La Nitteti, Madrid, s. n., 1756

 SCENA IV
 
 BEROE, SAMMETE nel proprio suo abito, poi AMENOFI
 
 BEROE
 Questi reali alberghi (Guardando curiosa intorno)
135son pur novi per me! Dovunque io miro...
 SAMMETE
 Ecco deposte alfin... (Si veggono e si guardano fissamente alcuni momenti senza parlare)
                                        Beroe!
 BEROE
                                                       Dalmiro!
 SAMMETE
 Tu qui?
 BEROE
                  Tu in quelle spoglie?
 SAMMETE
 A che vieni? Ove vai?
 BEROE
                                          Che strano evento
 ti trasforma in tal guisa agli occhi miei?
140Parla. Che fu? Dov'è il pastor? Chi sei?
 SAMMETE
 Tutto, ben mio, dirò...
 AMENOFI
                                           Prence, Sammete,
 giunge il real tuo genitor.
 BEROE
                                                 (Sammete! (Sammete confuso)
 Misera me!) (Beroe colpita dalla sorpresa del nome)
 SAMMETE
                           Verrò. (Come sopra)
 AMENOFI
                                         Corri, potria
 prima giungere il re.
 SAMMETE
                                         Verrò, t'invia. (Con impazienza ad Amenofi che parte)
 BEROE
145Crudel, tu sei Sammete?
 Tu sei prole d'un re? Dunque finora
 meco hai mentito aspetto,
 spoglia, nome, costumi e forse affetto?
 Come abusar potesti
150d'un sì tenero amore,
 d'una fé, d'un candore,
 d'un cor che offerto interamente in dono...
 Barbaro!... Ingrato!...
 SAMMETE
                                         Anima mia, perdono.
 Fu giovanil vaghezza
155che fra rustichi giuochi in finte spoglie
 a mischiarmi m'indusse. In quelle, il sai,
 un pastor mi credesti.
 Ti piacqui, mi piacesti e il grado mio
 ti celai per timor. So che in amore
160gran nodo è l'eguaglianza. Io volli prima
 un amante pastor renderti caro
 ed un principe amante offrirti poi.
 Eccolo a' piedi tuoi. (Si getta in ginocchioni)
 Or non t'inganna; ha su le labbra il core,
165accettami qual vuoi prence o pastore.
 BEROE
 Ah Sammete! Ah non più. Sorgi; io trascorsi
 troppo con te. Dal mio dolor sorpresa
 il mio prence insultai. Perdona il fallo
 all'eccesso, o signor, d'un lungo affetto.
 SAMMETE
170Per pietà, mio tesoro, ah men rispetto. (Con enfasi affettuosa)
 Eccede un tal castigo
 tutte le colpe mie; morir mi fai
 parlandomi in tal guisa.
 BEROE
                                              Ah, che or tu sei...
 SAMMETE
 Il tuo fedele.
 BEROE
                          Ah, che or son io...
 SAMMETE
                                                             La mia
175unica speme.
 BEROE
                            Oh dio! (Piange)
 SAMMETE
                                             Tanto ti spiace
 che in real prence il tuo pastor si cangi?
 BEROE
 No; lo merti, cor mio.
 SAMMETE
                                          Dunque a che piangi?
 BEROE
 Queste lagrime, o caro,
 se sian doglia o piacer dir non saprei.
180Quando penso che sei qual d'esser nato
 degno ognor ti credei, lagrime liete
 verso dagli occhi e ti vorrei Sammete.
 Quando penso che degna
 or non son più di te, col ciel m'adiro;
185piango d'affanno e ti vorrei Dalmiro.
 SAMMETE
 Ah se alcun disapprova
 l'eccesso in me degli amorosi affanni,
 vegga Beroe, l'ascolti e mi condanni.
 Sì mio ben, sì mia vita,
190teco viver vogl'io;
 voglio teco morir. No; non potrei
 lasciarti, anche volendo, in abbandono.
 O fra boschi o sul trono,
 o Dalmiro o Sammete,
195o principe o pastor sarò... sarai...
 BEROE
 Deh sovvienti ch'ormai
 Amasi sarà giunto.
 SAMMETE
                                     È vero. Addio.
 Ma... siamo in pace?
 BEROE
                                        Sì.
 SAMMETE
                                                Del tuo perdono
 mi posso assicurar?
 BEROE
                                       Sì, caro.
 SAMMETE
                                                        Ottengo
200i primi affetti tuoi?
 BEROE
 Tutti. Ah parti.
 SAMMETE
                               E tu sei...
 BEROE
                                                   Son quel che vuoi.
 SAMMETE
 
    Se d'amor, se di contento
 a quei detti, oh dio! non moro,
 è portento, o mio tesoro,
205è virtù di tua beltà.
 
    Del piacer manco all'eccesso;
 ma un tuo sguardo in un momento
 poi ravviva il core oppresso
 dalla sua felicità. (Parte)