Il trionfo di Clelia, Torino, Reale, 1768

 SCENA VIII
 
  Logge reali, dalle quali si scuopre tutto l’esercito toscano attendato sulla pendente costa dell’occupato Gianicolo.
 
 PORSENNA, MANNIO, indi ORAZIO
 
 MANNIO
 Signor, pronto al tuo cenno
 è il romano orator.
 PORSENNA
                                     Venga; e frattanto
 altri qui non s'appressi. (Parte Mannio)
225Ah se vincer potessi
 dell'ostinata Roma
 la feroce virtù, senza che il sangue
 ne scemasse la gloria,
 quanto bella saria la mia vittoria!
 ORAZIO
230Ha deciso Porsenna?
 Siam seco in pace o si ritorna all'armi?
 PORSENNA
 Da te dipenderà.
 ORAZIO
                                  Libera è Roma,
 se dal mio voto il suo destin dipende.
 PORSENNA
 Siedi. (Che bell'ardir). (Siede)
 ORAZIO
                                             (Che dirmi intende?) (Siede)
 PORSENNA
235Orazio, i nostri voti
 non si oppongon fra lor. Tu la tua Roma
 ami; io l'ammiro. È il tuo maggior desio
 la sua felicità; la bramo anch'io.
 Fabbrichiamola insieme. A sì bell'opra
240son dannosi compagni
 la ferocia, il dispetto e l'odio antico.
 Qui l'amico fra noi parli all'amico.
 ORAZIO
 Bramare altra i Romani
 felicità non sanno
245che la lor libertà.
 PORSENNA
                                  Che cieco inganno!
 Questa, che sì t'ingombra,
 idea di libertà, credilo, amico,
 non è che una sognata ombra di bene.
 Son varie le catene
250ma servo è ognun che nasce. Uopo ha ciascuno
 dell'assistenza altrui. Ci unisce a forza
 la comun debolezza ed a vicenda
 l'un serve all'altro. Io stesso, Orazio, io stesso,
 re, monarca qual sono,
255sento le mie catene anche sul trono.
 Vorran da questa legge, a cui soggiace
 tutta l'umanità, forse i Romani
 sol pretendersi esenti?
 ORAZIO
 Agli affetti privati
260non mai d'un solo, alla ragion di tutti
 esser vogliam soggetti.
 PORSENNA
 Son liberi d'affetti
 forse quei tutti? E di ragione è privo
 forse quel solo? Esci d'error; fra noi
265perfezion non v'è. L'essere uniti
 è necessario e il necessario nodo,
 ond'è ognuno ad ognun congiunto e stretto,
 quanto semplice è più, meno è imperfetto.
 ORAZIO
 Ma che mai da codesti
270dotti principi tuoi,
 che mai speri dedur? Forse che serva
 Roma sarà felice? Esci tu stesso,
 esci d'error. Fra le vicende umane
 l'esperienza è sempre
275condottrice men cieca
 che l'etrusca, la greca
 o l'egizia dottrina. A noi per prova
 è noto, e non a te, se de' Tarquini
 sia soffribile il giogo. È infranto e mai
280mai più nol soffrirem. D'un tal solenne
 e pubblico voler vindici sono
 tutti gli dei da noi giurati. A morte
 là destinato è ognuno
 che sogni servitù. Qual sangue ha tinto
285già la scure paterna
 ignorar tu non puoi. Roma non vanta
 un Bruto sol; tutti siam pronti in Roma
 a rinnovar per somigliante eccesso
 sulla testa più cara il colpo istesso.
 PORSENNA
290Ma se voi non convince
 altra ragion che l'armi,
 ad onta del mio cor dovrò felici
 rendervi a forza.
 ORAZIO
                                 A forza! Ah tu non sai,
 Porsenna, ancor quanto l'impresa è dura. (S’alza)
295Tutto fra quelle mura
 è libero e guerrier. Là quanto ha vita
 fino al respiro estremo
 quel ben difenderà che tu contrasti.
 Non v'è poter che basti
300popoli a soggiogar concordi, invitti,
 d'ardir, di ferro e di ragione armati.
 E se scritto è ne' fati
 che abbia Roma a cader, cadrà; ma i soli
 trofei saranno, onde superbo ornarti
305di fronda trionfal potrai le chiome,
 le ceneri di Roma, i sassi e il nome.
 PORSENNA
 Dove?
 ORAZIO
                A Roma.
 PORSENNA
                                  Ah t'arresta. (S’alza)
 ORAZIO
                                                           A che? Spiegasti
 assai l'animo avverso.
 PORSENNA
                                           Ingiusto sei.
 Ne' miei nemici ancora
310il valor m'innamora.
 ORAZIO
 E ad opprimerlo intanto...
 PORSENNA
                                                  Orazio invitto,
 basta per or. Nel violento eccesso
 d'un ardor generoso,
 che ti bolle nell'alma, or ti confondi.
315Calmalo, pensa meglio e poi rispondi.
 
    Sai che piegar si vede
 il docile arboscello,
 che vince allor che cede
 de' turbini al furor.
 
320   Ma quercia, che ostinata
 sfida ogni vento a guerra,
 trofeo si vede a terra
 dell'austro vincitor. (Parte)