La clemenza di Tito, Parigi, Hérissant, 1780

 ATTO PRIMO
 
 SCENA PRIMA
 
 Logge a vista del Tevere negli appartamenti di Vitellia.
 
 VITELLIA e SESTO
 
 VITELLIA
 Ma che! Sempre l'istesso,
 Sesto, a dir mi verrai? So che sedotto
 fu Lentulo da te, che i suoi seguaci
 son pronti già, che il Campidoglio acceso
5darà moto a un tumulto e sarà il segno
 onde possiate uniti
 Tito assalir, che i congiurati avranno
 vermiglio nastro al destro braccio appeso
 per conoscersi insieme. Io tutto questo
10già mille volte udii; la mia vendetta
 mai non veggo però. S'aspetta forse
 che Tito a Berenice in faccia mia
 offra, d'amore insano,
 l'usurpato mio soglio e la sua mano?
15Parla, di', che s'attende?
 SESTO
                                               Oh dio!
 VITELLIA
                                                                Sospiri?
 Intenderti vorrei. Pronto all'impresa
 sempre parti da me; sempre ritorni
 confuso, irresoluto. Onde in te nasce
 questa vicenda eterna
20d'ardire e di viltà?
 SESTO
                                     Vitellia, ascolta;
 ecco io t'apro il mio cor. Quando mi trovo
 presente a te, non so pensar, non posso
 voler che a voglia tua, rapir mi sento
 tutto nel tuo furor, fremo a' tuoi torti,
25Tito mi sembra reo di mille morti.
 Quando a lui son presente,
 Tito, non ti sdegnar, parmi innocente.
 VITELLIA
 Dunque...
 SESTO
                      Pria di sgridarmi,
 ch'io ti spieghi il mio stato almen concedi.
30Tu vendetta mi chiedi;
 Tito vuol fedeltà. Tu di tua mano
 con l'offerta mi sproni; ei mi raffrena
 co' benefizi suoi. Per te l'amore,
 per lui parla il dover. Se a te ritorno,
35sempre ti trovo in volto
 qualche nuova beltà; se torno a lui,
 sempre gli scopro in seno
 qualche nuova virtù. Vorrei servirti;
 tradirlo non vorrei. Viver non posso
40se ti perdo, mia vita; e se t'acquisto,
 vengo in odio a me stesso.
 Questo è lo stato mio; sgridami adesso.
 VITELLIA
 No, non meriti, ingrato,
 l'onor dell'ire mie.
 SESTO
                                     Pensaci, o cara,
45pensaci meglio. Ah non togliamo in Tito
 la sua delizia al mondo, il padre a Roma,
 l'amico a noi. Fra le memorie antiche
 trova l'egual, se puoi. Fingiti in mente
 eroe più generoso o più clemente.
50Parlagli di premiar, poveri a lui
 sembran gli erari sui.
 Parlagli di punir, scuse al delitto
 cerca in ognun. Chi all'inesperta ei dona,
 chi alla canuta età. Risparmia in uno
55l'onor del sangue illustre; il basso stato
 compatisce nell'altro. Inutil chiama,
 perduto il giorno ei dice
 in cui fatto non ha qualcun felice.
 VITELLIA
 Ma regna.
 SESTO
                      Ei regna, è ver; ma vuol da noi
60sol tanta servitù quanto impedisca
 di perir la licenza. Ei regna, è vero;
 ma di sì vasto impero,
 tolto l'alloro e l'ostro,
 suo tutto il peso e tutto il frutto è nostro.
 VITELLIA
65Dunque a vantarmi in faccia
 venisti il mio nemico? E più non pensi
 che questo eroe clemente un soglio usurpa
 dal suo tolto al mio padre?
 Che m'ingannò, che mi ridusse, e questo
70è il suo fallo maggior, quasi ad amarlo?
 E poi, perfido! e poi di nuovo al Tebro
 richiamar Berenice! Una rivale
 avesse scelta almeno
 degna di me fra le beltà di Roma;
75ma una barbara, o Sesto,
 un'esule antepormi! Una regina!
 SESTO
 Sai pur che Berenice
 volontaria tornò.
 VITELLIA
                                 Narra a' fanciulli
 codeste fole. Io so gli antichi amori;
80so le lagrime sparse allor che quindi
 l'altra volta partì; so come adesso
 l'accolse e l'onorò. Chi non lo vede?
 Il perfido l'adora.
 SESTO
                                   Ah principessa,
 tu sei gelosa.
 VITELLIA
                           Io!
 SESTO
                                   Sì.
 VITELLIA
                                           Gelosa io sono,
85se non soffro un disprezzo?
 SESTO
                                                    E pure...
 VITELLIA
                                                                      E pure
 non hai cor d'acquistarmi.
 SESTO
                                                   Io son...
 VITELLIA
                                                                    Tu sei
 sciolto d'ogni promessa. A me non manca
 più degno esecutor dell'odio mio.
 SESTO
 Sentimi.
 VITELLIA
                    Intesi assai.
 SESTO
                                            Fermati.
 VITELLIA
                                                               Addio.
 SESTO
90Ah Vitellia, ah mio nume,
 non partir. Dove vai?
 Perdonami; ti credo; io m'ingannai.
 Tutto, tutto farò. Prescrivi, imponi,
 regola i moti miei;
95tu la mia sorte, il mio destin tu sei.
 VITELLIA
 Prima che il sol tramonti
 voglio Tito svenato e voglio...
 
 SCENA II
 
 ANNIO e detti
 
 ANNIO
                                                      Amico,
 Cesare a sé ti chiama.
 VITELLIA
                                           Ah non perdete
 questi brevi momenti. A Berenice
100Tito gli usurpa.
 ANNIO
                               Ingiustamente oltraggi,
 Vitellia, il nostro eroe. Tito ha l'impero
 e del mondo e di sé. Già per suo cenno
 Berenice partì.
 SESTO
                               Come!
 VITELLIA
                                              Che dici!
 ANNIO
 Voi stupite a ragion. Roma ne piange
105di meraviglia e di piacere. Io stesso
 quasi nol credo; ed io
 fui presente, o Vitellia, al grande addio.
 VITELLIA
 (Oh speranze!)
 SESTO
                               Oh virtù!
 VITELLIA
                                                   Quella superba
 oh come volentieri udita avrei
110esclamar contro Tito!
 ANNIO
                                         Anzi giammai
 più tenera non fu. Partì; ma vide
 che adorata partiva e che al suo caro
 men che a lei non costava il colpo amaro.
 VITELLIA
 Ognun può lusingarsi.
 ANNIO
                                           Eh si conobbe
115che bisognava a Tito
 tutto l'eroe per superar l'amante.
 Vinse ma combatté. Non era oppresso
 ma tranquillo non era; ed in quel volto,
 dicasi per sua gloria,
120si vedea la battaglia e la vittoria.
 VITELLIA
 (E pur forse con me, quanto credei,
 Tito ingrato non è). Sesto, sospendi (A parte a Sesto)
 d'eseguire i miei cenni. Il colpo ancora
 non è maturo.
 SESTO
                             E tu non vuoi ch'io vegga...
125ch'io mi lagni, o crudele... (Con isdegno)
 VITELLIA
                                                  Or che vedesti?
 Di che ti puoi lagnar? (Con isdegno)
 SESTO
                                           Di nulla. (Con sommissione) (Oh dio!
 Chi provò mai tormento eguale al mio!)
 VITELLIA
 
    Deh, se piacer mi vuoi,
 lascia i sospetti tuoi;
130non mi stancar con questo
 molesto dubitar.
 
    Chi ciecamente crede
 impegna a serbar fede;
 chi sempre inganni aspetta
135alletta ad ingannar. (Parte)
 
 SCENA III
 
 SESTO ed ANNIO
 
 ANNIO
 Amico, ecco il momento
 di rendermi felice. All'amor mio
 Servilia promettesti. Altro non manca
 che d'Augusto l'assenso. Ora da lui
140impetrar lo potresti.
 SESTO
                                        Ogni tua brama,
 Annio, m'è legge. Impaziente anch'io
 son che alla nostra antica
 e tenera amicizia aggiunga il sangue
 un vincolo novello.
 ANNIO
                                     Io non ho pace
145senza la tua germana.
 SESTO
                                          E chi potrebbe
 rapirtene l'acquisto? Ella t'adora;
 io fino al giorno estremo
 sarò tuo; Tito è giusto.
 ANNIO
                                           Il so ma temo.
 
    Io sento che in petto
150mi palpita il core
 né so qual sospetto
 mi faccia temer.
 
    Se dubbio è il contento,
 diventa in amore
155sicuro tormento
 l'incerto piacer. (Parte)
 
 SCENA IV
 
 SESTO solo
 
 SESTO
 Numi, assistenza. A poco a poco io perdo
 l'arbitrio di me stesso. Altro non odo
 che il mio funesto amor. Vitellia ha in fronte
160un astro che governa il mio destino.
 La superba lo sa, ne abusa; ed io
 né pure oso lagnarmi. Oh sovrumano
 poter della beltà! Voi che dal cielo
 tal dono aveste, ah non prendete esempio
165dalla tiranna mia. Regnate, è giusto;
 ma non così severo,
 ma non sia così duro il vostro impero.
 
    Opprimete i contumaci;
 son gli sdegni allor permessi;
170ma infierir contro gli oppressi!
 Questo è un barbaro piacer.
 
    Non v'è trace in mezzo a' Traci
 sì crudel che non risparmi
 quel meschin che getta l'armi,
175che si rende prigionier. (Parte)
 
 SCENA V
 
  Innanzi atrio del tempio di Giove Statore, luogo già celebre per le adunanze del Senato; indietro parte del Foro romano, magnificamente adornato d’archi, obelischi e trofei; da’ lati veduta in lontano del monte Palatino e d’un gran tratto della via Sacra; in faccia aspetto esteriore del Campidoglio e magnifica strada per cui vi si ascende.
 
 Nell’atrio suddetto saranno PUBLIO, i senatori romani e i legati delle provincie soggette, destinati a presentare al Senato gli annui imposti tributi. Mentre TITO, preceduto da’ littori, seguito da’ pretoriani, accompagnato da SESTO e da ANNIO e circondato da numeroso popolo, scende dal Campidoglio, cantasi il seguente
 
 CORO
 
    Serbate, o dei custodi
 della romana sorte,
 in Tito il giusto, il forte,
 l'onor di nostra età.
 
180   Voi gl'immortali allori
 su la cesarea chioma,
 voi custodite a Roma
 la sua felicità.
 
    Fu vostro un sì gran dono;
185sia lungo il dono vostro;
 l'invidi al mondo nostro
 il mondo che verrà. (Sulla fine del coro suddetto giunge Tito nell’atrio e nel tempo medesimo Annio e Sesto da diverse parti)
 
 PUBLIO
 Te della patria il padre (A Tito)
 oggi appella il Senato; e mai più giusto
190non fu ne' suoi decreti, o invitto Augusto.
 ANNIO
 Né padre sol ma sei
 suo nume tutelar. Più che mortale
 giacché altrui ti dimostri, a' voti altrui
 comincia ad avvezzarti. Eccelso tempio
195ti destina il Senato; e là si vuole
 che fra divini onori
 anche il nume di Tito il Tebro adori.
 PUBLIO
 Quei tesori che vedi,
 delle serve provincie annui tributi,
200all'opra consacriam. Tito non sdegni
 questi del nostro amor publici segni.
 TITO
 Romani, unico oggetto
 è dei voti di Tito il vostro amore;
 ma il vostro amor non passi
205tanto i confini suoi
 che debbano arrossirne e Tito e voi.
 Più tenero, più caro
 nome che quel di padre
 per me non v'è; ma meritarlo io voglio,
210ottenerlo non curo. I sommi dei
 quanto imitar mi piace
 abborrisco emular. Li perde amici
 chi li vanta compagni; e non si trova
 follia la più fatale
215che potersi scordar d'esser mortale.
 Quegli offerti tesori
 non ricuso però; cambiarne solo
 l'uso pretendo. Udite. Oltre l'usato
 terribile, il Vesevo ardenti fiumi
220dalle fauci eruttò; scosse le rupi;
 riempié di ruine
 i campi intorno e le città vicine.
 Le desolate genti
 fuggendo van; ma la miseria opprime
225quei che al fuoco avanzar. Serva quell'oro
 di tanti afflitti a riparar lo scempio.
 Questo, o Romani, è fabbricarmi il tempio.
 ANNIO
 Oh vero eroe!
 PUBLIO
                            Quanto di te minori
 tutti i premi son mai, tutte le lodi!
 CORO
 
230   Serbate, o dei custodi
 della romana sorte,
 in Tito il giusto, il forte,
 l'onor di nostra età.
 
 TITO
 Basta, basta, o Quiriti.
235Sesto a me s'avvicini; Annio non parta;
 ogni altro si allontani. (Si ritirano tutti fuori dell’atrio e vi rimangono Tito, Sesto ed Annio)
 ANNIO
                                           (Adesso, o Sesto,
 parla per me).
 SESTO
                              Come, signor, potesti
 la tua bella regina...
 TITO
                                       Ah Sesto amico,
 che terribil momento! Io non credei...
240Basta, ho vinto, partì. Grazie agli dei.
 Giusto è ch'io pensi adesso
 a compir la vittoria. Il più si fece;
 facciasi il meno.
 SESTO
                                 E che più resta?
 TITO
                                                                 A Roma
 toglier ogni sospetto
245di vederla mia sposa.
 SESTO
                                          Assai lo toglie
 la sua partenza.
 TITO
                                Un'altra volta ancora
 partissi e ritornò. Del terzo incontro
 dubitar si potrebbe; e, finché vuoto
 il mio talamo sia d'altra consorte,
250chi sa gli affetti miei
 sempre dirà ch'io lo conservo a lei.
 Il nome di regina
 troppo Roma abborrisce. Una sua figlia
 vuol veder sul mio soglio;
255e appagarla convien. Giacché l'amore
 scelse invano i miei lacci, io vuo' che almeno
 l'amicizia or gli scelga. Al tuo s'unisca,
 Sesto, il cesareo sangue. Oggi mia sposa
 sarà la tua germana.
 SESTO
260Servilia?
 TITO
                    Appunto.
 ANNIO
                                        (Oh me infelice!)
 SESTO
                                                                          (Oh dei!
 Annio è perduto).
 TITO
                                    Udisti?
 Che dici? Non rispondi?
 SESTO
                                               E chi potrebbe
 risponderti, o signor? M'opprime a segno
 la tua bontà che non ho cor... Vorrei...
 ANNIO
265(Sesto è in pena per me).
 TITO
                                                 Spiegati. Io tutto
 farò per tuo vantaggio.
 SESTO
 (Ah si serva l'amico).
 ANNIO
                                          (Annio, coraggio).
 SESTO
 Tito... (Risoluto)
 ANNIO
               Augusto, io conosco (Risoluto)
 di Sesto il cor. Fin dalla cuna insieme
270tenero amor ne stringe. Ei, di sé stesso
 modesto estimator, teme che sembri
 sproporzionato il dono; e non s'avvede
 ch'ogni distanza eguaglia
 d'un cesare il favor. Ma tu consiglio
275da lui prender non dei. Come potresti
 sposa elegger più degna
 dell'impero e di te? Virtù, bellezza,
 tutto è in Servilia. Io le conobbi in volto
 ch'era nata a regnar. De' miei presagi
280l'adempimento è questo.
 SESTO
 (Annio parla così! Sogno o son desto?)
 TITO
 E ben, recane a lei,
 Annio, tu la novella. E tu mi siegui,
 amato Sesto; e queste
285tue dubbiezze deponi. Avrai tal parte
 tu ancor nel soglio e tanto
 t'innalzerò che resterà ben poco
 dello spazio infinito
 che frapposer gli dei fra Sesto e Tito.
 SESTO
290Questo è troppo, o signor. Modera almeno,
 se ingrati non ci vuoi,
 modera, Augusto, i benefizi tuoi.
 TITO
 Ma che, se mi negate
 che benefico io sia, che mi lasciate?
 
295   Del più sublime soglio
 l'unico frutto è questo;
 tutto è tormento il resto
 e tutto è servitù.
 
    Che avrei, se ancor perdessi
300le sole ore felici
 che ho nel giovar gli oppressi,
 nel sollevar gli amici,
 nel dispensar tesori
 al merto e alla virtù? (Parte)
 
 SCENA VI
 
 ANNIO e poi SERVILIA
 
 ANNIO
305Non ci pentiam. D'un generoso amante
 era questo il dover. Se a lei che adoro,
 per non esserne privo,
 tolto l'impero avessi, amato avrei
 il mio piacer, non lei. Mio cor, deponi
310le tenerezze antiche. È tua sovrana
 chi fu l'idolo tuo. Cambiar conviene
 in rispetto l'amore. Eccola. Oh dei!
 Mai non parve sì bella agli occhi miei.
 SERVILIA
 Mio ben...
 ANNIO
                      Taci, Servilia. Ora è delitto
315il chiamarmi così.
 SERVILIA
                                    Perché?
 ANNIO
                                                     Ti scelse
 Cesare (che martir!) per sua consorte.
 A te (morir mi sento) a te m'impose
 di recarne l'avviso (oh pena!) ed io...
 io fui... (Parlar non posso). Augusta, addio.
 SERVILIA
320Come! Fermati. Io sposa
 di Cesare! E perché?
 ANNIO
                                         Perché non trova
 beltà, virtù che sia
 più degna d'un impero, anima... Oh stelle!
 Che dirò? Lascia, Augusta,
325deh lasciami partir.
 SERVILIA
                                       Così confusa
 abbandonar mi vuoi? Spiegati, dimmi,
 come fu? Per qual via...
 ANNIO
 Mi perdo, s'io non parto, anima mia.
 
    Ah perdona al primo affetto
330questo accento sconsigliato;
 colpa fu del labbro, usato
 a chiamarti ognor così.
 
    Mi fidai del mio rispetto
 che vegliava in guardia al core;
335ma il rispetto dall'amore
 fu sedotto e mi tradì. (Parte)
 
 SCENA VII
 
 SERVILIA sola
 
 SERVILIA
 Io consorte d'Augusto! In un istante
 io cambiar di catene! Io tanto amore
 dovrei porre in obblio! No, sì gran prezzo
340non val per me l'impero.
 Annio, non lo temer; non sarà vero.
 
    Amo te solo;
 te solo amai;
 tu fosti il primo,
345tu pur sarai
 l'ultimo oggetto
 che adorerò.
 
    Quando sincero
 nasce in un core,
350ne ottien l'impero,
 mai più non muore
 quel primo affetto
 che si provò. (Parte)
 
 SCENA VIII
 
 Ritiro delizioso nel soggiorno imperiale sul colle Palatino.
 
 TITO e PUBLIO con un foglio
 
 TITO
 Che mi rechi in quel foglio?
 PUBLIO
                                                     I nomi ei chiude
355de' rei che osar con temerari accenti
 de' cesari già spenti
 la memoria oltraggiar.
 TITO
                                            Barbara inchiesta
 che agli estinti non giova e somministra
 mille strade alla frode
360d'insidiar gl'innocenti. Io da quest'ora
 ne abolisco il costume; e perché sia
 in avvenir la frode altrui delusa,
 nelle pene de' rei cada chi accusa.
 PUBLIO
 Giustizia è pur...
 TITO
                                  Se la giustizia usasse
365di tutto il suo rigor, sarebbe presto
 un deserto la terra. Ove si trova
 chi una colpa non abbia o grande o lieve?
 Noi stessi esaminiam. Credimi, è raro
 un giudice innocente
370dell'error che punisce.
 PUBLIO
                                           Hanno i castighi...
 TITO
 Hanno, se son frequenti,
 minore autorità. Si fan le pene
 familiari a' malvagi. Il reo s'avvede
 d'aver molti compagni; ed è periglio
375il pubblicar quanto sian pochi i buoni.
 PUBLIO
 Ma v'è, signor, chi lacerare ardisce
 anche il tuo nome.
 TITO
                                     E che perciò? Se il mosse
 leggerezza, nol curo,
 se follia, lo compiango,
380se ragion, gli son grato; e se in lui sono
 impeti di malizia, io gli perdono.
 PUBLIO
 Almen...
 
 SCENA IX
 
 SERVILIA e detti
 
 SERVILIA
                   Di Tito al piè...
 TITO
                                                Servilia! Augusta!
 SERVILIA
 Ah! Signor, sì gran nome
 non darmi ancora; odimi prima. Io deggio
385palesarti un arcan.
 TITO
                                     Publio, ti scosta
 ma non partir. (Publio si ritira)
 SERVILIA
                               Che del cesareo alloro
 me fra tante più degne,
 generoso monarca, inviti a parte
 è dono tal che desteria tumulto
390nel più stupido core. Io ne comprendo
 tutto il valor. Voglio esser grata; e credo
 doverlo esser così. Tu mi scegliesti
 né forse mi conosci. Io, che tacendo
 crederei d'ingannarti,
395tutta l'anima mia vengo a svelarti.
 TITO
 Parla.
 SERVILIA
              Non ha la terra
 chi più di me le tue virtudi adori;
 per te nutrisco in petto
 sensi di meraviglia e di rispetto.
400Ma il cor... Deh non sdegnarti.
 TITO
                                                         Eh parla.
 SERVILIA
                                                                            Il core,
 signor, non è più mio; già da gran tempo
 Annio me lo rapì. L'amai che ancora
 non comprendea d'amarlo; e non amai
 altri finor che lui. Genio e costume
405unì l'anime nostre. Io non mi sento
 valor per obbliarlo. Anche dal trono
 il solito sentiero
 farebbe a mio dispetto il mio pensiero.
 So che oppormi è delitto
410d'un cesare al voler; ma tutto almeno
 sia noto al mio sovrano;
 poi, se mi vuol sua sposa, ecco la mano.
 TITO
 Grazie, o numi del ciel. Pure una volta
 senza larve sul viso
415mirai la verità. Pur si ritrova
 chi s'avventuri a dispiacer col vero.
 Servilia, oh qual contento
 oggi provar mi fai! Quanta mi porgi
 ragion di meraviglia! Annio pospone
420alla grandezza tua la propria pace!
 Tu ricusi un impero
 per essergli fedele! Ed io dovrei
 turbar fiamme sì belle? Ah non produce
 sentimenti sì rei di Tito il core.
425Figlia, che padre invece
 di consorte m'avrai, sgombra dall'alma
 ogni timore. Annio è tuo sposo. Io voglio
 stringer nodo sì degno. Il ciel cospiri
 meco a farlo felice; e n'abbia poi
430cittadini la patria eguali a voi.
 SERVILIA
 Oh Tito! Oh Augusto! Oh vera
 delizia de' mortali! Io non saprei
 come il grato mio cor...
 TITO
                                            Se grata appieno
 esser mi vuoi, Servilia, agli altri inspira
435il tuo candor. Di pubblicar procura
 che grato a me si rende,
 più del falso che piace, il ver che offende.
 
    Ah, se fosse intorno al trono
 ogni cor così sincero,
440non tormento un vasto impero
 ma saria felicità.
 
    Non dovrebbero i regnanti
 tollerar sì grave affanno
 per distinguer dall'inganno
445l'insidiata verità. (Parte)
 
 SCENA X
 
 SERVILIA e VITELLIA
 
 SERVILIA
 Felice me!
 VITELLIA
                       Posso alla mia sovrana
 offrir del mio rispetto i primi omaggi?
 Posso adorar quel volto
 per cui, d'amor ferito,
450ha perduto il riposo il cor di Tito?
 SERVILIA
 (Che amaro favellar! Per mia vendetta
 si lasci nell'inganno). Addio. (In atto di partire)
 VITELLIA
                                                       Servilia
 sdegna già di mirarmi!
 Oh dei! Partir così! Così lasciarmi!
 SERVILIA
 
455   Non ti lagnar s'io parto;
 o lagnati d'amore
 che accorda a quei del core
 i moti del mio piè.
 
    Alfin non è portento
460che a te mi tolga ancora
 l'eccesso d'un contento
 che mi rapisce a me. (Parte)
 
 SCENA XI
 
 VITELLIA, poi SESTO
 
 VITELLIA
 Questo soffrir degg'io
 vergognoso disprezzo? Ah con qual fasto
465già mi guarda costei! Barbaro Tito,
 ti parea dunque poco
 Berenice antepormi? Io dunque sono
 l'ultima de' viventi? Ogni altra è degna
 di te, fuor che Vitellia? Ah trema, ingrato,
470trema d'avermi offesa. Oggi il tuo sangue...
 SESTO
 Mia vita.
 VITELLIA
                    E ben, che rechi? Il Campidoglio
 è acceso? È incenerito?
 Lentulo dove sta? Tito è punito?
 SESTO
 Nulla intrapresi ancor.
 VITELLIA
                                            Nulla! E sì franco
475mi torni innanzi? E con qual merto ardisci
 di chiamarmi tua vita?
 SESTO
                                             È tuo comando
 il sospendere il colpo.
 VITELLIA
                                          E non udisti
 i miei novelli oltraggi? Un altro cenno
 aspetti ancor? Ma ch'io ti creda amante,
480dimmi, come pretendi,
 se così poco i miei pensieri intendi?
 SESTO
 Se una ragion potesse
 almen giustificarmi...
 VITELLIA
                                          Una ragione!
 Mille ne avrai, qualunque sia l'affetto
485da cui prenda il tuo cor regola e moto.
 È la gloria il tuo voto? Io ti propongo
 la patria a liberar. Frangi i suoi ceppi;
 la tua memoria onora;
 abbia il suo Bruto il secol nostro ancora.
490Ti senti d'un'illustre
 ambizion capace? Eccoti aperta
 una strada all'impero. I miei congiunti,
 gli amici miei, le mie ragioni al soglio
 tutte impegno per te. Può la mia mano
495renderti fortunato? Eccola. Corri,
 mi vendica; e son tua. Ritorna asperso
 di quel perfido sangue e tu sarai
 la delizia, l'amore,
 la tenerezza mia. Non basta? Ascolta
500e dubita, se puoi. Sappi che amai
 Tito finor, che del mio cor l'acquisto
 ei t'impedì, che se rimane in vita
 si può pentir, ch'io ritornar potrei,
 non mi fido di me, forse ad amarlo.
505Or va', se non ti muove
 desio di gloria, ambizione, amore,
 se tolleri un rivale
 che usurpò, che contrasta,
 che involar ti potrà gli affetti miei,
510degli uomini il più vil dirò che sei.
 SESTO
 Quante vie d'assalirmi!
 Basta, basta, non più. Già m'inspirasti,
 Vitellia, il tuo furore. Arder vedrai
 fra poco il Campidoglio; e questo acciaro
515nel sen di Tito... (Ah, sommi dei, qual gelo
 mi ricerca le vene!)
 VITELLIA
                                       Ed or che pensi?
 SESTO
 Ah Vitellia!
 VITELLIA
                        Il previdi;
 tu pentito già sei...
 SESTO
                                     Non son pentito
 ma...
 VITELLIA
             Non stancarmi più. Conosco, ingrato,
520che amor non hai per me. Folle ch'io fui!
 Già ti credea; già mi piacevi; e quasi
 cominciavo ad amarti. Agli occhi miei
 involati per sempre
 e scordati di me.
 SESTO
                                  Fermati, io cedo;
525io già volo a servirti.
 VITELLIA
                                        Eh non ti credo.
 M'ingannerai di nuovo. In mezzo all'opra
 ricorderai...
 SESTO
                         No; mi punisca amore,
 se penso ad ingannarti.
 VITELLIA
 Dunque corri, che fai? Perché non parti?
 SESTO
 
530   Parto; ma tu, ben mio,
 meco ritorna in pace.
 Sarò qual più ti piace;
 quel che vorrai farò.
 
    Guardami e tutto obblio;
535e a vendicarti io volo.
 Di quello sguardo solo
 io mi ricorderò. (Parte)
 
 SCENA XII
 
 VITELLIA, poi PUBLIO
 
 VITELLIA
 Vedrai, Tito, vedrai che alfin sì vile
 questo volto non è. Basta a sedurti
540gli amici almen, se ad invaghirti è poco.
 Ti pentirai...
 PUBLIO
                          Tu qui, Vitellia? Ah corri;
 va Tito alle tue stanze.
 VITELLIA
 Cesare! E a che mi cerca?
 PUBLIO
                                                 Ancor nol sai?
 Sua consorte ti elesse.
 VITELLIA
                                           Io non sopporto,
545Publio, d'esser derisa.
 PUBLIO
 Deriderti! Se andò Cesare istesso
 a chiederne il tuo assenso.
 VITELLIA
 E Servilia?
 PUBLIO
                        Servilia,
 non so perché, rimane esclusa.
 VITELLIA
                                                          Ed io...
 PUBLIO
550Tu sei la nostra augusta. Ah principessa,
 andiam; Cesare attende.
 VITELLIA
                                                Aspetta. (Oh dei!)
 Sesto?... (Misera me!) Sesto?... (Verso la scena) È partito.
 Publio, corri... Raggiungi...
 Digli... No. Va' più tosto... (Ah! Mi lasciai
555trasportar dallo sdegno). E ancor non vai?
 PUBLIO
 Dove?
 VITELLIA
                A Sesto.
 PUBLIO
                                 E dirò?
 VITELLIA
                                                 Che a me ritorni,
 che non tardi un momento.
 PUBLIO
 Vado. (Oh come confonde un gran contento!) (Parte)
 
 SCENA XIII
 
 VITELLIA
 
 VITELLIA
 Che angustia è questa! Ah! Caro Tito, io fui
560teco ingiusta, il confesso. Ah se frattanto
 Sesto il cenno eseguisse! Il caso mio
 sarebbe il più crudel... No, non si faccia
 sì funesto presagio. E se mai Tito
 si tornasse a pentir!... Perché pentirsi?
565Perché l'ho da temer? Quanti pensieri
 mi si affollano in mente! Afflitta e lieta,
 godo, torno a temer, gelo, m'accendo;
 me stessa in questo stato io non intendo.
 
    Quando sarà quel dì
570ch'io non ti senta in sen
 sempre tremar così,
 povero core!
 
    Stelle, che crudeltà!
 Un sol piacer non v'è
575che, quando mio si fa,
 non sia dolore. (Parte)
 
 Fine dell’atto primo