Attilio Regolo, Parigi, Quillau, 1755

 SCENA V
 
 ATTILIA e LICINIO
 
 ATTILIA
660Ma di'; credi o Licinio
 che mai di me nascesse
 più sfortunata donna! Amare un padre,
 affannarsi a suo pro, mostrar per lui
 di tenera pietade il cor trafitto
665saria merito ad altri; è a me delitto.
 LICINIO
 No; consolati Attilia e non pentirti
 dell'opera pietosa. Altro richiede
 il dover nostro ed altro
 di Regolo il dover; se gloria è a lui
670della vita il disprezzo, a noi sarebbe
 empietà non salvarlo. Alfin vedrai
 che grato ei ci sarà. Non ti spaventi
 lo sdegno suo; spesso l'infermo accusa
 di crudel, d'inumana
675quella medica man che lo risana.
 ATTILIA
 Que' rimproveri acerbi
 mi trafiggono il cor; non ho costanza
 per soffrir l'ire sue.
 LICINIO
                                      Ma di', vorresti
 pria d'un tal genitor vederti priva?
 ATTILIA
680Ah questo no; mi sia sdegnato e viva.
 LICINIO
 Vivrà; cessi quel pianto;
 tornatevi di nuovo
 begli occhi a serenar. Se veggo, oh dio,
 mestizia in voi, perdo coraggio anch'io.
 
685   Da voi cari lumi
 dipende il mio stato;
 voi siete i miei numi,
 voi siete il mio fato;
 a vostro talento
690mi sento cangiar.
 
    Ardir m'inspirate
 se lieti splendete;
 se torbidi siete
 mi fate tremar. (Parte)