Attilio Regolo, Parigi, Quillau, 1755

 SCENA VII
 
 ATTILIA, poi BARCE
 
 ATTILIA
 Su costanza, o mio cor. Deboli affetti
1150sgombrate da quest'alma; inaridite
 ormai su queste ciglia
 lagrime imbelli. Assai si pianse; assai
 si palpitò. La mia virtù natia
 sorga al paterno sdegno;
1155ed Attilia non sia
 il ramo sol di sì gran pianta indegno.
 BARCE
 Attilia, è dunque ver? Dunque a dispetto
 del popol, del Senato,
 degli auguri, di noi, del mondo intero
1160Regolo vuol partir?
 ATTILIA
                                      Sì. (Con fermezza)
 BARCE
                                              Ma che insano
 furor?
 ATTILIA
               Più di rispetto, (Come sopra)
 Barce, agli eroi.
 BARCE
                                Come! Del padre approvi
 l'ostinato pensier?
 ATTILIA
                                     Del padre adoro
 la costante virtù.
 BARCE
                                 Virtù che a' ceppi,
1165che all'ire altrui, che a vergognosa morte
 certamente dovrà...
 ATTILIA
                                      Taci. Quei ceppi, (S’intenerisce di nuovo)
 quell'ire, quel morir, del padre mio
 saran trionfi.
 BARCE
                           E tu n'esulti?
 ATTILIA
                                                      (Oh dio!) (Piange)
 BARCE
 Capir non so...
 ATTILIA
                              Non può capir chi nacque
1170in barbaro terren per sua sventura
 come al paterno vanto
 goda una figlia.
 BARCE
                               E perché piangi intanto?
 ATTILIA
 
    Vuol tornar la calma in seno,
 quando in lagrime si scioglie
1175quel dolor che la turbò.
 
    Come torna il ciel sereno
 quel vapor che i rai ci toglie,
 quando in pioggia si cangiò. (Parte)