Attilio Regolo, Friedrichstadt, Harpeter, 1750

 SCENA VII
 
 Galleria nel palazzo medesimo.
 
 REGOLO solo
 
 REGOLO
 Tu palpiti o mio cor! Qual nuovo è questo
 moto incognito a te? Sfidasti ardito
715le tempeste del mar, l'ire di Marte,
 d'Africa i mostri orrendi
 ed or tremando il tuo destino attendi!
 Ah n'hai ragion. Mai non si vide ancora
 in periglio sì grande
720la gloria mia. Ma questa gloria, o dei,
 non è dell'alme nostre
 un affetto tiranno? Al par d'ogn'altro
 domar non si dovrebbe? Ah no. De' vili
 questo è il linguaggio. Inutilmente nacque
725chi sol vive a sé stesso; e sol da questo
 nobile affetto ad obbliar s'impara
 sé per altrui. Quanto ha di ben la terra
 alla gloria si dee. Vendica questa
 l'umanità dal vergognoso stato
730in cui saria senza il desio d'onore;
 toglie il senso al dolore,
 lo spavento a' perigli,
 alla morte il terror. Dilata i regni,
 le città custodisce; alletta, aduna
735seguaci alla virtù; cangia in soavi
 i feroci costumi
 e rende l'uomo imitator de' numi.
 Per questa... Oimè! Publio ritorna e parmi
 che timido s'avanzi. E ben che rechi?
740Ha deciso il Senato?
 Qual è la sorte mia?