Attilio Regolo, Parigi, Hérissant, 1781

 SCENA V
 
 ATTILIA e LICINIO
 
 ATTILIA
660Ma di'; credi, o Licinio,
 che mai di me nascesse
 più sfortunata donna? Amare un padre,
 affannarsi a suo pro, mostrar per lui
 di tenera pietade il cor trafitto
665saria merito ad altri; è a me delitto.
 LICINIO
 No; consolati, Attilia, e non pentirti
 dell'opera pietosa. Altro richiede
 il dover nostro ed altro
 di Regolo il dover. Se gloria è a lui
670della vita il disprezzo, a noi sarebbe
 empietà non salvarlo. Alfin vedrai
 che grato ei ci sarà. Non ti spaventi
 lo sdegno suo. Spesso l'infermo accusa
 di crudel, d'inumana
675quella medica man che lo risana.
 ATTILIA
 Que' rimproveri acerbi
 mi trafiggono il cor; non ho costanza
 per soffrir l'ire sue.
 LICINIO
                                      Ma di'; vorresti
 pria d'un tal genitor vederti priva?
 ATTILIA
680Ah questo no; mi sia sdegnato e viva.
 LICINIO
 Vivrà. Cessi quel pianto;
 tornatevi di nuovo,
 begli occhi, a serenar. Se veggo, oh dio!
 mestizia in voi, perdo coraggio anch'io.
 
685   Da voi, cari lumi,
 dipende il mio stato;
 voi siete i miei numi,
 voi siete il mio fato;
 a vostro talento
690mi sento cangiar.
 
    Ardir m'inspirate,
 se lieti splendete;
 se torbidi siete,
 mi fate tremar. (Parte)