Didone abbandonata, Torino, Reale, 1757, II

 ATTO TERZO
 
 SCENA PRIMA
 
 Porto di mare con navi per l’imbarco d’Enea.
 
 ENEA con seguito di troiani
 
 ENEA
 Compagni invitti, a tollerare avvezzi
 e del cielo e del mar gl'insulti e l'ire,
 destate il vostro ardire,
 che per l'onda infedele
1020è tempo già di rispiegar le vele.
 Andiamo, amici, andiamo;
 ai troiani navigli
 fremano pur venti e procelle intorno;
 saran glorie i perigli;
1025e dolce fia di rammentargli un giorno.
 
 SCENA II
 
 IARBA con seguito di mori e detti
 
 IARBA
 Dove rivolge, dove
 quest'eroe fuggitivo i legni e l'armi?
 Vuol portar guerra altrove
 o da me col fuggir cerca lo scampo?
 ENEA
1030Ecco un novello inciampo.
 IARBA
 Per un momento il legno
 può rimaner sul lido.
 Vieni, s'hai cor, meco a pugnar ti sfido.
 ENEA
 Vengo. Restate, amici, (Alle sue genti)
1035che ad abbassar quel temerario orgoglio
 altri che il mio valor meco non voglio.
 Eccomi a te; che pensi?
 IARBA
 Penso che all'ira mia
 la tua morte sarà poca vendetta.
 ENEA
1040Per ora a contrastarmi
 non fai poco se pensi. All'armi.
 IARBA
                                                          All'armi. (Mentre si battono e Iarba va cedendo, i suoi mori vengono in aiuto di lui ed assalgono Enea)
 ENEA
 Venga tutto il tuo regno.
 IARBA
 Difenditi, se puoi.
 ENEA
                                    Non temo, indegno. (I compagni d’Enea scendono in aiuto di lui ed attaccano i mori. Enea e Iarba combattendo entrano. Siegue zuffa fra i troiani e i mori. I mori fuggono e gli altri gli sieguono. Escono di nuovo combattendo Enea e Iarba che cade)
 Già cadesti e sei vinto. O tu mi cedi
1045o trafiggo quel core.
 IARBA
                                       Invan lo chiedi.
 ENEA
 Se al vincitor sdegnato
 non domandi pietà...
 IARBA
                                         Siegui il tuo fato.
 ENEA
 Sì mori... Ma che fo? No, vivi; invano
 tenti il mio cor con quell'insano orgoglio. (Parte)
 IARBA
1050Son vinto sì ma non oppresso; almeno
 oggetto all'ire tue, sorte incostante,
 Iarba sol non sarà.
 
    La caduta d'un regnante
 tutto un regno opprimerà. (Parte)
 
 SCENA III
 
 Arborata tra la città e il porto.
 
 OSMIDA solo
 
 OSMIDA
1055Già di Iarba in difesa
 lo stuol de' mori a queste mura è giunto.
 Ecco vicino il punto
 della grandezza mia; d'essere infido
 ad una donna ingrata
1060no, non sento rossor; così punisco
 l'ingiustizia di lei che mai non diede
 un premio alla mia fede.
 
 SCENA IV
 
 IARBA frettoloso con seguito e detto
 
 IARBA
 Seguitemi, o compagni;
 alla reggia, alla reggia. (Passa avanti Osmida senza vederlo)
 OSMIDA
                                            Odi, signore,
1065le tue schiere son pronte; è tempo alfine
 che vendichi i tuoi torti.
 IARBA
                                               Amici, andiamo, (Senza dar orecchio ad Osmida)
 non soffre indugi il mio furor. (In atto di partire)
 OSMIDA
                                                          T'arresta.
 IARBA
 Che vuoi? (Con isdegno)
 OSMIDA
                       Deh non scordarti
 che deve alla mia fede
1070l'amor tuo vendicato una mercede.
 IARBA
 È giusto; anzi preceda
 la tua mercede alla vendetta mia.
 OSMIDA
 Generoso monarca...
 IARBA
                                        Olà, costui
 si disarmi, s'annodi e poi s'uccida. (In atto di partire)
 OSMIDA
1075Come! Questo ad Osmida?
 Qual ingiusto furore...
 IARBA
 Quest'è il premio dovuto a un traditore. (Parte seguito da’ suoi, a riserva di pochi che restano ad eseguire il comando)
 
 SCENA V
 
 ENEA con seguito di troiani e detti
 
 ENEA
 Siam tutti alfin raccolti. Alcun non manca (Uscendo Enea fuggono i mori e lasciano legato Osmida)
 de' dispersi compagni. E ben si tronchi
1080ogni dimora alfin; sereno è il cielo;
 l'aure e l'onde son chiare;
 alle navi, alle navi; al mare, al mare.
 OSMIDA
 Invitto eroe.
 ENEA
                          Che avvenne?
 OSMIDA
                                                      In questo stato
 Iarba, il barbaro re...
 ENEA
                                         Comprendo. Amici
1085si ponga Osmida in libertà. (L'indegno
 da chi men può sperarlo abbia soccorso (I troiani vanno a sciogliere Osmida)
 ed apprenda virtù dal suo rimorso).
 OSMIDA
 Ah! Lascia, eroe pietoso, (S’inginocchia)
 che grato a sì gran don...
 ENEA
                                               Sorgi ed altrove
1090rivolgi i passi tuoi.
 OSMIDA
 Grato a virtù sì rara...
 ENEA
 Se grato esser mi vuoi,
 ad esser fido un'altra volta impara.
 OSMIDA
 
    Quando l'onda, che nasce dal monte,
1095al suo fonte ritorni dal prato,
 sarò ingrato a sì bella pietà.
 
    Fia del giorno la notte più chiara,
 se a scordarsi quest'anima impara
 di quel braccio che vita mi dà. (Parte)
 
 SCENA VI
 
 ENEA e SELENE frettolosa
 
 ENEA
1100Principessa, ove corri?
 SELENE
                                            A te. M'ascolta.
 ENEA
 Se brami un'altra volta
 rammentarmi l'amor, t'adopri invano.
 SELENE
 Ma che farà Didone?
 ENEA
                                         Al partir mio
 manca ogni suo periglio.
1105La mia presenza i suoi nemici irrita.
 Iarba al trono l'invita;
 stenda a Iarba la destra e si consoli. (In atto di partire)
 SELENE
 Senti, se a noi t'involi,
 non sol Didone, ancor Selene uccidi.
 ENEA
1110Come!
 SELENE
                Dal dì ch'io vidi il tuo sembiante,
 celai timida amante
 l'amor mio, la mia fede;
 ma vicina a morir chiedo mercede,
 mercé, se non d'amore,
1115almeno di pietà, mercé...
 ENEA
                                                Selene,
 ormai più del tuo foco
 non mi parlar né degli affetti altrui.
 Non più amante qual fui, guerriero or sono.
 Torno al costume antico;
1120chi trattien le mie glorie è mio nemico.
 
    A trionfar mi chiama
 un bel desio d'onore
 e già sopra il mio core
 comincio a trionfar.
 
1125   Con generosa brama,
 fra i rischi e le ruine,
 di nuovi allori il crine
 io volo a circondar. (Parte)
 
 SCENA VII
 
 SELENE sola
 
 SELENE
 Sprezzar la fiamma mia,
1130togliere alla mia fede ogni speranza
 esser vanto potria di tua costanza.
 Ma se né pur consenti
 che sfoghi i suoi tormenti un core amante,
 ah! sei barbaro, Enea, non sei costante.
 
1135   Io d'amore, oh dio! mi moro;
 e mi niega il mio tiranno
 anche il misero ristoro
 di lagnarmi e poi morir.
 
    Che costava a quel crudele
1140l'ascoltar le mie querele
 e donare a tanto affanno
 qualche tenero sospir. (Parte)
 
 SCENA VIII
 
  Reggia con veduta della città di Cartagine in prospetto che poi s’incendia.
 
 DIDONE e poi OSMIDA
 
 DIDONE
 
    Va crescendo il mio tormento;
 io lo sento e non l'intendo;
1145giusti dei, che mai sarà?
 
 OSMIDA
 Deh regina, pietà!
 DIDONE
                                    Che rechi, amico?
 OSMIDA
 Ah no! Così bel nome
 non merta un traditore,
 d'Enea, di te nemico e del tuo amore.
 DIDONE
1150Come!
 OSMIDA
                Con la speranza
 di posseder Cartago,
 m'offersi a Iarba; ei m'accettò; si valse
 finor di me; poi per mercé volea
 l'empio svenarmi; e mi difese Enea.
 DIDONE
1155Reo di tanto delitto hai fronte ancora
 di presentarti a me?
 OSMIDA
                                        Sì, mia regina. (S’inginocchia)
 Tu vedi un infelice
 che non spera il perdono e nol desia;
 chiedo a te per pietà la pena mia.
 DIDONE
1160Sorgi; quante sventure!
 Misera me, sotto qual astro io nacqui?
 Manca ne' miei più fidi...
 
 SCENA IX
 
 SELENE e detti
 
 SELENE
                                                 Oh dio, germana!
 Alfine Enea...
 DIDONE
                            Partì?
 SELENE
                                          No, ma fra poco
 le vele scioglierà da' nostri lidi.
1165Or ora io stessa il vidi
 verso i legni fugaci
 sollecito condurre i suoi seguaci.
 DIDONE
 Che infedeltà! Che sconoscenza! Oh dei!
 Un esule infelice...
1170Un mendico stranier... Ditemi voi
 se più barbaro cor vedeste mai?
 E tu, cruda Selene,
 partir lo vedi ed arrestar nol sai?
 SELENE
 Fu vana ogni mia cura.
 DIDONE
1175Vanne, Osmida e proccura
 che resti Enea per un momento solo.
 OSMIDA
 Ad ubbidirti io volo. (Parte)
 
 SCENA X
 
 DIDONE e SELENE
 
 SELENE
 Ah! Non fidarti; Osmida
 tu non conosci ancor.
 DIDONE
                                         Lo so purtroppo.
1180A questo eccesso è giunta
 la mia sorte tiranna;
 deggio chiedere aita a chi m'inganna.
 SELENE
 Non hai fuor che in te stessa altra speranza.
 Vanne a lui, prega e piangi,
1185chi sa? Forse potrai vincer quel core.
 DIDONE
 Alle preghiere, ai pianti
 Dido scender dovrà? Dido che seppe
 dalle sidonie rive
 correr dell'onde a cimentar lo sdegno,
1190altro clima cercando ed altro regno?
 Son io, son quella ancora
 che di nuove cittadi Africa ornai,
 che il mio fasto serbai
 fra le insidie, fra l'armi e fra i perigli;
1195ed a tanta viltà tu mi consigli?
 SELENE
 O scordati il tuo grado
 o abbandona ogni speme.
 Amore e maestà non vanno insieme.
 
 SCENA XI
 
 ARASPE e detti
 
 DIDONE
 Araspe in queste soglie! (Si comincia a veder fiamme in lontananza sugli edifizi di Cartagine)
 ARASPE
                                               A te ne vengo
1200pietoso del tuo rischio. Il re sdegnato
 di Cartagine i tetti arde e ruina.
 Vedi, vedi, o regina,
 le fiamme che lontane agita il vento.
 Se tardi un sol momento
1205a placare il suo sdegno,
 un sol giorno ti toglie e vita e regno.
 DIDONE
 Restano più disastri
 per rendermi infelice?
 SELENE
                                            Infausto giorno!
 
 SCENA XII
 
 OSMIDA e detti
 
 DIDONE
 Osmida.
 OSMIDA
                   Arde d'intorno...
 DIDONE
1210Lo so; d'Enea ti chiedo.
 Che ottenesti da Enea?
 OSMIDA
                                             Partì. Lontano
 è già da queste sponde; io giunsi appena
 a ravvisar le fuggitive antenne.
 DIDONE
 Ah stolta! Io stessa, io sono
1215complice di sua fuga. Al primo istante
 arrestar lo dovea. Ritorna, Osmida,
 corri, vola sul lido, aduna insieme
 armi, navi, guerrieri;
 raggiungi l'infedele,
1220lacera i lini suoi, sommergi i legni.
 Portami fra catene
 quel traditore avvinto;
 e se vivo non puoi, portalo estinto.
 OSMIDA
 Tu pensi a vendicarti e cresce intanto
1225la sollecita fiamma.
 DIDONE
                                      È ver, corriamo.
 Io voglio... Ah no... Restate...
 Ma la vostra dimora...
 Io mi confondo... E non partisti ancora?
 OSMIDA
 Eseguisco i tuoi cenni. (Parte)
 
 SCENA XIII
 
 DIDONE, SELENE, ARASPE
 
 ARASPE
                                             Al tuo periglio
1230pensa, o Didone.
 SELENE
                                  E pensa
 a ripararne il danno.
 DIDONE
 Non fo poco s'io vivo in tanto affanno.
 Va' tu, cara Selene,
 provvedi, ordina, assisti in vece mia.
1235Non lasciarmi, se m'ami, in abbandono.
 SELENE
 Ah che di te più sconsolata io sono! (Parte)
 
 SCENA XIV
 
 DIDONE ed ARASPE
 
 ARASPE
 E tu qui resti ancor? Né ti spaventa
 l'incendio che s'avanza?
 DIDONE
 Perduta ogni speranza,
1240non conosco timor. Ne' petti umani
 il timore e la speme
 nascono in compagnia, muoiono insieme.
 ARASPE
 Il tuo scampo desio. Vederti esposta
 a tal rischio mi spiace.
 DIDONE
1245Araspe, per pietà lasciami in pace. (Araspe parte)
 
 SCENA XV
 
 DIDONE, poi OSMIDA
 
 DIDONE
 I miei casi infelici
 favolose memorie un dì saranno.
 E forse diverranno
 soggetti miserabili e dolenti
1250alle tragiche scene i miei tormenti.
 OSMIDA
 È perduta ogni speme.
 DIDONE
 Così presto ritorni?
 OSMIDA
                                       Invano, oh dio!
 tentai passar dal tuo soggiorno al lido.
 Tutta del moro infido
1255il minaccioso stuol Cartago inonda.
 Fra le strida e i tumulti
 agl'insulti degli empi
 son le vergini esposte, aperti i tempi;
 né più desta pietade
1260o l'immatura o la cadente etade.
 DIDONE
 Dunque alla mia ruina
 più riparo non v'è? (Si comincia a vedere il fuoco nella reggia)
 
 SCENA XVI
 
 SELENE e detti
 
 SELENE
                                       Fuggi, o regina.
 Son vinti i tuoi custodi;
 non ci resta difesa.
1265Dalla cittade accesa
 passan le fiamme alla tua reggia in seno
 e di fumo e faville è il ciel ripieno.
 DIDONE
 Andiam, si cerchi altrove
 per noi qualche soccorso.
 OSMIDA
                                                E come?
 SELENE
                                                                  E dove?
 DIDONE
1270Venite, anime imbelli,
 se vi manca valore,
 imparate da me come si muore.
 
 SCENA XVII
 
 IARBA con guardie e detti
 
 IARBA
 Fermati.
 DIDONE
                    (Oh dei!)
 IARBA
                                        Dove così smarrita?
 Forse al fedel troiano
1275corri a stringer la mano?
 Va' pure, affretta il piede,
 che al talamo reale ardon le tede.
 DIDONE
 Lo so, quest'è il momento
 delle vendette tue; sfoga il tuo sdegno,
1280or che ogn'altro sostegno il ciel mi fura.
 IARBA
 Già ti difende Enea, tu sei sicura.
 DIDONE
 E ben sarai contento.
 Mi volesti infelice? Eccomi sola,
 tradita, abbandonata,
1285senza Enea, senza amici e senza regno.
 Debole mi volesti? Ecco Didone
 ridotta alfine a lagrimar. Non basta?
 Mi vuoi supplice ancor? Sì; de' miei mali
 chiedo a Iarba ristoro;
1290da Iarba per pietà la morte imploro.
 IARBA
 (Cedon gli sdegni miei).
 SELENE
 (Giusti numi, pietà!)
 OSMIDA
                                          (Soccorso, o dei!)
 IARBA
 E pur Didone, e pure
 sì barbaro non son qual tu mi credi.
1295Del tuo pianto ho pietà, meco ne vieni.
 L'offese io ti perdono
 e mia sposa ti guido al letto e al trono.
 DIDONE
 Io sposa d'un tiranno,
 d'un empio, d'un crudel, d'un traditore
1300che non sa che sia fede,
 non conosce dover, non cura onore?
 S'io fossi così vile,
 saria giusto il mio pianto;
 no, la disgrazia mia non giunse a tanto.
 IARBA
1305In sì misero stato insulti ancora?
 Olà, miei fidi, andate;
 s'accrescano le fiamme. In un momento
 si distrugga Cartago e non vi resti
 orma d'abitator che la calpesti. (Partono due guardie)
 SELENE
1310Pietà del nostro affanno.
 IARBA
 Or potrai con ragion dirmi tiranno.
 
    Cadrà fra poco in cenere
 il tuo nascente impero
 e ignota al passeggiero
1315Cartagine sarà.
 
    Se a te del mio perdono
 meno è la morte acerba,
 non meriti superba
 soccorso né pietà. (Parte)
 
 SCENA XVIII
 
 DIDONE, SELENE e OSMIDA
 
 OSMIDA
1320Cedi a Iarba, o Didone.
 SELENE
 Conserva con la tua la nostra vita.
 DIDONE
 Solo per vendicarmi
 del traditore Enea,
 ch'è la prima cagion de' mali miei,
1325l'aure vitali io respirar vorrei.
 Ah! Faccia il vento almeno,
 facciano almen gli dei le mie vendette.
 E folgori e saette
 e turbini e tempeste
1330rendano l'aure e l'onde a lui funeste.
 Vada rammingo e solo; e la sua sorte
 così barbara sia
 che si riduca ad invidiar la mia.
 SELENE
 Deh modera il tuo sdegno; anch'io l'adoro
1335e soffro il mio tormento.
 DIDONE
                                               Adori Enea?
 SELENE
 Sì, ma per tua cagione...
 DIDONE
                                               Ah disleale!
 Tu rivale al mio amor?
 SELENE
                                            Se fui rivale,
 ragion non hai...
 DIDONE
                                 Dagli occhi miei t'invola,
 non accrescer più pene
1340ad un cor disperato.
 SELENE
 (Misera donna, ove la guida il fato!) (Parte)
 
 SCENA XIX
 
 DIDONE e OSMIDA
 
 OSMIDA
 Crescon le fiamme e tu fuggir non curi?
 DIDONE
 Mancano più nemici? Enea mi lascia,
 trovo Selene infida,
1345Iarba m'insulta e mi tradisce Osmida.
 Ma che feci, empi numi? Io non macchiai
 di vittime profane i vostri altari;
 né mai di fiamma impura
 feci l'are fumar per vostro scherno.
1350Dunque perché congiura
 tutto il ciel contro me, tutto l'inferno?
 OSMIDA
 Ah! Pensa a te, non irritar gli dei.
 DIDONE
 Che dei? Son nomi vani,
 son chimere sognate o ingiusti sono.
 OSMIDA
1355(Gelo a tanta empietade e l'abbandono). (Parte. Cadono alcune fabbriche e si vedono crescer le fiamme nella reggia)
 
 SCENA ULTIMA
 
 DIDONE sola
 
 DIDONE
 Ah che dissi, infelice? A qual eccesso
 mi trasse il mio furore?
 Oh dio! Cresce l'orrore. Ovunque io miro,
 mi vien la morte e lo spavento in faccia;
1360trema la reggia e di cader minaccia.
 Selene, Osmida, ah! tutti,
 tutti cedeste alla mia sorte infida;
 non v'è chi mi soccorra o chi m'uccida.
 
    Vado... Ma dove? Oh dio!
1365Resto... Ma poi... che fo?
 Dunque morir dovrò
 senza trovar pietà?
 
 E v'è tanta viltà nel petto mio?
 No no; si mora e l'infedele Enea
1370abbia nel mio destino
 un augurio funesto al suo cammino.
 Precipiti Cartago,
 arda la reggia e sia
 il cenere di lei la tomba mia. (Dicendo l’ultime parole corre Didone a precipitarsi disperata e furiosa nelle ardenti ruine della reggia; e si perde fra i globi di fiamme, di faville e di fumo che si sollevano alla sua caduta. Nel tempo medesimo su l’ultimo orizzonte comincia a gonfiarsi il mare e ad avanzarsi lentamente verso la reggia, tutto adombrato al di sopra da dense nuvole e secondato dal tumulto di strepitosa sinfonia. Nell’avvicinarsi all’incendio a proporzione della maggior resistenza del fuoco, va crescendo la violenza dell’acque. Il furioso alternar dell’onde, il frangersi ed il biancheggiar di quelle nell’incontro delle opposte ruine, lo spesso fragor de’ tuoni, l’interrotto lume de’ lampi e quel continuo muggito marino, che suole accompagnar le tempeste, rappresentano l’ostinato contrasto dei due nemici elementi. Trionfando finalmente per tutto sul foco estinto le acque vincitrici, si rasserena improvvisamente il cielo, si dileguano le nubi, si cangia l’orrida in lieta sinfonia e dal seno dell’onde già placate e tranquille sorge la ricca e luminosa reggia di Nettuno. Nel mezzo di quella assiso nella sua lucida conca, tirata da mostri marini e circondata da festive schiere di nereidi, di sirene e di tritoni, comparisce il nume che appoggiato al gran tridente parla nel seguente tenore)
 
 NETTUNO
1375Se alla discordia antica
 ritornar gli elementi, astri benigni
 del ciel d'Iberia, in questo dì vedete,
 non vi rechi stupor. Di merto eguali
 bella gara d'onor ci fa rivali.
1380Se l'emulo Vulcano
 qui degl'incendi suoi
 fa spettacolo a voi, per qual cagione
 dovrà sì nobil peso
 a me nume dell'acque esser conteso?
1385Perché ceder dovrei? S'ei tuona in campo
 talor da' cavi bronzi
 dell'ira vostra esecutor fedele,
 della vostra giustizia
 fedele ognora esecutore anch'io
1390porto a' mondi remoti
 le vostre leggi; e ne riporto i voti.
 Onde a ragion pretesi
 parte alla gloria; onde a ragion costrinsi
 nell'illustre contesa
1395a fremer le procelle in mia difesa.
 
    Tacete, o mie procelle,
 di questo soglio al piè,
 or che il rivale a me
 cedé la palma.
 
1400   E dell'ibere stelle
 al fausto balenar
 tutt'i regni del mar
 tornino in calma.
 
 IL FINE