Ezio, Parigi, Quillau, 1755

 ATTO PRIMO
 
 SCENA PRIMA
 
  Parte del Foro romano con trono imperiale da un lato. Vista di Roma illuminata in tempo di notte con archi trionfali ed altri apparati festivi, preparati per celebrare le feste decennali e per onorare il ritorno d’Ezio vincitore d’Attila.
 
 VALENTINIANO, MASSIMO. VARO con pretoriani e popolo
 
 MASSIMO
 Signor, mai con più fasto
 la prole di Quirino
 non celebrò d'ogni secondo lustro
 l'ultimo dì. Di tante faci il lume,
5l'applauso popolar turba alla notte
 l'ombre e i silenzi; e Roma
 al secolo vetusto
 più non invidia il suo felice Augusto.
 VALENTINIANO
 Godo ascoltando i voti
10che a mio favor sino alle stelle invia
 il popolo fedel, le pompe ammiro,
 attendo il vincitor, tutte cagioni
 di gioie a me; ma la più grande è quella
 ch'io possa offrir con la mia destra in dono
15ricco di palme alla tua figlia il trono.
 MASSIMO
 Dall'umiltà del padre
 apprese Fulvia a non bramare il soglio;
 e a non sdegnarlo apprese
 dall'istessa umiltà. Cesare imponga;
20la figlia eseguirà.
 VALENTINIANO
                                  Fulvia io vorrei
 amante più, men rispettosa.
 MASSIMO
                                                      È vano
 temer ch'ella non ami
 que' pregi in te che l'universo ammira.
 (Il mio rispetto alla vendetta aspira).
 VARO
25Ezio s'avanza. Io già le prime insegne
 veggo appressarsi.
 VALENTINIANO
                                     Il vincitor s'ascolti;
 e sia Massimo a parte
 de' doni che mi fa la sorte amica. (Valentiniano va sul trono servito da Varo)
 MASSIMO
 (Io però non oblio l'ingiuria antica).
 
 SCENA II
 
 EZIO preceduto da istromenti bellici, schiavi ed insegne de’ vinti, seguito da’ soldati vincitori e popolo, e detti
 
 EZIO
30Signor, vincemmo. Ai gelidi Trioni,
 il terror de' mortali
 fuggitivo ritorna. Il primo io sono
 che mirasse finora
 Attila impallidir. Non vide il sole
35più numerosa strage. A tante morti
 era angusto il terreno; il sangue corse
 in torbidi torrenti;
 le minacce, i lamenti
 s'udian confusi; e fra i timori e l'ire
40erravano indistinti
 i forti, i vili, i vincitori, i vinti.
 Né gran tempo dubbiosa
 la vittoria ondeggiò. Teme, dispera,
 fugge il tiranno; e cede
45di tante ingiuste prede,
 impacci al suo fuggir, l'acquisto a noi.
 Se una prova ne vuoi,
 mira le vinte schiere:
 ecco l'armi, l'insegne e le bandiere.
 VALENTINIANO
50Ezio, tu non trionfi
 d'Attila sol; nel debellarlo ancora
 vincesti i voti miei. Tu rassicuri
 su la mia fronte il vacillante alloro;
 tu il marzial decoro
55rendesti al Tebro; e deve
 alla tua mente, alla tua destra audace
 l'Italia tutta e libertade e pace.
 EZIO
 L'Italia i suoi riposi
 tutta non deve a me; v'è chi gli deve
60solo al proprio valore. All'Adria in seno
 un popolo d'eroi s'aduna e cangia
 in asilo di pace
 l'instabile elemento.
 Con cento ponti e cento
65le sparse isole unisce;
 colle moli impedisce
 all'ocean la libertà dell'onde;
 e intanto su le sponde
 stupido resta il pellegrin che vede
70di marmi adorne e gravi
 sorger le mura, ove ondeggiar le navi.
 VALENTINIANO
 Chi mai non sa qual sia
 d'Antenore la prole? È noto a noi
 che più saggia d'ogni altro
75alle prime scintille
 dell'incendio crudel, ch'Attila accese,
 lasciò i campi e le ville
 e in grembo al mar la libertà difese.
 So già quant'aria ingombra
80la novella cittade e volgo in mente
 qual può sperarsi adulta,
 se nascente è così.
 EZIO
                                    Cesare, io veggo
 i semi in lei delle future imprese;
 già s'avvezza a regnar. Sudditi i mari
85temeranno i suoi cenni; argine all'ire
 sarà de' regi; e porterà felice
 con mille vele e mille aperte al vento
 ai tiranni dell'Asia alto spavento.
 VALENTINIANO
 Gli auguri fortunati
90secondi il ciel. Fra queste braccia intanto (Scende dal trono)
 tu del cadente impero e mio sostegno
 prendi d'amore un pegno. A te non posso
 offrir che i doni tuoi. Serbami amico
 quei doni istessi; e sappi
95che fra gli acquisti miei
 il più nobile acquisto, Ezio, tu sei.
 
    Se tu la reggi al volo,
 su la tarpea pendice
 l'aquila vincitrice
100sempre tornar vedrò.
 
    Breve sarà per lei
 tutto il cammin del sole;
 e allora i regni miei
 col ciel dividerò. (Parte con Varo e pretoriani)
 
 SCENA III
 
 EZIO, MASSIMO e poi FULVIA con paggi ed alcuni schiavi
 
 MASSIMO
105Ezio, donasti assai
 alla gloria e al dover; qualche momento
 concedi all'amistà; lascia ch'io stringa
 quella man vincitrice. (Massimo prende per mano Ezio)
 EZIO
                                            Io godo, amico,
 nel rivederti e caro
110m'è l'amor tuo de' miei trionfi al paro.
 Ma Fulvia ove si cela?
 Che fa? Dov'è? Quando ciascun s'affretta
 su le mie pompe ad appagar le ciglia,
 la tua figlia non viene?
 MASSIMO
                                            Ecco la figlia.
 EZIO
115Cara, di te più degno (A Fulvia nell’uscire)
 torna il tuo sposo e al volto tuo gran parte
 deve de' suoi trofei. Fra l'armi e l'ire
 mi fu sprone egualmente
 e la gloria e l'amor; né vinto avrei,
120se premio a' miei sudori
 erano solo i trionfali allori.
 Ma come! a' dolci nomi
 e di sposo e d'amante
 ti veggio impallidir! Doppo la nostra
125lontananza crudel così m'accogli?
 Mi consoli così?
 FULVIA
                                (Che pena!) Io vengo...
 Signor...
 EZIO
                   Tanto rispetto,
 Fulvia, con me! Perché non dirmi fido,
 perché sposo non dirmi? Ah tu non sei
130per me quella che fosti.
 FULVIA
                                             Oh dio! Son quella.
 Ma senti... Ah genitor, per me favella.
 EZIO
 Massimo, non tacer.
 MASSIMO
                                        Tacqui finora,
 perché co' nostri mali a te non volli
 le gioie avvelenar. Si vive, amico,
135sotto un giogo crudele. Anche i pensieri
 imparano a servir. La tua vittoria,
 Ezio, ci toglie alle straniere offese;
 le domestiche accresce. Era il timore
 in qualche parte almeno
140a Cesare di freno; or che vincesti,
 i popoli dovranno
 più superbo soffrirlo e più tiranno.
 EZIO
 Io tal nol credo. Almeno
 la tirannide sua mi fu nascosa.
145Che pretende? Che vuol?
 MASSIMO
                                                 Vuol la tua sposa.
 EZIO
 La sposa mia! Massimo, Fulvia, e voi
 consentite a tradirmi?
 FULVIA
                                            Aimè!
 MASSIMO
                                                          Qual arte,
 qual consiglio adoprar? Vuoi che l'esponga,
 negandola al suo trono,
150d'un tiranno al piacer? Vuoi che su l'orme
 di Virginio io rinnovi,
 per serbarla pudica,
 l'esempio in lei della tragedia antica?
 Ah tu solo potresti
155frangere i nostri ceppi,
 vendicare i tuoi torti. Arbitro sei
 del popolo e dell'armi. A Roma oppressa,
 all'amor tuo tradito
 dovresti una vendetta. Alfin tu sai
160che non si svena al cielo
 vittima più gradita
 d'un empio re.
 EZIO
                              Che dici mai! L'affanno
 vince la tua virtù. Giudice ingiusto
 delle cose è il dolor. Sono i monarchi
165arbitri della terra,
 di loro è il cielo. Ogni altra via si tenti
 ma non l'infedeltade.
 MASSIMO
                                          Anima grande, (Massimo abbraccia Ezio)
 al par del tuo valore
 ammiro la tua fé che più costante
170nelle offese diviene.
 (Cangiar favella e simular conviene).
 FULVIA
 Ezio così tranquillo
 la sua Fulvia abbandona ad altri in braccio?
 EZIO
 Tu sei pur d'ogni laccio
175disciolta ancora. Io parlerò; vedrai
 tutto cangiar d'aspetto.
 FULVIA
                                             Oh dio! Se parli,
 temo per te.
 EZIO
                          L'imperator finora
 dunque non sa ch'io t'amo?
 MASSIMO
                                                     Il vostro amore
 per tema io gli celai.
 EZIO
                                        Questo è l'errore.
180Cesare non ha colpa; al nome mio
 avria cangiato affetto. Opra da saggio
 l'irritarmi non è.
 FULVIA
                                  Tanto ti fidi?
 Ezio, mille timori
 mi turban l'alma. È troppo amante Augusto;
185troppo ardente tu sei. Rifletti, oh dio,
 pria di parlar. Qualche funesto evento
 mi presagisce il cor. Nacqui infelice
 e sperar non mi lice
 che la sorte per me giammai si cangi.
 EZIO
190Son vincitor; sai che t'adoro; e piangi?
 
    Pensa a serbarmi, o cara,
 i dolci affetti tuoi;
 amami e lascia poi
 ogni altra cura a me.
 
195   Tu mi vuoi dir col pianto
 che resti in abbandono.
 No, così vil non sono;
 e meco ingrato tanto
 no, Cesare non è. (Parte)
 
 SCENA IV
 
 MASSIMO e FULVIA
 
 FULVIA
200È tempo, o genitore,
 che uno sfogo conceda al mio rispetto.
 Tu pria d'Ezio all'affetto
 prometti la mia destra; indi m'imponi
 ch'io soffra, ch'io lusinghi
205di Cesare l'amore e m'assicuri
 che di lui non sarò. Servo al tuo cenno;
 credo alla tua promessa; e quando spero
 d'Ezio stringer la mano,
 ti sento dir che lo sperarlo è vano.
 MASSIMO
210Io d'ingannarti, o figlia,
 mai non ebbi il pensier. T'accheta; alfine
 non è il peggior de' mali
 il talamo d'Augusto.
 FULVIA
                                       E soffrirai
 ch'abbia sposa la figlia
215chi della tua consorte
 insultò l'onestà? Così ti scordi
 l'offese dell'onor? Così t'abbagli
 del trono allo splendor?
 MASSIMO
                                             Vieni al mio seno,
 degna parte di me. Quell'odio illustre
220merita ch'io ti scopra
 ciò che dovrei celar. Sappi che ad arte
 dell'onor mio dissimulai l'offese.
 Perde l'odio palese
 il luogo alla vendetta. Ora è vicina;
225eseguirla dobbiam. Sposa al tiranno,
 tu puoi svenarlo o almeno
 agio puoi darmi a trapassargli il seno.
 FULVIA
 Che sento! E con qual fronte
 posso a Cesare offrirmi
230coll'idea di tradirlo? Il reo disegno
 mi leggerebbe in faccia. a' gran delitti
 è compagno il timor. L'alma ripiena
 tutta della sua colpa
 teme sé stessa. È qualche volta il reo
235felice sì, non mai sicuro. E poi
 vindice di sua morte
 il popolo saria.
 MASSIMO
                              L'odia ciascuno;
 vano è il timor.
 FULVIA
                               T'inganni; il volgo insano
 quel tiranno talora,
240che vivente abborrisce, estinto adora.
 MASSIMO
 Tu l'odio mi rammenti e poi dimostri
 quell'istessa freddezza
 che disapprovi in me!
 FULVIA
                                           Signor, perdona
 se libera ti parlo. Un tradimento
245io non consiglio allora
 che una viltà condanno.
 MASSIMO
                                              Io ti credea,
 Fulvia, più saggia e men soggetta a questi
 di colpa e di virtù lacci servili,
 utili all'alme vili,
250inutili alle grandi.
 FULVIA
                                    Ah non son questi
 que' semi di virtù che in me versasti
 da' miei primi vagiti infino ad ora.
 M'inganni adesso o m'ingannasti allora?
 MASSIMO
 Ogni diversa etade
255vuol massime diverse; altro a' fanciulli,
 altro agli adulti è d'insegnar permesso;
 allora io t'ingannai.
 FULVIA
                                      M'inganni adesso.
 Che l'odio della colpa,
 che l'amor di virtù nasce con noi,
260che da' principi suoi
 l'alma ha l'idea di ciò che nuoce o giova,
 mel dicesti, io lo sento, ognun lo prova.
 E se vuoi dirmi il ver, tu stesso, o padre,
 quando togliermi tenti
265l'orror d'un tradimento, orror ne senti.
 Ah se cara io ti sono,
 pensa alla gloria tua, pensa che vai...
 MASSIMO
 Taci, importuna, io t'ho sofferta assai.
 Non dar consigli o consigliar se brami,
270le tue pari consiglia.
 Rammenta ch'io son padre e tu sei figlia.
 FULVIA
 
    Caro padre, a me non dei
 rammentar che padre sei;
 io lo so; ma in questi accenti
275non ritrovo il genitor.
 
    Non son io chi ti consiglia;
 è il rispetto d'un regnante,
 è l'affetto d'una figlia,
 è il rimorso del tuo cor. (Parte)
 
 SCENA V
 
 MASSIMO solo
 
 MASSIMO
280Che sventura è la mia! Così ripiena
 di malvagi è la terra, e quando poi
 un malvagio vogl'io, son tutti eroi.
 Un oltraggiato amore
 d'Ezio gli sdegni ad irritar non basta;
285la figlia mi contrasta. Eh di riguardi
 tempo non è. Precipitare omai
 il colpo converrà. Troppo parlai.
 Pria che sorga l'aurora,
 mora Cesare, mora. Emilio il braccio
290mi presterà. Che può avvenirne? O cade
 Valentiniano estinto; e pago io sono;
 o resta in vita; ed io farò che sembri
 Ezio il fellon. Facile impresa. Augusto
 invido alla sua gloria,
295rivale all'amor suo, senz'opra mia
 il reo lo crederà. S'altro succede,
 io saprò dagli eventi
 prender consiglio. Intanto
 il commettersi al caso
300nell'estremo periglio
 è il consiglio miglior d'ogni consiglio.
 
    Il nocchier, che si figura
 ogni scoglio, ogni tempesta,
 non si lagni se poi resta
305un mendico pescator.
 
    Darsi in braccio ancor conviene
 qualche volta alla fortuna,
 che sovente in ciò ch'avviene
 la fortuna ha parte ancor. (Parte)
 
 SCENA VI
 
 Camere imperiali istoriate di pitture.
 
 ONORIA e VARO
 
 ONORIA
310Del vincitor ti chiedo,
 non delle sue vittorie; esse abbastanza
 note mi son. Con qual sembiante accolse
 l'applauso popolar? Serbava in volto
 la guerriera fierezza? Il suo trionfo
315gli accrebbe fasto o mansueto il rese?
 Quello narrami, o Varo, e non l'imprese.
 VARO
 Onoria, a me perdona
 se degli acquisti suoi, piucché di lui
 la germana d'Augusto
320curiosa io credei. Sembrano queste
 sì minute richieste
 d'amante più che di sovrana.
 ONORIA
                                                       È troppa
 questa del nostro sesso
 misera servitù! Due volte appena
325s'ode da' labbri nostri
 un nome replicar che siamo amanti.
 Parlano tanti e tanti
 del suo valor, delle sue gesta e vanno
 d'Ezio incontro al ritorno; Onoria sola
330nel soggiorno è rimasta;
 non v'accorse, nol vide; e pur non basta.
 VARO
 Un soverchio ritegno
 anche d'amore è segno.
 ONORIA
                                             Alla tua fede,
 al tuo lungo servir tollero, o Varo,
335di parlarmi così. Ma la distanza,
 ch'è dal suo grado al mio, teco dovrebbe
 difendermi abbastanza.
 VARO
                                              Ognuno ammira
 d'Ezio il valor; Roma l'adora; il mondo
 pieno è del nome suo; fino i nemici
340ne parlan con rispetto;
 ingiustizia saria negarli affetto.
 ONORIA
 Giacché tanto ti mostri
 ad Ezio amico, il suo poter non devi
 esagerar così. Cesare è troppo
345d'indole sospettosa.
 Vantandolo al germano, ufficio grato
 all'amico non rendi.
 Chi sa? Potrebbe un dì... Varo, m'intendi.
 VARO
 Io, che son d'Ezio amico,
350più cauto parlerò; ma tu, se l'ami,
 mostrati, o principessa,
 meno ingegnosa in tormentar te stessa.
 
    Se un bell'ardire
 può innamorarti,
355perché arrossire?
 Perché sdegnarti
 di quello strale
 che ti piagò?
 
    Chi si fe' chiaro
360per tante imprese
 già grande al paro
 di te si rese;
 già della sorte
 si vendicò. (Parte)
 
 SCENA VII
 
 ONORIA sola
 
 ONORIA
365Importuna grandezza
 tiranna degli affetti, e perché mai
 ci neghi, ci contrasti
 la libertà d'un ineguale amore,
 se a difender non basti il nostro core?
 
370   Quanto mai felici siete,
 innocenti pastorelle,
 che in amor non conoscete
 altra legge che l'amor.
 
    Ancor io sarei felice,
375se potessi all'idol mio
 palesar, come a voi lice,
 il desio di questo cor. (Parte)
 
 SCENA VIII
 
 VALENTINIANO e MASSIMO
 
 VALENTINIANO
 Ezio sappia ch'io bramo
 seco parlar, che qui l'attendo. (Ad una comparsa che ricevuto l’ordine parte) Amico,
380comincia ad adombrarmi
 la gloria di costui; ciascun mi parla
 delle conquiste sue; Roma lo chiama
 il suo liberator; egli sé stesso
 troppo conosce. Assicurarmi io deggio
385della sua fedeltà. Voglio d'Onoria
 al talamo inalzarlo, acciò che sia
 suo premio il nodo e sicurezza mia.
 MASSIMO
 Veramente per lui giunge all'eccesso
 l'idolatria del volgo; omai si scorda
390quasi del suo sovrano.
 E un suo cenno potria...
 Basta, credo che sia
 Ezio fedele; e 'l dubitarne è vano.
 Se però tal non fosse, a me parrebbe
395mal sicuro riparo
 tanto inalzarlo.
 VALENTINIANO
                              Un sì gran dono ammorza
 l'ambizion d'un'alma.
 MASSIMO
                                           Anzi l'accende.
 Quando è vasto l'incendio, è l'onda istessa
 alimento alla fiamma.
 VALENTINIANO
                                           E come io spero
400sicurezza miglior? Vuoi ch'io m'impegni
 su l'orme de' tiranni, e ch'io divenga
 all'odio universale oggetto e segno?
 MASSIMO
 La prima arte del regno
 è il soffrir l'odio altrui. Giova al regnante
405più l'odio che l'amor. Con chi l'offende
 ha più ragion d'esercitar l'impero.
 VALENTINIANO
 Massimo, non è vero.
 Chi fa troppo temersi
 teme l'altrui timor. Tutti gli estremi
410confinano fra loro. Un dì potrebbe
 il volgo contumace
 per soverchio timor rendersi audace.
 MASSIMO
 Signor, meglio d'ogni altro
 sai l'arte di regnare. Hanno i monarchi
415un lume ignoto a noi. Parlai finora
 per zelo sol del tuo riposo; e volli
 rammentar che si deve
 ad un periglio opporsi infin ch'è lieve.
 
    Se povero il ruscello
420mormora lento e basso,
 un ramoscello, un sasso
 quasi arrestar lo fa.
 
    Ma se alle sponde poi
 gonfio d'umor sovrasta,
425argine oppor non basta;
 e co' ripari suoi
 torbido al mar sen va. (Parte)
 
 SCENA IX
 
 VALENTINIANO, poi EZIO
 
 VALENTINIANO
 Del ciel felice dono
 sembra il regno a chi sta lunge dal trono;
430ma sembra il trono istesso
 dono infelice a chi gli sta dappresso.
 EZIO
 Eccomi al cenno tuo.
 VALENTINIANO
                                        Duce, un momento
 non posso tollerar d'esserti ingrato.
 Il Tebro vendicato,
435la mia grandezza, il mio riposo e tutto
 del senno tuo, del tuo valore è frutto.
 Se prodigo ti sono
 anche del soglio mio rendo e non dono;
 onde in tanta ricchezza, allor che bramo
440ricompensare un vincitore amico,
 trovo, chi 'l crederia? ch'io son mendico.
 EZIO
 Signor, quando fra l'armi
 a pro di Roma, a pro di te sudai,
 nell'opra istessa io la mercé trovai.
445Che mi resta a bramar? L'amor d'Augusto
 quando ottener poss'io,
 basta questo al mio cor.
 VALENTINIANO
                                              Non basta al mio.
 Vuo' che 'l mondo conosca
 che se premiarti appieno
450Cesare non poté, tentollo almeno.
 Ezio, il cesareo sangue
 s'unisca al tuo. D'affetto
 darti pegno maggior non posso mai.
 Sposo d'Onoria al nuovo dì sarai.
 EZIO
455(Che ascolto!)
 VALENTINIANO
                             Non rispondi?
 EZIO
                                                          Onor sì grande
 mi sorprende a ragion. D'Onoria il grado
 chiede un re, chiede un trono;
 ed io regni non ho, suddito io sono.
 VALENTINIANO
 Ma un suddito tuo pari
460è maggior d'ogni re. Se non possiedi,
 tu doni i regni; e 'l possedergli è caso;
 il donargli è virtù.
 EZIO
                                    La tua germana,
 signor, deve alla terra
 progenie di monarchi; e meco unita
465vassalli produrrà. Sai che con questi
 ineguali imenei
 ella a me scende, io non m'inalzo a lei.
 VALENTINIANO
 Il mondo e la germana
 nell'illustre imeneo punto non perde.
470E se perdesse ancor, quando all'imprese
 d'un eroe corrispondo,
 non può lagnarsi e la germana e 'l mondo.
 EZIO
 No, consentir non deggio
 che comparisca Augusto,
475per esser grato ad uno, a tanti ingiusto.
 VALENTINIANO
 Duce, fra noi si parli
 con franchezza una volta. Il tuo rispetto
 è un pretesto al rifiuto. Alfin che brami?
 Forse è piccolo il dono? O vuoi per sempre
480Cesare debitor? Superbo al paro
 di chi troppo richiede
 è colui che ricusa ogni mercede.
 EZIO
 E ben, la tua franchezza
 sia d'esempio alla mia. Signor, tu credi
485premiarmi e mi punisci.
 VALENTINIANO
                                                Io non sapea
 che a te fosse castigo
 una sposa germana al tuo regnante.
 EZIO
 Non è gran premio a chi d'un'altra è amante.
 VALENTINIANO
 Dov'è questa beltà che tanto indietro
490lascia il merto d'Onoria? È a me soggetta?
 Onora i regni miei? Stringer vogl'io
 queste illustri catene.
 Spiegami il nome suo.
 EZIO
                                            Fulvia è il mio bene.
 VALENTINIANO
 Fulvia!
 EZIO
                 Appunto. (Si turba!)
 VALENTINIANO
                                                         (Oh sorte!) Ed ella
495sa l'amor tuo?
 EZIO
                             Nol credo.
 (Contro lei non s'irriti).
 VALENTINIANO
                                              Il suo consenso
 prima ottener procura;
 vedi se tel contrasta.
 EZIO
 Quello sarà mia cura, il tuo mi basta.
 VALENTINIANO
500Ma potrebbe altro amante
 ragione aver sopra gli affetti suoi.
 EZIO
 Dubitarne non puoi. Dov'è chi ardisca
 involar temerario una mercede
 alla man che di Roma il giogo scosse?
505Costui non veggo.
 VALENTINIANO
                                   E se costui vi fosse?
 EZIO
 Vedria ch'Ezio difende
 gli affetti suoi come gl'imperi altrui.
 Temer dovrebbe...
 VALENTINIANO
                                     E se foss'io costui?
 EZIO
 Saria più grande il dono,
510se costasse uno sforzo al cor d'Augusto.
 VALENTINIANO
 Ma non chiede un vassallo al suo sovrano
 uno sforzo in mercede.
 EZIO
 Ma Cesare è il sovrano, Ezio lo chiede.
 Ezio che fin ad ora
515senza premio servì; Cesare a cui
 è noto il suo dover, che i suoi riposi
 sa che gode per me, che al voler mio
 quando il soglio abbandona,
 sa che rende, e non dona, e che un momento
520non prova fortunato
 per tema sol di comparirmi ingrato.
 VALENTINIANO
 (Temerario). Credea
 nel rammentare io stesso i merti tuoi
 di scemartene il peso.
 EZIO
                                           Io gli rammento,
525quando in premio pretendo...
 VALENTINIANO
 Non più. Dicesti assai; tutto comprendo.
 
    So chi t'accese;
 basta per ora.
 Cesare intese;
530risolverà.
 
    Ma tu procura
 d'esser più saggio.
 Fra l'armi e l'ire
 giova il coraggio;
535pompa d'ardire
 qui non si fa. (Parte)
 
 SCENA X
 
 EZIO e poi FULVIA
 
 EZIO
 Vedrem se ardisce ancora
 d'opporsi all'amor mio.
 FULVIA
                                             Ti leggo in volto,
 Ezio, l'ire del cor. Forse ad Augusto
540ragionasti di me?
 EZIO
                                   Sì, ma celai
 a lui che m'ami, onde temer non dei.
 FULVIA
 Che disse alla richiesta? E che rispose?
 EZIO
 Non cedé, non s'oppose;
 si turbò, me n'avvidi a qualche segno;
545ma non osò di palesar lo sdegno.
 FULVIA
 Questo è il peggior presagio. A vendicarsi
 cauto le vie disegna
 chi ha ragion di sdegnarsi e non si sdegna.
 EZIO
 Troppo timida sei.
 
 SCENA XI
 
 ONORIA e detti
 
 ONORIA
550Ezio, gli obblighi miei
 sono immensi con te. Volle il germano
 avvilir la mia mano
 sino alla tua; ma tu però più giusto
 d'esserne indegno hai persuaso Augusto.
 EZIO
555No, l'obbligo d'Onoria
 questo non è. L'obbligo grande è quello
 ch'io fui cagion nel conservarle il soglio
 ch'or mi possa parlar con questo orgoglio.
 ONORIA
 È ver, ti deggio assai, perciò mi spiace
560che ad onta mia mi rendano le stelle
 al tuo amore infelice
 di funeste novelle apportatrice.
 Fulvia, ti vuol sua sposa (A Fulvia)
 Cesare al nuovo dì.
 FULVIA
                                      Come?
 EZIO
                                                      Che sento!
 ONORIA
565Di recartene il cenno
 egl'istesso or m'impose. Ezio, dovresti
 consolartene alfin; veder soggetto
 tutto il mondo al suo ben pure è diletto.
 EZIO
 Ah questo è troppo. A troppo gran cimento
570d'Ezio la fedeltà Cesare espone.
 Qual dritto, qual ragione
 ha sugli affetti miei? Fulvia rapirmi?
 Disprezzarmi così? Forse pretende
 ch'io lo sopporti? O pure
575vuol che Roma si faccia
 di tragedie per lui scena funesta?
 ONORIA
 Ezio minaccia e la sua fede è questa?
 EZIO
 
    Se fedele mi brama il regnante,
 non offenda quest'anima amante
580nella parte più viva del cor.
 
    Non si lagni se in tanta sventura
 un vassallo non serba misura,
 se il rispetto diventa furor. (Parte)
 
 SCENA XII
 
 ONORIA e FULVIA
 
 FULVIA
 A Cesare nascondi,
585Onoria, i suoi trasporti. Ezio è fedele.
 Parla così da disperato amante.
 ONORIA
 Mostri, Fulvia, al sembiante
 troppa pietà per lui, troppo timore.
 Fosse mai la pietà segno d'amore?
 FULVIA
590Principessa, m'offendi. Assai conosco
 a chi deggio l'affetto.
 ONORIA
 Non ti sdegnar così, questo è un sospetto.
 FULVIA
 Se prestar si dovesse
 tanta fede ai sospetti, Onoria ancora
595dubitar ne faria. Da' sdegni tuoi
 come soffri un rifiuto anch'io m'avvedo;
 dovrei crederti amante; e pur nol credo.
 ONORIA
 Anch'io, quando m'oltraggi
 con un sospetto al fasto mio nemico,
600dovrei dirti arrogante; e pur nol dico.
 
    Ancor non premi il soglio
 e già nel tuo sembiante
 sollecito l'orgoglio
 comincia a comparir.
 
605   Così tu mi rammenti
 che i fortunati eventi
 son più d'ogni sventura
 difficili a soffrir. (Parte)
 
 SCENA XIII
 
 FULVIA sola
 
 FULVIA
 Via, per mio danno aduna
610o barbara fortuna
 sempre nuovi disastri. Onoria irrita,
 rendi Augusto geloso, Ezio infelice;
 toglimi il padre ancor. Toglier giammai
 l'amor non mi potrai, che a tuo dispetto
615sarà per questo core
 trionfo di costanza il tuo rigore.
 
    Finché un zeffiro soave
 tien del mar l'ira placata,
 ogni nave è fortunata,
620è felice ogni nocchier.
 
    È ben prova di coraggio
 incontrar l'onde funeste,
 navigar fra le tempeste
 e non perdere il sentier.
 
 Fine dell’atto primo