Attilio Regolo, Parigi, Hérissant, 1781

 SCENA PRIMA
 
  Logge a vista di Roma nel palazzo suburbano destinato agli ambasciadori cartaginesi.
 
 REGOLO e PUBLIO
 
 REGOLO
 Publio, tu qui! Si tratta
 della gloria di Roma,
 dell'onor mio, del pubblico riposo
450e in Senato non sei?
 PUBLIO
                                        Raccolto ancora,
 signor, non è.
 REGOLO
                            Va', non tardar; sostieni
 fra i padri il voto mio; mostrati degno
 dell'origine tua.
 PUBLIO
                                Come! E m'imponi
 che a fabbricar m'adopri
455io stesso il danno tuo?
 REGOLO
                                           Non è mio danno
 quel che giova alla patria.
 PUBLIO
                                                 Ah di te stesso,
 signore, abbi pietà.
 REGOLO
                                      Publio, tu stimi
 dunque un furore il mio? Credi ch'io solo,
 fra ciò che vive, odii me stesso? Oh quanto
460t'inganni! Al par d'ogni altro
 bramo il mio ben, fuggo il mio mal. Ma questo
 trovo sol nella colpa e quello io trovo
 nella sola virtù. Colpa sarebbe
 della patria col danno
465ricuperar la libertà smarrita;
 ond'è mio mal la libertà, la vita;
 virtù col proprio sangue
 è della patria assicurar la sorte;
 ond'è mio ben la servitù, la morte.
 PUBLIO
470Pur la patria non è...
 REGOLO
                                        La patria è un tutto
 di cui siam parti. Al cittadino è fallo
 considerar sé stesso
 separato da lei. L'utile o il danno,
 ch'ei conoscer dee solo, è ciò che giova
475o nuoce alla sua patria a cui di tutto
 è debitor. Quando i sudori e il sangue
 sparge per lei, nulla del proprio ei dona;
 rende sol ciò che n'ebbe. Essa il produsse,
 l'educò, lo nudrì. Con le sue leggi
480dagl'insulti domestici il difende,
 dagli esterni con l'armi. Ella gli presta
 nome, grado ed onor; ne premia il merto;
 ne vendica le offese; e madre amante
 a fabbricar s'affanna
485la sua felicità, per quanto lice
 al destin de' mortali esser felice.
 Han tanti doni, è vero,
 il peso lor. Chi ne ricusa il peso
 rinunci al benefizio; a far si vada
490d'inospite foreste
 mendico abitatore; e là, di poche
 misere ghiande e d'un covil contento,
 viva libero e solo a suo talento.
 PUBLIO
 Adoro i detti tuoi. L'alma convinci
495ma il cor non persuadi. Ad ubbidirti
 la natura repugna. Alfin son figlio,
 non lo posso obbliar.
 REGOLO
                                        Scusa infelice
 per chi nacque romano. Erano padri
 Bruto, Manlio, Virginio...
 PUBLIO
                                                È ver; ma questa
500troppo eroica costanza
 sol fra' padri restò. Figlio non vanta
 Roma finor che a proccurar giungesse
 del genitor lo scempio.
 REGOLO
 Dunque aspira all'onor del primo esempio.
505Va'.
 PUBLIO
           Deh...
 REGOLO
                         Non più. Della mia sorte attendo
 la notizia da te.
 PUBLIO
                               Troppo pretendi,
 troppo, o signor.
 REGOLO
                                 Mi vuoi straniero o padre?
 Se stranier, non posporre
 l'util di Roma al mio; se padre, il cenno
510rispetta e parti.
 PUBLIO
                                Ah se mirar potessi
 i moti del cor mio, rigido meno
 forse con me saresti.
 REGOLO
                                        Or dal tuo core
 prove io vo' di costanza e non d'amore.
 PUBLIO
 
    Ah, se provar mi vuoi,
515chiedimi, o padre, il sangue;
 e tutto a' piedi tuoi,
 padre, lo verserò.
 
    Ma che un tuo figlio istesso
 debba volerti oppresso?
520Gran genitor, perdona,
 tanta virtù non ho. (Parte)