Attilio Regolo, Parigi, Quillau, 1755

 SCENA VII
 
 Galleria nel palazzo medesimo.
 
 REGOLO solo
 
 REGOLO
 Tu palpiti, o mio cor! Qual nuovo è questo
 moto incognito a te? Sfidasti ardito
 le tempeste del mar, l'ire di Marte,
715d'Africa i mostri orrendi
 ed or tremando il tuo destino attendi!
 Ah n'hai ragion. Mai non si vide ancora
 in periglio sì grande
 la gloria mia. Ma questa gloria, oh dei,
720non è dell'alme nostre
 un affetto tiranno? Al par d'ogn'altro
 domar non si dovrebbe? Ah no. De' vili
 questo è il linguaggio. Inutilmente nacque
 chi sol vive a sé stesso; e sol da questo
725nobile affetto ad obliar s'impara
 sé per altrui. Quanto ha di ben la terra
 alla gloria si dee. Vendica questa
 l'umanità dal vergognoso stato
 in cui saria senza il desio d'onore;
730toglie il senso al dolore,
 lo spavento a' perigli,
 alla morte il terror; dilata i regni,
 le città custodisce; alletta, aduna
 seguaci alla virtù; cangia in soavi
735i feroci costumi;
 e rende l'uomo imitator de' numi.
 Per questa... Aimè! Publio ritorna e parmi
 che timido s'avanzi. E ben che rechi?
 Ha deciso il Senato?
740Qual è la sorte mia?