Ciro riconosciuto, Torino, Reale, 1757

 SCENA XI
 
 CIRO e poi ARPALICE
 
 CIRO
 Ah tramonti una volta
1315questo torbido giorno e sia più chiaro
 l'altro almen che verrà.
 ARPALICE
                                             Mio caro Alceo,
 tu salvo! Oh me felice! Ah vieni a parte
 de' pubblici contenti. Il nostro Ciro
 vive, si ritrovò; quel che uccidesti
1320era un vile impostor.
 CIRO
                                         Sì! Donde il sai?
 ARPALICE
 Certo il fatto esser dee; queste campagne
 non risuonan che Ciro. Oh se vedessi
 in quai teneri eccessi
 d'insolito piacer prorompe ogn'alma!
1325Chi batte palma a palma,
 chi sparge fior, chi se n'adorna, i numi
 chi ringrazia piangendo. Altri il compagno
 corre a sveller dall'opra; altri l'amico
 va dal sonno a destar. Riman l'aratro
1330qui nel solco imperfetto; ivi l'armento
 resta senza pastor. Le madri ascolti
 di gioia insane a' pargoletti ignari
 narrar di Ciro i casi. I tardi vecchi
 vedi ad onta degli anni
1335sé stessi invigorir. Sino i fanciulli,
 i fanciulli innocenti
 non san perché ma sul comune esempio
 van festivi esclamando: «Al tempio, al tempio».
 CIRO
 E tu Ciro vedesti?
 ARPALICE
                                    Ancor nol vidi.
1340Corriam...
 CIRO
                      Ferma, il vedrai
 pria d'ognun, tel prometto.
 ARPALICE
                                                    E Ciro...
 CIRO
                                                                      Ah ingrata,
 tu non pensi che a Ciro. Il tuo pastore
 già del tutto obbliasti. E pur sperai...
 ARPALICE
 Non tormentarmi, Alceo. Se tu sapessi
1345come sta questo cor...
 CIRO
                                          Siegui.
 ARPALICE
                                                          Né vuoi
 lasciarmi in pace?
 CIRO
                                    Ah tu non m'ami.
 ARPALICE
                                                                      Almeno
 veggo che non dovrei. Ma...
 CIRO
                                                    Che?
 ARPALICE
                                                                Ma parmi
 debil ritegno il naturale orgoglio.
 Parlar di te non voglio; e fra le labbra
1350ho sempre il nome tuo. Vo' dal pensiero
 cancellar quel sembiante; e in ogni oggetto
 col pensier lo dipingo. Agghiaccio in seno,
 se in periglio ti miro. Avvampo in volto,
 se nominar ti sento. Ove non sei,
1355tutto m'annoia e mi rincresce e tutto
 quel che un tempo bramava or più non bramo.
 Dimmi; tu che ne credi. Amo o non amo?
 CIRO
 Sì, mio ben, sì, mia speme...