Olimpiade, Torino, Reale, 1757

 SCENA V
 
 CLISTENE con seguito e dette
 
 CLISTENE
 Figlia, tutto è compito. I nomi accolti,
 le vittime svenate, al gran cimento
 l'ora è prescritta; e più la pugna ormai
245senza offesa de' numi,
 della pubblica fé, dell'onor mio
 differir non si può.
 ARISTEA
                                      (Speranze addio).
 CLISTENE
 Ragion d'esser superba
 io ti darei, se ti dicessi tutti
250quei che a pugnar per te vengono a gara.
 V'è Olinto di Megara;
 v'è Clearco di Sparta, Ati di Tebe,
 Erilo di Corinto; e fin di Creta
 Licida venne.
 ARGENE
                            Chi?
 CLISTENE
                                        Licida, il figlio
255del re cretense.
 ARISTEA
                               Ei pur mi brama?
 CLISTENE
                                                                  Ei viene
 con gli altri a prova.
 ARGENE
                                       (Ah! Si scordò d'Argene).
 CLISTENE
 Sieguimi, figlia.
 ARISTEA
                                 Ah! Questa pugna, o padre,
 si differisca.
 CLISTENE
                          Un impossibil chiedi;
 dissi perché. Ma la cagion non trovo
260di tal richiesta.
 ARISTEA
                               A divenir soggette
 sempre v'è tempo. È d'imeneo per noi
 pesante il giogo; e già senz'esso abbiamo
 che soffrire abbastanza
 nella nostra servil sorte infelice.
 CLISTENE
265Dice ognuna così; ma il ver non dice.
 
    Del destin non vi lagnate,
 se vi rese a noi soggette;
 siete serve ma regnate
 nella vostra servitù.
 
270   Forti noi, voi belle siete;
 e vincete in ogni impresa,
 quando vengono a contesa
 la bellezza e la virtù. (Parte)