Olimpiade, Parigi, Hérissant, 1780

 SCENA IV
 
  Vasta campagna alle falde d’un monte, sparsa di capanne pastorali. Ponte rustico sul fiume Alfeo, composto di tronchi d’alberi rozzamente commessi. Veduta della città d’Olimpia in lontano, interrotta da poche piante che adornano la pianura ma non l’ingombrano.
 
 ARGENE in abito di pastorella, sotto nome di Licori, tessendo ghirlande. Coro di ninfe e pastori, tutti occupati in lavori pastorali. Poi ARISTEA con seguito
 
 CORO
 
    Oh care selve, oh cara
 felice libertà!
 
 ARGENE
 
    Qui se un piacer si gode,
 parte non v'ha la frode
120ma lo condisce a gara
 amore e fedeltà.
 
 CORO
 
    Oh care selve, oh cara
 felice libertà!
 
 ARGENE
 
    Qui poco ognun possiede
125e ricco ognun si crede;
 né, più bramando, impara
 che cosa è povertà.
 
 CORO
 
    Oh care selve, oh cara
 felice libertà!
 
 ARGENE
 
130   Senza custodi o mura
 la pace è qui sicura,
 che l'altrui voglia avara
 onde allettar non ha.
 
 CORO
 
    Oh care selve, oh cara
135felice libertà!
 
 ARGENE
 
    Qui gl'innocenti amori
 di ninfe...
 
                     Ecco Aristea. (S’alza da sedere)
 ARISTEA
                                               Siegui, o Licori.
 ARGENE
 Già il rozzo mio soggiorno
 torni a render felice, o principessa?
 ARISTEA
140Ah fuggir da me stessa
 potessi ancor, come dagli altri! Amica,
 tu non sai qual funesto
 giorno per me sia questo.
 ARGENE
                                                 È questo un giorno
 glorioso per te. Di tua bellezza
145qual può l'età futura
 prova aver più sicura? A conquistarti
 nell'olimpico agone
 tutto il fior della Grecia oggi s'espone.
 ARISTEA
 Ma chi bramo non v'è. Deh si proponga
150men funesta materia
 al nostro ragionar. Siedi, Licori;
 gl'interrotti lavori (Siede Aristea)
 riprendi e parla. Incominciasti un giorno
 a narrarmi i tuoi casi. Il tempo è questo
155di proseguirli. Il mio dolor seduci;
 raddolcisci, se puoi,
 i miei tormenti in rammentando i tuoi.
 ARGENE
 Se avran tanta virtù, senza mercede
 non va la mia costanza. A te già dissi (Siede)
160che Argene è il nome mio, che in Creta io nacqui
 d'illustre sangue e che gli affetti miei
 fur più nobili ancor de' miei natali.
 ARISTEA
 So fin qui.
 ARGENE
                       De' miei mali
 ecco il principio. Del cretense soglio
165Licida il regio erede
 fu la mia fiamma ed io la sua. Celammo
 prudenti un tempo il nostro amor; ma poi
 l'amor s'accrebbe e, come in tutti avviene,
 la prudenza scemò. Comprese alcuno
170il favellar de' nostri sguardi; ad altri
 i sensi ne spiegò. Di voce in voce
 tanto in breve si stese
 il maligno romor che 'l re l'intese;
 se ne sdegnò, sgridonne il figlio; a lui
175vietò di più vedermi e col divieto
 glien'accrebbe il desio, che aggiunge il vento
 fiamme alle fiamme e più superbo un fiume
 fanno gli argini opposti. Ebro d'amore
 freme Licida e pensa
180di rapirmi e fuggir. Tutto il disegno
 spiega in un foglio; a me l'invia. Tradisce
 la fede il messo e al re lo reca. È chiuso
 in custodito albergo
 il mio povero amante. A me s'impone
185che a straniero consorte
 porga la destra. Io lo ricuso. Ognuno
 contro me si dichiara. Il re minaccia;
 mi condannan gli amici; il padre mio
 vuol che al nodo acconsenta. Altro riparo
190che la fuga o la morte
 al mio caso non trovo. Il men funesto
 credo il più saggio e l'eseguisco. Ignota
 in Elide pervenni. In queste selve
 mi proposi abitar. Qui fra pastori
195pastorella mi finsi e or son Licori;
 ma serbo al caro bene
 fido in sen di Licori il cor d'Argene.
 ARISTEA
 Inver mi fai pietà. Ma la tua fuga
 non approvo però. Donzella e sola
200cercar contrade ignote,
 abbandonar...
 ARGENE
                             Dunque dovea la mano
 a Megacle donar?
 ARISTEA
                                   Megacle? (Oh nome!)
 Di qual Megacle parli?
 ARGENE
                                            Era lo sposo
 questi che il re mi destinò. Dovea
205dunque obbliar...
 ARISTEA
                                   Ne sai la patria?
 ARGENE
                                                                   Atene.
 ARISTEA
 Come in Creta pervenne?
 ARGENE
                                                  Amor vel trasse,
 com'ei stesso dicea, ramingo, afflitto.
 Nel giungervi fu colto
 da stuol di masnadieri; e oppresso ormai
210la vita vi perdea. Licida a sorte
 vi si avvenne e il salvò. Quindi fra loro
 fidi amici fur sempre. Amico al figlio,
 fu noto al padre; e dal reale impero
 destinato mi fu, perché straniero.
 ARISTEA
215Ma ti ricordi ancora
 le sue sembianze?
 ARGENE
                                    Io l'ho presente. Avea
 bionde le chiome, oscuro il ciglio, i labbri
 vermigli sì ma tumidetti e forse
 oltre il dover, gli sguardi
220lenti e pietosi, un arrossir frequente,
 un soave parlar... Ma... principessa,
 tu cambi di color! Che avvenne?
 ARISTEA
                                                             Oh dio!
 Quel Megacle che pingi è l'idol mio.
 ARGENE
 Che dici!
 ARISTEA
                    Il vero. A lui,
225lunga stagion già mio segreto amante,
 perché nato in Atene
 negommi il padre mio né volle mai
 conoscerlo, vederlo,
 ascoltarlo una volta. Ei disperato
230da me partì; più nol rividi; e in questo
 punto da te so de' suoi casi il resto.
 ARGENE
 Inver sembrano i nostri
 favolosi accidenti.
 ARISTEA
                                    Ah s'ei sapesse
 ch'oggi per me qui si combatte!
 ARGENE
                                                            In Creta
235a lui voli un tuo servo; e tu procura
 la pugna differir.
 ARISTEA
                                  Come?
 ARGENE
                                                  Clistene
 è pur tuo padre; ei qui presiede eletto
 arbitro delle cose; ei può, se vuole...
 ARISTEA
 Ma non vorrà.
 ARGENE
                             Che nuoce,
240principessa, il tentarlo?
 ARISTEA
                                              E ben, Clistene
 vadasi a ritrovar. (S’alzano)
 ARGENE
                                   Fermati; ei viene.