Il Demofoonte, Venezia, Bettinelli, 1733

 SCENA V
 
 TIMANTE e poi DIRCEA in bianca veste e coronata di fiori
 fra le guardie ed i ministri del tempio
 
 TIMANTE
745Gran passo è la mia fuga! Ella mi rende
 e povero e privato. Il regno e tutte
 le paterne ricchezze
 io perderò. Ma la consorte e il figlio
 vaglion di più. Proprio valor non hanno
750gli altri beni in sé stessi; e gli fa grandi
 la nostra opinion. Ma i dolci affetti
 e di padre e di sposo hanno i lor fonti
 nell'ordine del tutto. Essi non sono
 originati in noi
755dalla forza dell'uso o dalle prime
 idee di cui bambini altri ci pasce;
 già n'ha i semi nell'alma ognun che nasce.
 Fuggasi pur... Ma chi s'appressa? È forse
 il re; veggo i custodi. Ah no; vi sono
760ancor sacri ministri; e in bianche spoglie
 fra lor... Misero me! La sposa! Oh dio!
 Fermatevi. Dircea, che avvenne?
 DIRCEA
                                                              Alfine
 ecco l'ora fatale. Ecco l'estremo
 istante ch'io ti veggo. Ah prence, ah questo
765è pur l'amaro passo.
 TIMANTE
                                        E come! Il padre...
 DIRCEA
 Mi vuol morta a momenti.
 TIMANTE
                                                   Infin ch'io vivo... (Vuol snudar la spada)
 DIRCEA
 Signor, che fai? Sol contro tanti, invano
 difendi me, perdi te stesso.
 TIMANTE
                                                    È vero.
 Miglior via prenderò. (Volendo partire)
 DIRCEA
                                           Dove?
 TIMANTE
                                                          A raccorre
770quanti amici potrò. Va' pure. Al tempio
 sarò prima di te. (Come sopra)
 DIRCEA
                                   No. Pensa... Oh dio!
 TIMANTE
 Non v'è più che pensar. La mia pietade
 già diventa furor. Tremi qualunque
 oppormisi vorrà, se fosse il padre.
775Non risparmio delitti; il ferro, il fuoco
 vuo' che abbatta, consumi
 la reggia, il tempio, i sacerdoti, i numi. (Parte)