Didone abbandonata, Torino, Reale, 1757, II

 SCENA XII
 
 IARBA e detti
 
 IARBA
 Didone, a che mi chiedi?
920Sei folle se mi credi
 dall'ira tua, da tue minacce oppresso.
 Non si cangia il mio cor, sempre è l'istesso.
 ENEA
 (Che arroganza!)
 DIDONE
                                  Deh placa
 il tuo sdegno, o signor. Tu col tacermi
925il tuo grado e 'l tuo nome,
 a gran rischio esponesti il tuo decoro.
 Ed io... Ma qui t'assidi
 e con placido volto
 ascolta i sensi miei.
 IARBA
                                       Parla, t'ascolto. (Siedono Iarba e Didone)
 ENEA
930Permettimi che ormai... (In atto di partire)
 DIDONE
                                                Fermati e siedi.
 Troppo lunghe non fian le tue dimore.
 (Resister non potrà).
 ENEA
                                         (Costanza, o core).
 IARBA
 Eh vada. Allor che teco
 Iarba soggiorna, ha da partir costui.
 ENEA
935(Ed io lo soffro?)
 DIDONE
                                  In lui
 invece d'un rival trovi un amico.
 Ei sempre a tuo favore
 meco parlò; per suo consiglio io t'amo.
 Se credi menzognero
940il labbro mio, dillo tu stesso. (Ad Enea)
 ENEA
                                                       È vero.
 IARBA
 Dunque nel re de' Mori
 altro merto non v'è che un suo consiglio?
 DIDONE
 No, Iarba; in te mi piace
 quel regio ardir che ti conosco in volto;
945amo quel cor sì forte
 sprezzator de' perigli e della morte.
 E se il ciel mi destina
 tua compagna e tua sposa...
 ENEA
                                                    Addio, regina.
 Basta che fin ad ora
950t'abbia ubbidito Enea.
 DIDONE
                                            Non basta ancora.
 Siedi per un momento.
 (Comincia a vacillar).
 ENEA
                                          (Quest'è tormento!) (Torna a sedere)
 IARBA
 Troppo tardi, o Didone,
 conosci il tuo dover. Ma pure io voglio
955donar gli oltraggi miei
 tutti alla tua beltà.
 ENEA
                                    (Che pena, o dei!)
 IARBA
 In pegno di tua fede
 dammi dunque la destra.
 DIDONE
                                                 Io son contenta. (Lentamente ed interrompendo le parole, per osservarne l’effetto in Enea)
 A più gradito laccio amor pietoso
960stringer non mi potea.
 ENEA
 Più soffrir non si può. (S’alza agitato)
 DIDONE
                                            Qual ira, Enea?
 ENEA
 E che vuoi? Non ti basta
 quanto finor soffrì la mia costanza?
 DIDONE
 Eh taci.
 ENEA
                  Che tacer? Tacqui abbastanza.
965Vuoi darti al mio rivale,
 brami ch'io tel consigli,
 tutto faccio per te; che più vorresti?
 Ch'io ti vedessi ancor fra le sue braccia?
 Dimmi che mi vuoi morto e non ch'io taccia.
 DIDONE
970Odi; a torto ti sdegni; (S’alza)
 sai che per ubbidirti...
 ENEA
                                            Intendo, intendo;
 io sono il traditor, son io l'ingrato;
 tu sei quella fedele
 che per me perderebbe e vita e soglio;
975ma tanta fedeltà veder non voglio. (Parte)