Il trionfo di Clelia, Torino, Reale, 1768

 SCENA IV
 
 Gabinetti.
 
 PORSENNA e TARQUINIO
 
 PORSENNA
 Tarquinio, il so; del violato patto
 Roma è la rea. Chiara è la prova; e pure
 incredibil mi sembra, io tel confesso,
 che in un animo istesso
915possa allignar da sì contrario seme
 tanta virtù, tanta perfidia insieme.
 TARQUINIO
 Ecco dell'alme grandi
 il periglio maggior. Signor, tu credi
 tutti simili a te. Pur del fallace
920carattere romano in Muzio avesti
 guari non ha l'esempio.
 PORSENNA
                                              È ver; ma quella
 atroce sua fermezza,
 quell'eroico dispetto,
 quel disperato ardir mertan rispetto.
 TARQUINIO
925Ma che d'Orazio mai,
 che giudicar potrai? Sotto la fede
 d'una tregua giurata
 tesser sorprese, inosservato al campo
 sottrarsi e d'orator fatto guerriero
930noi minacciar non è delitto?
 PORSENNA
                                                      È vero.
 Ma per la patria intanto
 solo esporsi a perir, resister solo
 contro il furor di cento armati e cento
 di virtù, di valore è un bel portento.
 TARQUINIO
935Chiaro di mia sventura
 ah purtroppo è il tenor. Quell'orgoglioso
 fasto roman t'abbaglia e il tuo mi scema
 benefico favor.
 PORSENNA
                              T'inganni; al merto
 quando giustizia io rendo,
940l'amistà non offendo. Armata, il vedi,
 qui l'Etruria è a tuo pro.
 TARQUINIO
                                               Dunque a che giova
 qui nell'ozio languir? Fuor che nell'armi
 non v'è più speme.
 PORSENNA
                                      E ben le già disposte
 al tragitto e all'assalto
945macchine e navi alfin movansi all'opra
 col notturno favore e tu le schiere,
 quando il giorno a spuntar non sia lontano...