Didone abbandonata, Torino, Reale, 1757, II

 SCENA XVII
 
 IARBA con guardie e detti
 
 IARBA
 Fermati.
 DIDONE
                    (Oh dei!)
 IARBA
                                        Dove così smarrita?
 Forse al fedel troiano
1275corri a stringer la mano?
 Va' pure, affretta il piede,
 che al talamo reale ardon le tede.
 DIDONE
 Lo so, quest'è il momento
 delle vendette tue; sfoga il tuo sdegno,
1280or che ogn'altro sostegno il ciel mi fura.
 IARBA
 Già ti difende Enea, tu sei sicura.
 DIDONE
 E ben sarai contento.
 Mi volesti infelice? Eccomi sola,
 tradita, abbandonata,
1285senza Enea, senza amici e senza regno.
 Debole mi volesti? Ecco Didone
 ridotta alfine a lagrimar. Non basta?
 Mi vuoi supplice ancor? Sì; de' miei mali
 chiedo a Iarba ristoro;
1290da Iarba per pietà la morte imploro.
 IARBA
 (Cedon gli sdegni miei).
 SELENE
 (Giusti numi, pietà!)
 OSMIDA
                                          (Soccorso, o dei!)
 IARBA
 E pur Didone, e pure
 sì barbaro non son qual tu mi credi.
1295Del tuo pianto ho pietà, meco ne vieni.
 L'offese io ti perdono
 e mia sposa ti guido al letto e al trono.
 DIDONE
 Io sposa d'un tiranno,
 d'un empio, d'un crudel, d'un traditore
1300che non sa che sia fede,
 non conosce dover, non cura onore?
 S'io fossi così vile,
 saria giusto il mio pianto;
 no, la disgrazia mia non giunse a tanto.
 IARBA
1305In sì misero stato insulti ancora?
 Olà, miei fidi, andate;
 s'accrescano le fiamme. In un momento
 si distrugga Cartago e non vi resti
 orma d'abitator che la calpesti. (Partono due guardie)
 SELENE
1310Pietà del nostro affanno.
 IARBA
 Or potrai con ragion dirmi tiranno.
 
    Cadrà fra poco in cenere
 il tuo nascente impero
 e ignota al passeggiero
1315Cartagine sarà.
 
    Se a te del mio perdono
 meno è la morte acerba,
 non meriti superba
 soccorso né pietà. (Parte)