Siroe re di Persia, Roma, Leone, 1727

 SCENA VI
 
 COSROE e MEDARSE
 
 MEDARSE
 Non è picciola sorte
 ch'uno stranier così fedel ti sia.
 Ma non basta o mio re. Maggior riparo
830chiede il nostro destin.
 COSROE
                                            Sarai nel giro
 di questo dì tu mio compagno al soglio
 e opporsi a due regnanti
 non potrà facilmente un folle orgoglio.
 MEDARSE
 Anzi il tuo amor l'irrita; ha già sedotta
835del popolo fedel Siroe gran parte.
 Si parla e si minaccia, ah se non svelli
 dalla radice sua la pianta infesta
 sempre per noi germoglierà funesta.
 Atroce ma sicuro
840il rimedio saria; reciso il capo
 perde tutto il vigore
 l'audacia popolare.
 COSROE
                                     Io non ho core.
 MEDARSE
 Anch'io gelo in pensarlo; altro non resta
 dunque per tua salvezza
845che appagar Siroe e sollevarlo al trono.
 Volentier gli abbandono
 la contesa corona. Andrò lontano
 per placar l'ira sua, se questo è poco
 sazialo del mio sangue, aprimi il seno.
850Sarò felice appieno
 se può la mia ferita
 render la pace a chi mi diè la vita.
 COSROE
 Sento per tenerezza
 il ciglio inumidir. Caro Medarse
855vieni al mio sen. Perché due figli eguali
 non diemmi il ciel!
 MEDARSE
                                      Se ricusar potessi
 di scemar, per salvarti, i giorni miei
 degno di sì gran padre io non sarei.
 
    Ebbi da te la vita;
860ingrato non ti sono
 col renderti quel dono
 che misero ti fa.
 
    Dirò chiudendo i rai:
 «Padre, vissuto ho assai,
865s'io vissi caro a te
 la mia più bella età». (Parte)