto; or che seconde
apri di già tutte le vele al vento.
Il contrario io vorrei. Questa baldanza,
è vizio adesso, era virtude allora.
fu vizio allor, saria virtude adesso.
Ma in che dobbiam fidarci? In quei tesori?
può involargli un istante. In questi amici
che acquistar già mi vedi? Eh non son miei;
vengon con la fortuna e van con lei.
basta il favore a sostenerci.
l'ira di Serse a ruinarne.
tutto veder non può. Talor s'inganna,
e di malvagi ogni terreno abbonda.
Superior d'ogni calunnia ormai
il suo merto ostentar ciascun procura,
la virtù che più splende è men sicura.
magia s'asconde! Io mi credea felice;
mille rischi or pavento. In un istante
par che tutto per me cangi sembiante.
debitor ti son io. Mercé promisi
a chi fra noi Temistocle traesse;
No; di sì grande acquisto,
parmi scarsa mercé qualunque dono.
corregger l'ingiustizia e sollevarti
ad onta sua. Già Lampsaco e Miunte
e la città che il bel Meandro irriga
son tue da questo istante; e Serse poi
del giusto amore onde il tuo merto onora
prove darà più luminose ancora.
l'uso, o signor, del tuo trionfo; e tanto
Temistocle arrossir. Per te finora
Che facesti? E ti par poco
Fidarmi una tal vita? Aprirmi un campo
onde illustrar la mia memoria? E tutto
in Temistocle sol quanto perdei?
le stragi, onde son reo...
la gloria di poter nel mio nemico
onorar la virtù. L'onta di pria
fu della sorte e questa gloria è mia.
degni d'un'alma a sostener di Giove
le veci eletta! Oh fortunati regni
seguir l'impegno. Al mio poter fidasti
tu la tua vita; al tuo valore io fido
il mio poter. Delle falangi perse
sarai duce sovrano. In faccia a tutte
vieni a prenderne il segno. Andrai per ora
l'insolenza a punir; più grandi imprese
poi tenterem. Di soggiogare io spero
con Temistocle al fianco il mondo intero.
a novelli trofei. Diran poi l'opre
ciò che dirmi or vorresti.
custoditemi voi. Fate ch'io possa
memore ognor de' benefici sui
morir per Serse o trionfar per lui.
d'un diadema real, che mille affanni
porta con sé; ma quel poter de' buoni
il merto sollevar, dal folle impero
liberar la virtù, render felice
chi non l'è, ma n'è degno, è tal contento
ch'empie l'alma di sé, che quasi agguaglia,
il destin d'un monarca a quel d'un nume.
Parmi esser tal da quel momento in cui
Temistocle acquistai. Ma il grande acquisto
assicurar bisogna. Aspasia al trono
voglio innalzar. La sua virtù n'è degna,
il sangue suo, la sua beltà. Difenda
così nel soglio mio de' suoi nipoti
Temistocle il retaggio e sia maggiore
fra' legami del sangue il nostro amore.
prima i sensi saper. Già per mio cenno
andò Sebaste ad esplorargli; e ancora
tornar nol veggo. Eccolo forse... Oh stelle! (Partendo)
tue gravi cure avea Rossane ancora
lo comprendo ancor io. Veggo di quanto
Temistocle le accrebbe. È ben ragione
occupi tutto il cor di Serse. E poi
fra' meriti del padre e...
la sua speranza). Odi, Rossane; è tempo
ch'io ti spieghi una volta i miei pensieri.
chiede il greco orator che tu l'ascolti.
che Temistocle è in Susa e grandi offerte
della mia tolleranza. Udir nol voglio;
parta; ubbidisca. (Sebaste s’incamina)
Meglio pensai. Va', l'introduci. Io voglio
punirlo in altra guisa. (Parte Sebaste)
Tempo or non v'è. (Volendo partire)
e poi crudel non mi rispondi e parti!
trionfa Aspasia. Ecco l'altera. E quale
Serse in costei? (Considerando Aspasia)
(Io non ritrovo (Come sopra)
Che fai? Mi guardi e taci!
Che amari detti! Oh gelosia tiranna,
come tormenti un cor! Ti provo, oh dio!
bramerei rivederla e poi... M'inganno?
Non può ignorar ch'io viva;
troppo è pubblico il caso. Ah d'altra fiamma
arde al certo l'ingrato. Ed io non posso
ancor di lui scordarmi! Ah sì; disciolta
da questi lacci ormai... (Volendo partire)
Chi sua vita mi chiama... Oh stelle!
Lisimaco fedele. A rivederti
pur, bella Aspasia, il mio destin mi porta.
Aspasia! Io non son quella. Aspasia è morta.
so che mentì, so per quai mezzi il cielo
che per te più non vivo ancor saprai.
più di riguardo un sì fedele amico,
un sì tenero amante. Ingrato! E ardisci
venirmi innanzi e ragionar d'amore?
le angustie mie. Sacro dover m'astringe
la patria ad ubbidir; ma in ogni istante
contrasta in me col cittadin l'amante.
Scordati l'uno o l'altro.
l'altro non posso. E senza aver mai pace,
procuro ognor quel che ottener mi spiace.
Va'; lode al ciel nulla ottenesti.
Purtroppo, Aspasia, ottenni. Ah perdonate
donai questo sospiro, o dei d'Atene.
Io tremo. E che ottenesti?
rimandarlo promise e la promessa
Lisimaco, pietà. Tu sol, tu puoi
E per qual via? M'attende
già forse il re, dove adunati sono
il popolo e le schiere. A tutti in faccia
consegnarlo vorrà. Pensa qual resti
una prova d'amor. Non puoi scusarti.
Oh dio, fui cittadin prima d'amarti.
d'un innocente a procurar lo scempio?
Io non lo bramo; il mio dovere adempio.
dunque il nostro dovere. Anch'io lo faccio.
Egli m'ama; e ch'io soccorra un padre
Anch'io prima d'amarti ero già figlia.
questo d'infedeltà barbaro esempio.
Sieguo il tuo stile; il mio dovere adempio.
Mi costa poco? Ah sconoscente! Or sappi
per tuo rossor che se consegna il padre
Serse me vuol punir. Mandò poc'anzi
il trono ad offerirmi; e questa, a cui
nulla costa il lasciarti in abbandono,
per non lasciarti ha ricusato il trono.
senti, crudel. Mille ragioni, il sai,
ho d'abborrirti e pur non posso; e pure
di lasciarti per sempre, il cor mi sento
sveller dal sen. Dovrei celarlo, ingrato;
valor che basti a trattenere il pianto.
Deh non pianger così; tutto vogl'io,
tutto... (Ah che dico!) Addio, mia vita, addio.
Addio, non più; già il mio dover vacilla.
ormai l'unica speme è che mi resta.
Che pena, oh dio! Che dura legge è questa!
Sebaste, ed è pur vero! Aspasia, dunque,
ritrosa ogni beltà. Forse in segreto
arde Aspasia per te; ma il confessarlo
si reca ad onta; ed a spiegarsi un cenno
l'esule illustre e l'orator d'Atene.
Il segno a me del militare impero
fa' che si rechi. (Serse va in trono servito da Sebaste. Uno de’ satrapi porta sopra bacile d’oro il bastone del comando e lo sostiene vicino a lui; intanto nell’avvicinarsi, non udito da Serse, dice Lisimaco a Temistocle:)
amico, il ciel mi destinò! Con quanto
(Di che arrossisci! Io non confondo
l'amico e il cittadin. La patria è un nume
a cui sacrificar tutto è permesso;
anch'io nel caso tuo farei l'istesso).
Temistocle, t'appressa. In un raccolta
la più gran parte e la miglior; non manca
che un degno condottier; tu lo sarai.
Prendi; con questo scettro, arbitro e duce
di lor ti eleggo. In vece mia punisci,
premia, pugna, trionfa. È a te fidato
l'onor di Serse e della Persia il fato.
monarca eccelso, a cui mi veggo eletto,
il peso accetto e fedeltà ti giuro.
a militar per te venga fortuna;
minacciasser le stelle, unico oggetto
Temistocle ne sia. Vincan le squadre,
perisca il condottiero; a te ritorni
di lauri poi, non di cipressi cinto
fra l'armi vincitrici il duce estinto.
di rimandarlo in Grecia. Odi se adempio
le mie promesse. Invitto duce, io voglio
punito alfin quell'insolente orgoglio.
basta ogn'altro a compir; va', del mio sdegno
portatore alla Grecia. Ardi, ruina,
distruggi, abbatti e fa' che senta il peso
Tebe, Sparta, Corinto, Argo ed Atene.
E ad ascoltar m'inviti...
sì gran novella a' tuoi. Di' lor qual torna
l'esule in Grecia e quai compagni ei guida.
(Oh patria sventurata! Oh Aspasia infida!) (Parte co’ greci)
cenno, mio re. V'è tanto mondo ancora
nulla mi cal d'aver soggetto il mondo.
di già l'impresa; e chi s'oppon m'irrita.
io depongo l'impero al piè di Serse. (Depone il bastone a’ piè del trono)
il distruttor delle paterne mura?
No; tanto non potrà la mia sventura.
Non è più Atene, è questa reggia
la patria tua; quella t'insidia e questa
t'accoglie, ti difende e ti sostiene.
Mi difenda chi vuol, nacqui in Atene.
l'amor del patrio nido. Amano anch'esse
le spelonche natie le fiere istesse.
(Ah d'ira avvampo). Ah dunque Atene ancora
ti sta nel cor! Ma che tant'ami in lei?
Tutto, signor; le ceneri degli avi,
le sacre leggi, i tutelari numi,
l'aria, i tronchi, il terren, le mura, i sassi.
dunque ancor mio nemico. Invan tentai
tutti impressi nel cor. Serse m'additi
ecco il mio sangue, il verserò per lui.
se pretendi obbligar gli sdegni miei,
Serse, t'inganni, io morirò per lei.
Non più; pensa e risolvi; esser non lice
di Serse amico e difensor d'Atene.
(Che insulto, oh dei!) Questa mercede ottiene
(Più frenarmi non posso). Ah quell'ingrato
serbatelo al castigo. E pur vedremo
forse tremar questo coraggio invitto.
Non è timor dove non è delitto.
Serse, io lo credo appena...
chi crederlo potea? Nella mia reggia,
Temistocle m'insulta. Atene adora,
l'amor mio vilipende e i doni miei.
(Torno a sperar). Chi sa? Potrà la figlia
Eh che la figlia e il padre
son miei nemici. È naturale istinto
l'odio per Serse ad ogni greco. Io voglio
(Felice me). Della fedel Rossane
che se Aspasia a te viene...
se tanto ardì? Non ascoltarla).
salvami il genitor. Donalo, oh dio,
al tuo cor generoso, al pianto mio.
tu grazie ad implorar? Tu che d'ogn'altro
fu rossor quel rifiuto. Il mio rossore
un velo avrà se il genitor mi rendi.
un ingrato soffrir che i miei nemici
sol per poco i tuoi sdegni. Ad ubbidirti
forse indurlo potrò. Mel nieghi? Oh dei
nacqui pure infelice! Ancor da Serse
niun partì sconsolato. Io son la prima
che lo prova crudel! No; non lo credo,
possibile non è. Questo rigore
è in te stranier, ti costa forza; ostenti
fra la natia pietà l'ira severa;
ma l'ira è finta e la pietade è vera.
Ah sì, mio re, cedi al tuo cor; seconda
i suoi moti pietosi e la mia speme;
o me spirar vedrai col padre insieme.
Fa' che il padre ubbidisca e gli perdono.
un dover che m'astrinse...
involati, superba. Hai vinto, il vedo,
brami ancor più? Vuoi trionfarne? Ormai
troppo m'insulti; ho tollerato assai.
Pronta è la via; se a' miei fedeli aggiungi
gli amici tuoi, sei vendicata e siamo
dipendono da me. Le regge Oronte
per cenno mio, col mio consiglio. Osserva;
questo è un suo foglio. (Le porge un foglio ed ella il prende)
vanne, m'attendi, or sarò teco. È rischio
qui ragionar di tale impresa.
Va'; sarò grata. Io veggo
quanto ti deggio e ti conosco amante.
(Pur colsi alfine un fortunato istante). (Parte)
d'opprimer chi adorasti! Ah sì; l'infido
troppo mi disprezzò. De' torti miei
paghi le pene. A mille colpi esposto
voglio mirarlo a ciglio asciutto; e voglio
Oh dio! Vanto fierezza e il cor mi trema.
Oh patria, oh Atene, oh tenerezza, oh nome
per me fatal! Dolce finor mi parve
il mio sangue per te. Soffersi in pace
gli sdegni tuoi; peregrinai tranquillo
fra le miserie mie di lido in lido;
vedermi astretto a comparire ingrato,
le offese oblia, mi stringe al sen, mi onora,
mi fida il suo poter, perdona, Atene,
soffrir nol so. De' miei pensieri il nume
sempre sarai come finor lo fosti;
ma comincio a sentir quanto mi costi.
A te Serse m'invia; come scegliesti
senz'altro indugio ei vuol saper. Ti brama
pentito dell'error; lo spera e dice
che non può figurarsi a questo segno
Ah no, tal non son io. Lo sanno i numi
che mi veggono il cor. Così potesse
vederlo anche il mio re. Guidami, amico,
odio eterno alla Grecia; o a Serse innanzi
non sperar più di comparir.
prezzo ottener si può che mi rivegga
del re l'amor. Ma se ricusi, io tremo
pensando alla tua sorte. In questo, il sai,
(Ah dunque io deggio (Da sé)
farmi ribelle o tollerar l'infame
taccia d'ingrato! E non potrò scusarmi
in faccia al mondo o confessar morendo
gli obblighi miei!) (Pensa)
(Eh usciam da questo (Risoluto)
laberinto funesto; e degno il modo
di Temistocle sia). Va', si prepari
l'ara, il licor, la sacra tazza e quanto
è necessario al giuramento. Ho scelto;
Contento io volo a Serse.
Ah si trattenga; il bramo
presente a sì grand'atto. Al re ne porta,
Vi sarà. Tu di Serse arbitro or sei. (Parte)
del viver mio. Qual moribonda face
scintillando s'estingua. (Olà, custodi;
a me Neocle ed Aspasia). Alfin che mai
esser può questa morte? Un ben? S'affretti;
ch'è mal peggiore. È della vita indegno
chi a lei pospon la gloria. A ciò che nasce
quella è comun; dell'alme grandi è questa
proprio e privato ben. Tema il suo fato
che ignoto a sé morì nascendo e porta
tutto sé nella tomba; ardito spiri
rammentar come visse allor che muore.
pietà di noi, pietà di te?
e ascoltatemi entrambi. È noto a voi
a qual esatta ubbidienza impegni
celar quanto io dirò, finché l'impresa
risoluta da me non sia matura.
Pronto Neocle il promette.
Dunque sedete; e di coraggio estremo (Siede)
figli miei, ch'io vi parlo. Infin ad ora
vissi alla gloria; or se più resto in vita,
il frutto perderei. Morir conviene.
benefattor, patria la Grecia. A quello
a questa fedeltà. S'oppone all'uno
l'altro dovere; e se di loro un solo
o ribelle divengo o sono ingrato.
Entrambi questi orridi nomi io posso
fuggir morendo. Un violento ho meco
che a giurar tu verrai...
e mi giova l'error. Con questa speme
Serse m'ascolterà. La Persia io bramo
spettatrice al grand'atto; e di quei sensi
che per Serse ed Atene in petto ascondo
giudice io voglio e testimonio il mondo.
(Oh me dolente!) (Piangono)
qual debolezza è questa? A me celate
questo imbelle dolor. D'esservi padre
non mi fate arrossir. Pianger dovreste,
l'assistenza del ciel, l'esempio mio.
Udite; abbandonarvi io deggio
in terreno stranier, senza i sostegni
necessari alla vita e delle umane
non esperti abbastanza; onde, il preveggo,
molto avrete a soffrir. Siete miei figli,
rammentatelo e basta. In ogn'incontro
degni di questo nome. I primi oggetti
l'onor, la patria e quel dovere a cui
vi chiameran gli dei. Qualunque sorte
può farvi illustri e può far uso un'alma
fra le selve così come sul trono.
non cedete agl'insulti; ogni sventura
soffribile si vince. Alle bell'opre
non la mercé. Vi faccia orror la colpa,
non il castigo. E se giammai costretti
vi trovaste dal fato a un atto indegno,
v'è il camin d'evitarlo; io ve l'insegno. (S’alza)
Deh non lasciarne ancora.
dunque mai più non ti vedrò?
questi congedi estremi. È troppo, o figli,
troppo è tenero il passo. I nostri affetti
potrebbe indebolir. Son padre anch'io;
e sento alfin... Miei cari figli, addio. (Gli abbraccia)
di sì gran genitore. Andiam, germana, (Risoluto)
trionfar di sé stesso. Il nostro ardire
Oh dio! Non posso; il piè mi trema. (Siede)
Se manca a me, l'apprenderò da lui.
il germano sarà? Forse non scorre
l'istesso sangue in queste vene? Anch'io
da Temistocle nacqui. Ah sì, rendiamo (Si leva)
gli ultimi a lui pietosi uffici. In queste
braccia riposi allor che spira. Imprima
su la gelida destra i baci estremi
l'orfana figlia; e di sua man chiudendo
que' moribondi lumi... Ah qual funesta
fiera immagine è questa! Aimè qual gelo
mi ricerca ogni fibra? Andar vorrei
e vorrei rimaner. D'orrore agghiaccio,
avvampo di rossor. Sento in un punto
e lo sprone ed il fren. Mi struggo in pianto,
nulla risolvo e perdo il padre intanto.
Temistocle dov'è? D'un re che l'ama
non si nieghi agli amplessi.
so ch'hai sdegno con me; so che vendetta
io voglio, è ver; son troppo offesa. Ascolta
la vendetta qual sia. Serse, è in periglio
la tua vita, il tuo scettro. In questo foglio
leggi, previeni e ti conserva. Addio. (Gli dà il foglio e vuol partire)
lascia che almen del generoso dono...
Basta così; già vendicata io sono.
Oronte lo vergò. Leggasi. Oh stelle!
Che nera infedeltà! Sebaste è dunque
l'autore ignoto! Ed al mio fianco intanto
sì gran zelo fingendo... Eccolo. E come
osa il fellon venirmi innanzi!
della mia fé, de' miei sudori, o Serse,
un premio alfine ad implorar.
e puoi tutto sperar. Parla; che vuoi?
Temistocle a compir; l'altra d'Egitto
finor duce non ha. Di quelle schiere,
è ben degna di te. Ma tu d'Egitto
le foreste, le vie, quasi potrei
ch'altri ve n'abbia. Ha questo foglio i nomi;
vedi se a te son noti. (Gli dà un foglio)
E donde avesti... (Lo prende)
(Misero me!) (Lo riconosce)
disleal principessa... Ah folle! Ed io
Si lagna un traditor d'esser tradito!
Il meritai. Fuggi Sebaste... Ah dove
fuggirò da me stesso! Ah porto in seno
il carnefice mio. Dovunque io vada
la colpa mia mi starà sempre in faccia.
Neocle, perché sì mesto? Onde deriva,
bell'Aspasia, quel pianto? Allor che il padre
mi giura fé, gemono i figli! È forse
un disastro per voi? Parlate.
Lisimaco crudele. Io son l'istessa.
Perché opprimer tu ancora un'alma oppressa?
vano il negar; troppo già dissi.
E del tuo bene (A Lisimaco)
(Aver potessi anch'io (Guardando il padre)
(Ah imbelle cor, come mi tremi in petto!)
risolvesti esser mio. Torna agli amplessi
Ferma. (Ritirandosi con rispetto)
il grand'atto a cui vengo.
ricolma tazza. Il domandato adempi
giuramento solenne; e in lui cominci
esci d'inganno. Io di venir promisi,
Lisimaco, m'ascolta; udite, o voi
di Temistocle i sensi; e ognun ne sia
testimonio e custode. Il fato avverso
mi vuole ingrato o traditor. Non resta
del ciel libero dono. A conservarmi
senza delitto, altro camin non veggo
che il camin della tomba e quello eleggo.
Questo che meco (Prende dal petto il veleno)
trassi compagno al doloroso esiglio
pronto velen l'opra compisca. Il sacro
ne sian ministri. Ed all'offrir di questa
di fé, di gratitudine e d'onore
Della mia fede (A Lisimaco)
rassicura la patria; e grazia implora
alle ceneri mie. Tutte perdono
se avrò la tomba ove sortii la cuna.
Tu, eccelso re, de' benefici tuoi (A Serse)
non ti pentir. Ne ritrarrai mercede
dal mondo ammirator. Quella che intanto
renderti io posso, oh dura sorte! è solo
confessargli e morir. Numi clementi,
gli ultimi voti han qualche dritto in cielo,
proteggete il destin; prendete in cura
questo re, questo regno; al cor di Serse
sensi di pace. Ah sì, mio re, finisca
il tuo sdegno in un punto e il viver mio.
Figli, amico, signor, popoli, addio. (Prende la tazza)
Ferma; che fai? Non appressar le labbra
che spiegarle non so. (Gli leva la tazza)
tormi non puoi. L'unico arbitrio è questo
non concesso a' monarchi.
Ah vivi, o grande (Getta la tazza)
onor del secol nostro. Ama, il consento,
ama la patria tua. N'è degna. Io stesso
ad amarla incomincio. E chi potrebbe
d'un eroe qual tu sei terra felice?
può andar la mia speranza?
d'un'emula virtù. Su l'ara istessa
tu l'odio eterno, eterna pace io giuro
oggi alla Grecia. Ormai riposi; e debba,
a sì gran cittadino il suo riposo.
Oh magnanimo re! Qual nuova è questa
arte di trionfar! D'esser sì grandi
è permesso a' mortali! Oh Grecia! Oh Atene!
anime eccelse, a pubblicar lasciate
ch'io voli in Grecia. Io la prometto grata
signor, chiedo il castigo. Odio una vita
che a te... (Inginocchiandosi)
Sorgi, Sebaste; oggi non voglio
respirar che contenti. A te perdono;
lascio d'Aspasia; e la real mia fede
di Rossane all'amor dono in mercede.
e grato mi sarai. Se con l'esempio
di tua virtù la mia virtude accendi,
più di quel ch'io ti do sempre mi rendi.
Signor, non mi difendo; è ver son reo,
e d'error senza frutto. Udii che inteso
la dea di Cipro a immaginar, compose
da molte belle una beltà perfetta
greco pittor. M'assicurò, mi piacque,
mi sedusse l'esempio. Anch'io sperai,
virtù de' prischi eroi, di tua grand'alma
formar l'idea nelle mie carte. I fasti
scorsi, ma invan. Nel cominciar dell'opra
veggo l'error. Non so trovar fra tanti
e di Roma e d'Atene illustri figli
virtù finor che a tue virtù somigli.