Didone abbandonata, Madrid, Mojados, 1752

 ATTO TERZO
 
 SCENA PRIMA
 
 Porto di mare con navi per l’imbarco d’Enea.
 
 ENEA con seguito di troiani
 
 ENEA
 Compagni invitti, a tollerare avvezzi
1010e del cielo e del mar gl'insulti e l'ire,
 destate il vostro ardire,
 che per l'onda infedele
 è tempo già di rispiegar le vele.
 Andiamo, amici, andiamo;
1015ai troiani navigli
 fremono pur venti e procelle intorno;
 saran glorie i perigli
 e dolce fia di rammentargli un giorno. (Nell’atto che Enea sta per salir su la nave, esce Iarba)
 
 SCENA II
 
 IARBA con seguito di mori e detti
 
 IARBA
 Dove rivolge, dove
1020quest'eroe fuggitivo i legni e l'armi?
 Vuol portar guerra altrove
 o da me col fuggir cerca lo scampo?
 ENEA
 Ecco un novello inciampo.
 IARBA
 Per un momento il legno
1025può rimaner sul lido.
 Vieni s'hai cor, meco a pugnar ti sfido.
 ENEA
 Vengo. Restate, amici, (Alle sue genti)
 che ad abbassar quel temerario orgoglio
 altri che il mio valor meco non voglio,
1030eccomi a te; che pensi?
 IARBA
 Penso che all'ira mia
 la tua morte sarà poca vendetta.
 ENEA
 Per ora a contrastarmi
 non fai poco se pensi. All'armi.
 IARBA
                                                          All'armi. (Mentre si battono e Iarba va cedendo, i suoi mori vengono in aiuto di lui ed assalgono Enea)
 ENEA
1035Venga tutto il tuo regno.
 IARBA
 Difenditi se puoi.
 ENEA
                                   Non temo, indegno. (I compagni d’Enea scendono in aiuto di lui ed attaccano i mori. Enea e Iarba combattendo entrano. Siegue zuffa fra i troiani e i mori. I mori fuggono e gli altri gli sieguono. Escono di nuovo combattendo Enea e Iarba che cade)
 Già cadesti e sei vinto. Or tu mi cedi
 o trafiggo quel core.
 IARBA
                                       Invan lo chiedi.
 ENEA
 Se al vincitor sdegnato
1040non domandi pietà...
 IARBA
                                         Siegui il tuo fato.
 ENEA
 Sì, mori. Ma che fo? No, vivi; invano
 tenti il mio cor con quell'insano orgoglio.
 No; la vittoria mia macchiar non voglio. (Parte)
 IARBA
 Son vinto sì ma non oppresso; almeno
1045oggetto all'ire tue sorte incostante
 Iarba sol non sarà.
 
    La caduta d'un regnante
 tutto un regno opprimerà. (Parte)
 
 SCENA III
 
 Arborata tra la città e il porto.
 
 OSMIDA solo
 
 OSMIDA
 Già di Iarba in difesa
1050lo stuol de' mori a queste mura è giunto.
 Ecco vicino il punto
 della grandezza mia; d'essere infido
 ad una donna ingrata,
 no, non sento rossor; così punisco
1055l'ingiustizia di lei che mai non diede
 un premio alla mia fede.
 
 SCENA IV
 
 IARBA frettoloso con seguito e detto
 
 IARBA
 Seguitemi o compagni;
 alla reggia, alla reggia. (Passa avanti Osmida senza vederlo)
 OSMIDA
                                            Odi. Signore,
 le tue schiere son pronte; è tempo alfine
1060che vendichi i tuoi torti.
 IARBA
                                               Amici, andiamo; (Senza dar occhio ad Osmida)
 non soffre indugio il mio furor. (In atto di partire)
 OSMIDA
                                                            T'arresta.
 IARBA
 Che vuoi? (Con sdegno)
 OSMIDA
                       Deh non scordarti
 che deve alla mia fede
 l'amor tuo vendicato una mercede.
 IARBA
1065È giusto; anzi preceda
 la tua mercede alla vendetta mia.
 OSMIDA
 Generoso monarca...
 IARBA
                                        Olà, costui
 si disarmi, s'annodi e poi s'uccida. (In atto di partire)
 OSMIDA
 Come! Questo ad Osmida?
1070Qual ingiusto furore...
 IARBA
 Quest'è il premio dovuto a un traditore. (Parte seguito da’ suoi, a riserva di pochi che restano ad eseguire il comando)
 
 SCENA V
 
 ENEA con seguito di troiani e detti. Uscendo Enea fuggono i mori e lasciano legato OSMIDA
 
 ENEA
 Siam tutti alfin raccolti? Alcun non manca
 de' dispersi compagni? E ben si tronchi
 ogni dimora alfin; sereno è il cielo;
1075l'aure e l'onde son chiare;
 alle navi, alle navi, al mare, al mare.
 OSMIDA
 Invitto eroe!
 ENEA
                          Che avvenne!
 OSMIDA
                                                     In questo stato
 Iarba il barbaro re...
 ENEA
                                        Comprendo. Amici
 si ponga Osmida in libertà. L'indegno (I troiani vanno a sciogliere Osmida)
1080da chi men può sperarlo abbia soccorso
 ed apprenda virtù dal suo rimorso.
 OSMIDA
 Ah lascia eroe pietoso (S’inginocchia)
 che grato a sì gran don...
 ENEA
                                               Sorgi; ed altrove
 rivolgi i passi tuoi.
 OSMIDA
1085Grato a virtù sì rara...
 ENEA
 Se grato esser mi vuoi,
 ad esser fido un'altra volta impara.
 OSMIDA
 
    Quando l'onda che nasce dal monte
 al suo fonte ritorni dal prato
1090sarò ingrato a sì bella pietà.
 
    Fia del giorno la notte più chiara,
 se a scordarsi quest'anima impara
 di quel braccio che vita mi dà. (Parte)
 
 SCENA VI
 
 ENEA e SELENE frettolosa
 
 ENEA
 Principessa ove corri?
 SELENE
                                           A te. M'ascolta.
 ENEA
1095Se brami un'altra volta
 rammentarmi l'amor t'adopri invano.
 SELENE
 Ma che farà Didone?
 ENEA
                                         Al partir mio
 manca ogni suo periglio.
 La mia presenza i suoi nemici irrita.
1100Iarba al trono l'invita,
 stenda a Iarba la mano e si consoli. (In atto di partire)
 SELENE
 Senti, se a noi t'involi,
 non sol Didone, ancor Selene uccidi.
 ENEA
 Come!
 SELENE
                Dal dì ch'io vidi il tuo sembiante,
1105celai timida amante
 l'amor mio, la mia fede;
 ma vicina a morir chiedo mercede.
 Mercé se non d'amore
 almeno di pietà. Mercé...
 ENEA
                                                Selene,
1110omai più del tuo foco
 non mi parlar né degli affetti altrui.
 Non più amante qual fui, guerriero io sono.
 Torno al costume antico,
 chi trattien le mie glorie è mio nemico.
 
1115   A trionfar mi chiama
 un bel desio d'onore
 e già sopra il mio core
 comincio a trionfar.
 
    Con generosa brama
1120fra i rischi e le ruine,
 di nuovi allori il crine
 io volo a circondar. (Parte)
 
 SCENA VII
 
 SELENE sola
 
 SELENE
 Sprezzar la fiamma mia,
 togliere alla mia fede ogni speranza
1125esser vanto potria di tua costanza;
 ma se né pur consenti
 che sfoghi i suoi tormenti un core amante,
 ah! sei barbaro Enea, non sei costante.
 
    Io d'amore, oh dio! mi moro
1130e mi niega il mio tiranno
 anche il misero ristoro
 di lagnarmi e poi morir.
 
    Che costava a quel crudele
 l'ascoltar le mie querele
1135e donare a tanto affanno
 qualche tenero sospir. (Parte)
 
 SCENA VIII
 
  Reggia con veduta della città di Cartagine in prospetto che poi s’incendia.
 
 DIDONE, poi OSMIDA
 
 DIDONE
 
    Va crescendo il mio tormento,
 io lo sento e non l'intendo;
 giusti dei, che mai sarà!
 
 OSMIDA
1140Deh regina pietà.
 DIDONE
                                   Che rechi amico?
 OSMIDA
 Ah no, così bel nome
 non merta un traditore,
 d'Enea, di te nemico e del tuo amore.
 DIDONE
 Come!
 OSMIDA
                Con la speranza
1145di posseder Cartago,
 m'offersi a Iarba; ei m'accettò; si valse
 finor di me; poi per mercé volea
 l'empio svenarmi e mi difese Enea.
 DIDONE
 Reo di tanto delitto hai fronte ancora
1150di presentarti a me?
 OSMIDA
                                        Sì mia regina. (S’inginocchia)
 Tu vedi un infelice
 che non spera il perdono e nol desia;
 chiedo a te per pietà la pena mia.
 DIDONE
 Sorgi; quante sventure!
1155Misera me! Sotto qual astro io nacqui?
 Manca ne' miei più fidi...
 
 SCENA IX
 
 SELENE e detti
 
 SELENE
                                                 Oh dio, germana!
 Alfine Enea...
 DIDONE
                            Partì?
 SELENE
                                          No, ma fra poco
 le vele scioglierà da' nostri lidi.
 Or ora io stessa il vidi
1160verso i legni fugaci
 sollecito condurre i suoi seguaci.
 DIDONE
 Che infedeltà! Che sconoscenza! Oh dei!
 Un esule infelice...
 Un mendico stranier... Ditemi voi
1165se più barbaro cor vedeste mai?
 E tu cruda Selene
 partir lo vedi ed arrestar nol sai?
 SELENE
 Fu vana ogni mia cura.
 DIDONE
 Vanne Osmida e procura
1170che resti Enea per un momento solo.
 M'ascolti e parta.
 OSMIDA
                                  Ad ubbidirti io volo. (Parte)
 
 SCENA X
 
 DIDONE e SELENE
 
 SELENE
 Ah non fidarti; Osmida
 tu non conosci ancor.
 DIDONE
                                         Lo so purtroppo.
 A questo eccesso è giunta
1175la mia sorte tiranna;
 deggio chiedere aita a chi m'inganna.
 SELENE
 Non hai fuor che in te stessa altra speranza;
 vanne a lui, prega e piangi,
 chi sa? Forse potrai vincer quel core.
 DIDONE
1180Alle preghiere, ai pianti
 Dido scender dovrà? Dido che seppe
 dalle sidonie rive
 correr dell'onde a cimentar lo sdegno,
 altro clima cercando ed altro regno.
1185Son io, son quella ancora
 che di nuove cittadi Affrica ornai,
 che il mio fasto serbai
 fra l'insidie, fra l'armi e fra i perigli;
 ed a tanta viltà tu mi consigli?
 SELENE
1190O scordati il tuo grado
 o abbandona ogni speme,
 amore e maestà non vanno insieme.
 
 SCENA XI
 
 ARASPE e detti
 
 DIDONE
 Araspe in queste soglie?
 ARASPE
                                               A te ne vengo (Si comincia a veder fiamme in lontananza sugli edifizi di Cartagine)
 pietoso del tuo rischio. Il re sdegnato
1195di Cartagine i tetti arde e ruina.
 Vedi, vedi, o regina,
 le fiamme che lontane agita il vento.
 Se tardi un sol momento
 a placare il suo sdegno,
1200un sol giorno ti toglie e vita e regno.
 DIDONE
 Restano più disastri
 per rendermi infelice?
 SELENE
                                            Infausto giorno!
 
 SCENA XII
 
 OSMIDA e detti
 
 DIDONE
 Osmida.
 OSMIDA
                   Arde d'intorno...
 DIDONE
 Lo so; d'Enea ti chiedo,
1205che ottenesti da Enea?
 OSMIDA
                                            Partì. Lontano
 è già da queste sponde; io giunsi appena
 a ravvisar le fuggitive antenne.
 DIDONE
 Ah stolta! Io stessa, io sono
 complice di sua fuga. Al primo istante
1210arrestar lo dovea. Ritorna, Osmida,
 corri, vola sul lido, aduna insieme
 armi, navi, guerrieri;
 raggiungi l'infedele.
 Lacera i lini suoi, sommergi i legni.
1215Portami fra catene
 quel traditore avvinto
 e se vivo non puoi, portalo estinto.
 OSMIDA
 Tu pensi a vendicarti e cresce intanto
 la sollecita fiamma.
 DIDONE
                                      È ver, corriamo.
1220Io voglio... Ah no... Restate...
 Ma la vostra dimora...
 Io mi confondo... E non partisti ancora?
 OSMIDA
 Eseguisco i tuoi cenni. (Parte)
 
 SCENA XIII
 
 DIDONE, SELENE, ARASPE
 
 ARASPE
                                             Al tuo periglio
 pensa, o Didone.
 SELENE
                                  E pensa
1225a ripararne il danno.
 DIDONE
 Non fo poco se vivo in tanto affanno.
 Va' tu, cara Selene,
 provvedi, ordina, assisti in vece mia.
 Non lasciarmi se m'ami in abbandono.
 SELENE
1230Ah che di te più sconsolata io sono. (Parte)
 
 SCENA XIV
 
 DIDONE ed ARASPE
 
 ARASPE
 E tu qui resti ancor? Non ti spaventa
 l'incendio che s'avvanza?
 DIDONE
 Perduta ogni speranza,
 non conosco timor. Ne' petti umani
1235il timore e la speme
 nascono in compagnia, muoiono insieme.
 ARASPE
 Il tuo scampo desio. Vederti esposta
 a tal rischio mi spiace.
 DIDONE
 Araspe per pietà lasciami in pace. (Parte Araspe)
 
 SCENA XV
 
 DIDONE, poi OSMIDA
 
 DIDONE
1240I miei casi infelici
 favolose memorie un dì saranno.
 E forse diverranno
 soggetti miserabili e dolenti
 alle tragiche scene i miei tormenti.
 OSMIDA
1245È perduta ogni speme.
 DIDONE
 Così presto ritorni?
 OSMIDA
                                       Invano, oh dio!
 tentai passar dal tuo soggiorno al lido.
 Tutta del moro infido
 il minaccioso stuol Cartago inonda.
1250Fra le strida e i tumulti
 agli insulti degli empi
 son le vergini esposte, aperti i tempi;
 né più desta pietade
 o l'immatura o la cadente etade.
 DIDONE
1255Dunque alla mia ruina
 più riparo non v'è? (Si comincia a vedere il fuoco nella reggia)
 
 SCENA XVI
 
 SELENE e detti
 
 SELENE
                                       Fuggi, o regina,
 son vinti i tuoi custodi;
 non ci resta difesa.
 Dalla cittade accesa
1260passan le fiamme alla tua reggia in seno
 e di fumo e faville è il ciel ripieno.
 DIDONE
 Andiam, si cerchi altrove
 per noi qualche soccorso.
 OSMIDA
                                                E come?
 SELENE
                                                                  E dove?
 DIDONE
 Venite, anime imbelli,
1265se vi manca valore,
 imparate da me come si more.
 
 SCENA XVII
 
 IARBA con guardie e detti
 
 IARBA
 Fermati.
 DIDONE
                    (Oh dei!)
 IARBA
                                        Dove così smarrita?
 Forse al fedel troiano
 corri a stringer la mano?
1270Va' pure, affretta il piede,
 che al talamo reale ardon le tede.
 DIDONE
 Lo so, quest'è il momento
 delle vendette tue; sfoga il tuo sdegno,
 or ch'ogn'altro sostegno il ciel mi fura.
 IARBA
1275Già ti difende Enea, tu sei sicura.
 DIDONE
 E ben, sarai contento.
 Mi volesti infelice? Eccomi sola,
 tradita, abbandonata,
 senza Enea, senza amici e senza regno.
1280Debole mi volesti? Ecco Didone
 ridotta alfine a lagrimar. Non basta?
 Mi vuoi supplice ancor? Sì; de' miei mali
 chiedo a Iarba ristoro;
 da Iarba per pietà la morte imploro.
 IARBA
1285(Cedon gli sdegni miei).
 SELENE
 (Giusti numi pietà!)
 OSMIDA
                                         (Soccorso, o dei!)
 IARBA
 Eppur Didone, eppure
 sì barbaro non son qual tu mi credi.
 Del tuo pianto ho pietà, meco ne vieni.
1290L'offese io ti perdono
 e mia sposa ti guido al letto, al trono.
 DIDONE
 Io sposa d'un tiranno,
 d'un empio, d'un crudel, d'un traditore
 che non sa che sia fede,
1295non conosce dover, non cura onore!
 S'io fossi così vile,
 saria giusto il mio pianto;
 no la disgrazia mia non giunse a tanto.
 IARBA
 In sì misero stato insulti ancora?
1300Olà, miei fidi andate,
 s'accrescono le fiamme. In un momento
 si distrugga Cartago e non vi resti
 orma d'abitator che la calpesti. (Partono due guardie)
 SELENE
 Pietà del nostro affanno.
 IARBA
1305Or potrai con ragion dirmi tiranno.
 
    Cadrà fra poco in cenere
 il tuo nascente impero
 e ignota al passaggiero
 Cartagine sarà.
 
1310   Se a te del mio perdono
 meno è la morte acerba,
 non meriti superba
 soccorso né pietà. (Parte)
 
 SCENA XVIII
 
 DIDONE, SELENE e OSMIDA
 
 OSMIDA
 Cedi a Iarba, o Didone.
 SELENE
1315Conserva con la tua la nostra vita.
 DIDONE
 Solo per vendicarmi
 del traditor Enea,
 ch'è la prima cagion de' mali miei,
 l'aure vitali io respirar vorrei.
1320Ah faccia il vento almeno,
 facciano almen gli dei le mie vendette.
 E folgori e saette
 e turbini e tempeste
 rendano l'aure e l'onde a lui funeste.
1325Vada ramingo e solo e la sua sorte
 così barbara sia
 che si riduca ad invidiar la mia.
 SELENE
 Deh modera il tuo sdegno, anch'io l'adoro
 e soffro il mio tormento.
 DIDONE
                                               Adori Enea?
 SELENE
1330Sì, ma per tua cagion...
 DIDONE
                                             Ah disleale,
 tu rivale al mio amor?
 SELENE
                                           Se fui rivale
 ragion non hai...
 DIDONE
                                 Dagli occhi miei t'invola,
 non accrescer più pene
 ad un cor disperato.
 SELENE
1335(Misera donna, ove la guida il fato). (Parte)
 
 SCENA XIX
 
 DIDONE e OSMIDA
 
 OSMIDA
 Crescon le fiamme e tu fuggir non vuoi?
 DIDONE
 Mancano più nemici? Enea mi lascia;
 trovo Selene infida;
 Iarba m'insulta e mi tradisce Osmida.
1340Ma che feci empi numi! Io non macchiai
 di vittime profane i vostri altari
 né mai di fiamma impura
 feci l'are fumar per vostro scherno.
 Dunque perché congiura
1345tutto il ciel contro me, tutto l'inferno?
 OSMIDA
 Ah pensa a te, non irritar gli dei.
 DIDONE
 Che dei? Son nomi vani,
 son chimere sognate o ingiusti sono.
 OSMIDA
 (Gelo a tanta empietade e l'abbandono). (Parte. Cadono alcune fabbriche e si vedono crescer le fiamme nella reggia)
 
 SCENA ULTIMA
 
 DIDONE sola
 
 DIDONE
1350Ah che dissi infelice? A qual eccesso
 mi trasse il mio furore?
 Oh dio! Cresce l'orrore; ovunque io miro
 mi vien la morte e lo spavento in faccia,
 trema la reggia e di cader minaccia.
1355Selene, Osmida, ah tutti
 tutti cedeste alla mia sorte infida,
 non v'è chi mi soccorra o chi m'uccida.
 
    Vado... Ma dove?... Oh dio!
 Resto... Ma poi... che fo?
1360Dunque morir dovrò
 senza trovar pietà?
 
 E v'è tanta viltà nel petto mio?
 No no, si mora e l'infedele Enea
 abbia nel mio destino
1365un augurio funesto al suo camino.
 Precipiti Cartago,
 arda la reggia e sia
 il cenere di lei la tomba mia. (Dicendo l’ultime parole, corre Didone a precipitarsi disperata e furiosa nelle ardenti ruine della reggia; e si perde fra i globi di fiamme, di faville e di fumo che si sollevano alla sua caduta. Nel tempo medesimo su l’ultimo orizonte comincia a gonfiarsi il mare e ad avanzarsi lentamente verso la reggia tutto adombrato al di sopra da dense nuvole e secondato dal tumulto di strepitosa sinfonia. Nell’avvicinarsi all’incendio a proporzione della maggior resistenza del fuoco, va crescendo la violenza dell’acque. Il furioso alternar dell’onde, il frangersi ed il biancheggiar di quelle nell’incontro delle opposte ruine, lo spesso fragor de’ tuoni, l’interrotto lume de’ lampi e quel continuo muggito marino, che suole accompagnar le tempeste, rappresentano l’ostinato contrasto dei due nemici elementi. Trionfando finalmente per tutto sul fuoco estinto le acque vincitrici, si rasserena improvvisamente il cielo, si dileguano le nubi, si cangia l’orrida in lieta sinfonia, e si vede la ricca e luminosa reggia di Nettuno. Nel mezzo di quella assiso nella sua lucida conca, tirata da mostri marini e circondata da festive schiere di nereidi, di sirene e di tritoni, comparisce il nume che appoggiato al gran tridente parla nel seguente tenore)
 
 NETTUNO
 Se alla discordia antica
1370ritornar gli elementi, astri benigni
 del ciel d'Iberia, in questo dì vedete,
 non vi rechi stupor; di merto eguali
 bella gara d'onor ci fa rivali.
 Se l'emulo Vulcano
1375qui degli incendi suoi
 fa spettacolo a voi, per qual cagione
 dovrà sì nobil peso
 a me, nume dell'acque, esser conteso?
 Perché ceder dovrei? S'ei tuona in campo
1380talor da' cavi bronzi
 dell'ira vostra esecutor fedele,
 della vostra giustizia
 fedele ognora esecutore anch'io
 porto a' mondi remoti
1385le vostre leggi e ne riporto i voti.
 Onde a ragion pretesi
 parte alla gloria. Onde a ragion costrinsi
 nell'illustre contesa
 a fremer le procelle in mia difesa.
 
1390   Tacete o mie procelle
 di questo soglio al piè,
 or che il rivale a me
 cedé la palma.
 
    E dell'ibere stelle
1395al fausto balenar
 tutti i regni del mar
 tornino in calma.
 
 FINE
 
    En Madrid, nella stamperia di Lorenzo Mojados, nella strada angosta di San Bernardo.