Zenobia, Vienna, van Ghelen, 1737

 SCENA VIII
 
 EGLE sola
 
 EGLE
 È ver. Quella ch'io sento
 parmi più che pietà. Ma che pretendi
 Egle infelice? A troppo eccelso oggetto
1030sollevi i tuoi pensieri; e chi t'accese
 s'offenderà del basso omaggio. E pure...
 Chi sa? Non meno accoglie
 d'un picciol rio l'umil tributo il mare
 che d'un fiume real. Prodigo meno
1035all'erbe il sol non è de' suoi splendori
 ch'ai platani, alle palme ed agli allori.
 Forse... Ah no. Ti lusinga
 temeraria speranza. Alle capanne
 il ciel ti destinò. La fiamma estingui
1040di sì splendide faci;
 e se a tanto non giungi, ardi; ma taci.
 
    Che affanni! Che pene!
 d'un povero core,
 ch'è appresso al suo bene,
1045che langue d'amore,
 e dirgli non osa:
 «Languisco per te».
 
    È troppo dolore
 amare, soffrire,
1050sentirsi morire
 né chieder mercé. (Parte)