Attilio Regolo, Torino, Reale, 1757

 SCENA VI
 
 PUBLIO e detti
 
 PUBLIO
                                                    Ma invano,
 signor, lo speri.
 REGOLO
                               E chi potrà vietarlo?
 PUBLIO
 Tutto il popolo, o padre. È affatto ormai
 incapace di fren. Per impedirti
1100il passaggio alle navi ognun s'affretta
 precipitando al porto; e son di Roma
 già l'altre vie deserte.
 REGOLO
                                          E Manlio?
 PUBLIO
                                                               È il solo
 che ardisca opporsi ancora
 al voto universal. Prega, minaccia,
1105ma tutto inutilmente. Alcun non l'ode,
 non l'ubbidisce alcun. Cresce a momenti
 la furia popolar. Già su le destre
 ai pallidi littori
 treman le scuri; e non ritrova ormai
1110in tumulto sì fiero
 esecutori il consolare impero.
 REGOLO
 Attilia, addio. Publio, mi siegui. (In atto di partire)
 ATTILIA
                                                             E dove?
 REGOLO
 A soccorrer l'amico, il suo delitto
 a rinfacciare a Roma, a conservarmi
1115l'onor di mie catene,
 a partire o a spirar su queste arene. (Partendo)
 ATTILIA
 Ah padre! Ah no! Se tu mi lasci... (Piangendo)
 REGOLO
                                                               Attilia, (Serio ma senza sdegno)
 molto al nome di figlia,
 al sesso ed all'età finor donai.
1120Basta; si pianse assai; per involarmi
 d'un gran trionfo il vanto,
 non congiuri con Roma anche il tuo pianto.
 ATTILIA
 Ah tal pena è per me... (Come sopra)
 REGOLO
                                             Per te gran pena
 è il perdermi, lo so. Ma tanto costa
1125l'onor d'esser romana.
 ATTILIA
                                           Ogn'altra prova
 son pronta...
 REGOLO
                          E qual? Co' tuoi consigli andrai
 forse fra i padri a regolar di Roma
 in Senato il destin? Con l'elmo in fronte
 forse i nemici a debellar pugnando
1130fra l'armi suderai? Qualche disastro
 se a soffrir per la patria atta non sei
 senza viltà, di', che farai per lei?
 ATTILIA
 È ver. Ma tal costanza...
 REGOLO
 È difficil virtù. Ma Attilia alfine
1135è mia figlia e l'avrà. (Partendo)
 ATTILIA
                                        Sì, quanto io possa,
 gran genitor, t'imiterò. Ma... oh dio!
 Tu mi lasci sdegnato;
 io perdei l'amor tuo.
 REGOLO
                                        No, figlia, io t'amo;
 io sdegnato non son. Prendine in pegno
1140questo amplesso da me. Ma questo amplesso
 costanza, onor, non debolezza inspiri.
 ATTILIA
 Ah sei padre, mi lasci e non sospiri!
 REGOLO
 
    Io son padre e nol sarei,
 se lasciassi a' figli miei
1145un esempio di viltà.
 
    Come ogn'altro ho core in petto;
 ma vassallo è in me l'affetto;
 ma tiranno in voi si fa. (Parte con Publio)