L’Ipermestra, Venezia, Bettinelli, 1745

 SCENA V
 
 ELPINICE e PLISTENE
 
 ELPINICE
 Plistene, ah che sarà? Come in un punto
 Ipermestra cangiossi?
 PLISTENE
                                           Io nulla intendo,
 non so che immaginar.
 ELPINICE
                                             Questo mancava
175novello inciampo al nostro amor. Turbati
 gl'imenei d'Ipermestra, ancor le nostre
 speranze ecco deluse. Ah questa è troppo
 crudel fatalità. Sotto qual mai
 astro nemico io nacqui? Anche nel porto
180per me vi son tempeste.
 PLISTENE
                                               In queste care
 intolleranze tue, bella Elpinice,
 perdona, io mi consolo. Esse una prova
 son del vero amor tuo. Questa sventura
 mi priva della man qualche momento
185ma del cor m'assicura e son contento.
 ELPINICE
 Sì dolorose prove
 dar non vorrei dell'amor mio. Di queste
 tu ancor ti stancherai.
 PLISTENE
                                           No, non si trova
 pena che all'alma mia
190per sì degna cagion dolce non sia.
 ELPINICE
 So che fido sei tu; ma so che troppo
 sventurata son io.
 PLISTENE
                                   Deh non conviene
 disperar così presto. Esser potrebbe
 questo che ci minaccia
195un nembo passaggier. Chi sa? Talora
 un mal inteso accento
 stravaganze produce. Almen si sappia
 la cagion che ci affligge ed avrem poi
 assai tempo a dolerci.
 ELPINICE
                                          È ver. L'amico
200a raggiunger tu corri; io d'Ipermestra
 volo i sensi a spiar. Secondi amore
 le cure nostre. Il tuo parlar m'inspira
 e fermezza e coraggio. Io non so quale
 arbitrio hai tu sopra gli affetti. Oppressa
205ero già dal timor; funesto e nero
 pareami il ciel; tu vuoi che speri; e spero.
 
    Solo effetto era d'amore
 quel timor che avea nel petto;
 e d'amore è solo effetto
210or la speme del mio cor.
 
    Han tal forza i detti tuoi
 che se vuoi prende sembianza
 di timor la mia speranza,
 di speranza il mio timor. (Parte)