La clemenza di Tito, Torino, Reale, 1757

 SCENA PRIMA
 
 Portici.
 
 SESTO solo, col distintivo de’ congiurati sul manto
 
 SESTO
 Oh dei, che smania è questa!
 Che tumulto ho nel cor! Palpito, agghiaccio,
 m'incammino, m'arresto; ogn'aura, ogn'ombra
580mi fa tremare. Io non credea che fosse
 sì difficile impresa esser malvagio.
 Ma compirla convien. Già per mio cenno
 Lentulo corre al Campidoglio. Io deggio
 Tito assalir. Nel precipizio orrendo
585è scorso il piè. Necessità divenne
 ormai la mia ruina. Almen si vada
 con valore a perir. Valore? E come
 può averne un traditor? Sesto infelice,
 tu traditor! Che orribil nome! E pure
590t'affretti a meritarlo. E chi tradisci?
 Il più grande, il più giusto, il più clemente
 principe della terra, a cui tu devi
 quanto puoi, quanto sei. Bella mercede
 gli rendi invero! Ei t'innalzò per farti
595il carnefice suo. M'inghiotta il suolo
 prima ch'io tal divenga. Ah! Non ho core,
 Vitellia, a secondar gli sdegni tui;
 morrei prima del colpo in faccia a lui.
 S'impedisca... Ma come,
600or che tutto è disposto... Andiamo, andiamo
 Lentulo a trattener. Sieguane poi
 quel che il fato vorrà. Stelle! Che miro!
 Arde già il Campidoglio! Aimè l'impresa
 Lentulo incominciò. Forse già tardi
605sono i rimorsi miei.
 Difendetemi Tito, eterni dei. (Vuol partire)