Demofoonte, Parigi, Hérissant, 1780

 SCENA V
 
 TIMANTE e poi DIRCEA in bianca veste e coronata di fiori fra le guardie ed i ministri del tempio
 
 TIMANTE
745Gran passo è la mia fuga. Ella mi rende
 e povero e privato. Il regno e tutte
 le paterne ricchezze
 io perderò. Ma la consorte e il figlio
 vaglion di più. Proprio valor non hanno
750gli altri beni in sé stessi; e li fa grandi
 la nostra opinion. Ma i dolci affetti
 e di padre e di sposo hanno i lor fonti
 nell'ordine del tutto. Essi non sono
 originati in noi
755dalla forza dell'uso o dalle prime
 idee di cui bambini altri ci pasce;
 già ne ha i semi nell'alma ognun che nasce.
 Fuggasi pur... Ma chi s'appressa? È forse
 il re; veggo i custodi. Ah no; vi sono
760ancor sacri ministri; e in bianche spoglie
 fra lor... Misero me! La sposa! Oh dio!
 Fermatevi. Dircea, che avvenne?
 DIRCEA
                                                              Alfine
 ecco l'ora fatale; ecco l'estremo
 istante ch'io ti veggo. Ah prence, ah questo
765è pur l'amaro passo!
 TIMANTE
                                        E come! Il padre...
 DIRCEA
 Mi vuol morta a momenti.
 TIMANTE
                                                   Infin ch'io vivo... (Volendo snudar la spada)
 DIRCEA
 Signor, che fai? Sol contro tanti, invano
 difendi me; perdi te stesso.
 TIMANTE
                                                     È vero.
 Miglior via prenderò. (Volendo partire)
 DIRCEA
                                           Dove?
 TIMANTE
                                                          A raccorre
770quanti amici potrò. Va' pure; al tempio
 sarò prima di te. (Come sopra)
 DIRCEA
                                   No. Pensa... Oh dio!
 TIMANTE
 Non v'è più che pensar. La mia pietade
 già diventa furor. Tremi qualunque
 oppormisi vorrà; se fosse il padre,
775non risparmio delitti. Il ferro, il fuoco
 vuo' che abbatta, consumi
 la reggia, il tempio, i sacerdoti, i numi. (Parte)