La clemenza di Tito, Parigi, Quillau, 1755

 SCENA VII
 
 TITO solo
 
 TITO
 E dove mai s'intese
1290più contumace infedeltà? Poteva
 il più tenero padre un figlio reo
 trattar con più dolcezza? Anche innocente
 d'ogn'altro error, saria di vita indegno
 per questo sol. Deggio alla mia negletta
1295disprezzata clemenza una vendetta. (Va con sdegno verso il tavolino e s’arresta)
 Vendetta! Ah Tito! E tu sarai capace
 d'un sì basso desio che rende eguale
 l'offeso all'offensor? Merita invero
 gran lode una vendetta, ove non costi
1300più che il volerla. Il torre altrui la vita
 è facoltà comune
 al più vil della terra; il darla è solo
 de' numi e de' regnanti. Eh viva... Invano
 parlan dunque le leggi? Io lor custode
1305l'eseguisco così? Di Sesto amico
 non sa Tito scordarsi? Han pur saputo
 obbliar d'esser padri e Manlio e Bruto.
 Sieguansi i grandi esempi. (Siede) Ogn'altro affetto
 d'amicizia e pietà taccia per ora.
1310Sesto è reo; Sesto mora. (Sottoscrive) Eccoci alfine
 su le vie del rigore. (S’alza) Eccoci aspersi
 di cittadino sangue e s'incomincia
 dal sangue d'un amico. Or che diranno
 i posteri di noi? Diran che in Tito
1315si stancò la clemenza
 come in Silla e in Augusto
 la crudeltà. Forse diran che troppo
 rigido io fui, ch'eran difese al reo
 i natali e l'età, che un primo errore
1320punir non si dovea, che un ramo infermo
 subito non recide
 saggio cultor, se a risanarlo invano
 molto pria non sudò, che Tito alfine
 era l'offeso e che le proprie offese,
1325senza ingiuria del giusto,
 ben poteva obliar... Ma dunque io faccio
 sì gran forza al mio cor? Né almen sicuro
 sarò ch'altri m'approvi! Ah non si lasci
 il solito camin. Viva l'amico, (Lacera il foglio)
1330benché infedele. E se accusarmi il mondo
 vuol pur di qualche errore,
 m'accusi di pietà, non di rigore. (Getta il foglio lacerato)
 Publio.