Antigono, Torino, Reale, 1757

 SCENA V
 
 ALESSANDRO, poi ISMENE
 
 ALESSANDRO
585Or non v'è chi felice
 più di me possa dirsi. Ecco il più caro
 d'ogni trionfo.
 ISMENE
                             Oh quanto, ancorché infido, (Con ironia)
 compatisco Alessandro! Essere amante,
 vedersi disprezzar son troppo invero,
590troppo barbare pene.
 ALESSANDRO
 Tanto per me non tormentarti, Ismene.
 ISMENE
 L'ingrata Berenice
 alfin pensar dovea che tu famosa
 la sua beltà rendesti. Uguali andranno
595ai dì remoti, e tu cagion ne sei,
 Tessalonica a Troia, Elena a lei.
 ALESSANDRO
 Forse m'ama perciò.
 ISMENE
                                        T'ama?
 ALESSANDRO
                                                        E mia sposa
 oggi esser vuole.
 ISMENE
                                 (Oh dei!) D'un cangiamento
 tanto improvviso io la ragion non vedo.
 ALESSANDRO
600Della pietà d'Ismene opra lo credo.
 ISMENE
 Ah crudel! Mi deridi?
 ALESSANDRO
                                           Eh questi nomi
 d'infido e di crudel poni in obblio,
 principessa, una volta. I nostri affetti
 scelta non fur ma legge. Ignoti amanti
605ci destinaro i genitori a un nodo
 che l'anime non strinse. Essermi Ismene
 grata d'un'incostanza alfin dovria,
 onde il frutto è comun, la colpa è mia.
 ISMENE
 E perché dunque amore
610tante volte giurarmi?
 ALESSANDRO
                                          Io lo giurava
 senza intenderlo allor. Credea che sempre
 alle belle parlando
 si parlasse così.
 ISMENE
                               Tanta in Epiro
 innocenza si trova?