Attilio Regolo, Parigi, Quillau, 1755

 SCENA PRIMA
 
 Sala terrena corrispondente a giardini.
 
 REGOLO, guardie africane, poi MANLIO
 
 REGOLO
 Ma che si fa? Non seppe
905forse ancor del Senato
 Amilcare il voler? Dov'è? Si trovi;
 partir convien. Qui che sperar per lui,
 per me non v'è più che bramar. Diventa
 colpa ad entrambi or la dimora. Ah vieni, (Vedendo venir Manlio)
910vieni amico al mio seno. Era in periglio
 senza te la mia gloria; i ceppi miei
 per te conservo; a te si deve il frutto
 della mia schiavitù.
 MANLIO
                                       Sì; ma tu parti.
 Sì; ma noi ti perdiam.
 REGOLO
                                            Mi perdereste
915s'io non partissi.
 MANLIO
                                 Ah perché mai sì tardi
 incomincio ad amarti! Altri finora,
 Regolo, non avesti
 pegni dell'amor mio, se non funesti.
 REGOLO
 Pretenderne maggiori
920da un vero amico io non potea; ma pure
 se il generoso Manlio altri vuol darne,
 altri ne chiederò.
 MANLIO
                                  Parla.
 REGOLO
                                               Compito
 ogni dover di cittadino, alfine
 mi sovvien che son padre. Io lascio in Roma
925due figli, il sai, Publio ed Attilia; e questi
 son del mio cor, dopo la patria, il primo,
 il più tenero affetto. In lor traluce
 indole non volgar; ma sono ancora
 piante immature e di cultor prudente
930abbisognano entrambi. Il ciel non volle
 che l'opera io compissi. Ah tu ne prendi
 per me pietosa cura;
 tu di lor con usura
 la perdita compensa; al tuo bel core
935debbano e a' tuoi consigli
 la gloria il padre e l'assistenza i figli.
 MANLIO
 Sì tel prometto. I preziosi germi
 custodirò geloso. Avranno un padre,
 se non degno così, tenero almeno
940al par di te. Della virtù romana
 io lor le tracce additerò. Né molto
 sudor mi costerà. Basta a quell'alme
 di bel desio già per natura accese
 l'istoria udir delle paterne imprese.
 REGOLO
945Or sì più non mi resta...