Attilio Regolo, Friedrichstadt, Harpeter, 1750

 SCENA VII
 
 ATTILIA, poi BARCE
 
 ATTILIA
1150Su costanza o mio cor. Deboli affetti
 sgombrate da quest'alma; inaridite
 ormai su queste ciglia
 lagrime imbelli. Assai si pianse; assai
 si palpitò. La mia virtù natia
1155sorga al paterno sdegno;
 ed Attilia non sia
 il ramo sol di sì gran pianta indegno.
 BARCE
 Attilia è dunque ver? Dunque a dispetto
 del popol, del Senato,
1160degli auguri, di noi, del mondo intero
 Regolo vuol partir?
 ATTILIA
                                      Sì. (Con fermezza)
 BARCE
                                              Ma che insano
 furor?...
 ATTILIA
                  Più di rispetto (Come sopra)
 Barce agli eroi.
 BARCE
                               Come! Del padre approvi
 l'ostinato pensier?
 ATTILIA
                                     Del padre adoro
1165la costante virtù.
 BARCE
                                 Virtù che a' ceppi,
 che all'ire altrui, che a vergognosa morte
 certamente dovrà...
 ATTILIA
                                      Taci. Quei ceppi, (S’intenerisce di nuovo)
 quell'ire, quel morir del padre mio
 saran trionfi.
 BARCE
                           E tu n'esulti?
 ATTILIA
                                                      (Oh dio!) (Piange)
 BARCE
1170Capir non so...
 ATTILIA
                              Non può capir chi nacque
 in barbaro terren per sua sventura
 come al paterno vanto
 goda una figlia.
 BARCE
                               E perché piangi intanto?
 ATTILIA
 
    Vuol tornar la calma in seno,
1175quando in lagrime si scioglie
 quel dolor che la turbò.
 
    Come torna il ciel sereno
 quel vapor che i rai gli toglie,
 quando in pioggia si cangiò. (Parte)