Didone abbandonata, Venezia, Rossetti, 1725

 SCENA XI
 
 SELENE, IARBA ed ARASPE
 
 IARBA
 Non partirà se pria...
 SELENE
                                         Da lui che brami?
 IARBA
 Il suo nome.
 SELENE
                          Il suo nome
 senza tanto furor da me saprai.
 IARBA
 A questa legge io resto.
 SELENE
355Quell'Enea che tu cerchi appunto è questo.
 IARBA
 Ah m'involasti un colpo
 che al mio braccio offeriva il ciel cortese.
 SELENE
 Ma perché tanto sdegno, in che t'offese?
 IARBA
 Gli affetti di Didone
360al mio signor contende,
 t'è noto e mi domandi in che m'offende?
 SELENE
 Arbace, a quel ch'io veggio
 nella scuola d'amor sei rozzo ancora.
 Un cor che s'innamora
365non sceglie a suo piacer l'oggetto amato.
 Onde nessuno offende
 quando in amor contende o allor che niega
 corrispondenza altrui. Non è bellezza,
 non è senno o valore
370che in noi risveglia amore; anzi talora
 il men vago, il più stolto è che s'adora.
 Bella ciascuno poi finge al pensiero
 la fiamma sua ma poche volte è vero.
 
    Ogni amator suppone
375che della sua ferita
 sia la beltà cagione
 ma la beltà non è.
 
    È un bel desio che nasce
 allor che men s'aspetta,
380si sente che diletta
 ma non si sa perché. (Parte)