Demofoonte, Vienna, van Ghelen, 1733

 SCENA II
 
 DIRCEA e poi TIMANTE
 
 DIRCEA
 Se 'l mio principe almeno
 quindi lungi non fosse... Oh ciel! Che miro?
 Ei viene a me!
 TIMANTE
                              Dolce consorte...
 DIRCEA
                                                              Ah taci,
 potrebbe udirti alcun. Rammenta, o caro,
55che qui non resta in vita
 suddita sposa a regio figlio unita.
 TIMANTE
 Non temer mia speranza. Alcun non ode;
 io ti difendo.
 DIRCEA
                           E quale amico nume
 ti rende a me?
 TIMANTE
                              Del genitore un cenno
60mi richiama dal campo
 né la cagion ne so. Ma tu mia vita
 m'ami ancor? Ti ritrovo
 qual ti lasciai? Pensasti a me?
 DIRCEA
                                                         Ma come
 chieder lo puoi? Puoi dubitarne?
 TIMANTE
                                                              Oh dio!
65Non dubito ben mio; lo so che m'ami.
 Ma da quel dolce labbro
 troppo, soffrilo in pace,
 sentirlo replicar troppo mi piace.
 Ed il picciolo Olinto, il caro pegno
70de' nostri casti amori
 che fa? Cresce in bellezza?
 A qual di noi somiglia?
 DIRCEA
                                             Egli incomincia
 già col tenero piede
 orme incerte a segnar. Tutta ha nel volto
75quella dolce fierezza
 che tanto in te mi piacque. Allor che ride,
 par l'immagine tua. Lui rimirando,
 te rimirar mi sembra. Oh quante volte
 credula troppo al dolce error del ciglio
80mi strinsi al petto il genitor nel figlio.
 TIMANTE
 Ah dov'è? Sposa amata,
 guidami a lui; fa' ch'io lo vegga.
 DIRCEA
                                                            Affrena
 signor per ora il violento affetto.
 In custodita parte
85egli vive celato; e andarne a lui
 non è sempre sicuro. Oh quanta pena
 costa il nostro segreto!
 TIMANTE
                                           Ormai son stanco
 di finger più, di tremar sempre. Io voglio
 cercar oggi una via
90d'uscir di tante angustie.
 DIRCEA
                                                Oggi sovrasta
 altra angustia maggiore. Il giorno è questo
 dell'annuo sacrificio. Il nome mio
 sarà esposto alla sorte. Il re lo vuole,
 s'oppone il padre e della lor contesa
95temo più che del resto.
 TIMANTE
                                            È noto forse
 al padre tuo che sei mia sposa?
 DIRCEA
                                                           Il cielo
 nol voglia mai. Più non vivrei.
 TIMANTE
                                                         M'ascolta.
 Proporrò che di nuovo
 si consulti l'oracolo. Acquistiamo
100tempo a pensar.
 DIRCEA
                                 Questo è già fatto.
 TIMANTE
                                                                    E come
 rispose?
 DIRCEA
                   Oscuro e breve.
 «Con voi del ciel si placherà lo sdegno,
 quando noto a sé stesso
 fia l'innocente usurpator d'un regno».
 TIMANTE
105Che tenebre son queste?
 DIRCEA
                                                E se dall'urna
 esce il mio nome? Io che farò? La morte
 mio spavento non è; Dircea saprebbe
 per la patria morir. Ma Febo chiede
 d'una vergine il sangue. Io moglie e madre
110come accostarmi all'ara? O parli o taccia
 colpevole mi rendo.
 Il ciel se taccio, il re se parlo offendo.
 TIMANTE
 Sposa, ne' gran perigli
 gran coraggio bisogna. Al re conviene
115scoprir l'arcano.
 DIRCEA
                                E la funesta legge
 che a morir mi condanna?
 TIMANTE
                                                   Un re la scrisse,
 può rivocarla un re. Benché severo
 Demofoonte è padre ed io son figlio.
 Qual forza han questi nomi
120io lo so, tu lo sai. Non torno alfine
 senza merito a lui. La Scitia oppressa,
 il soggiogato Fasi
 son mie conquiste; e qualche cosa il padre
 può fare anche per me. Se ciò non basta
125saprò dinanzi a lui
 piangere, supplicar, piegarmi al suolo,
 abbracciargli le piante,
 domandargli pietà.
 DIRCEA
                                      Dubbito... Oh dio.
 TIMANTE
 Non dubbitar Dircea. Lascia la cura
130a me del tuo destin. Va'. Per tua pace
 ti stia nell'alma impresso
 che a te penso, cor mio, più che a me stesso.
 DIRCEA
 
    In te spero, o sposo amato;
 fido a te la sorte mia;
135e per te, qualunque sia,
 sempre cara a me sarà.
 
    Pur che a me nel morir mio
 il piacer non sia negato
 di vantar che tua son io
140il morir mi piacerà. (Parte)