Romolo ed Ersilia, Torino, Reale, 1768

 SCENA II
 
 CURZIO e detta
 
 CURZIO
 Figlia, Ersilia.
 ERSILIA
                             Ah signor, possiam la nostra
 partenza anticipar? Teco son io,
 se vieni ad affrettarmi.
 CURZIO
                                             Ad avvertirti
 d'un nuovo tuo periglio
420per ora io vengo. È in Roma
 de' Ceninesi il prence. Io gli parlai;
 che partiva asserì; ma in questo istante
 io da lungi or rividi
 il mentitor che alle tue stanze intorno
425furtivo ancor s'aggira. Ah qualche indegno
 colpo ei matura. Il folle t'ama; è punto
 dal mio rifiuto; è violento; e solo
 le temerarie imprese
 belle sembrano a lui. Guardati.
 ERSILIA
                                                           Ah dunque
430a che più rimaner? Partasi.
 CURZIO
                                                    Il tempo
 ancor non è. Pochi momenti ancora
 tollera in pace.
 ERSILIA
                              In Roma
 non v'è pace per me; questo soggiorno
 più non posso soffrir. Toglimi, o padre,
435toglimi a tanta pena. A questi oggetti
 fa' ch'io m'involi e fa' ch'io possa alfine
 respirar le tranquille aure sabine.
 CURZIO
 Oh come, amata figlia,
 cotesta m'innamora
440impazienza tua! Risplende in essa
 la sabina virtù. Calmati; io spero
 tornar fra poco a liberarti. Intanto
 il pensier ti consoli
 che tu puoi di te stessa
445compiacerti a ragion. Venga e da questa
 a rispettare ogn'altra figlia impari
 la patria, il padre, a trionfar de' rischi
 del sesso e dell'età, fra le amorose
 lusinghe insidiose
450libero a conservar del core il regno.
 Oh mia speme! Oh mia gloria! Oh mio sostegno!
 
    Nel pensar che padre io sono
 di tal figlia, avversi dei,
 l'ingiustizie io vi perdono
455d'ogni vostra crudeltà.
 
    Frema pur funesto e nero
 il destino a' danni miei;
 sempre l'alma in tal pensiero
 la sua calma troverà. (Parte)