Siroe, Torino, Reale, 1757

 SCENA VI
 
 COSROE e MEDARSE
 
 MEDARSE
 Non è piccola sorte
 ch'uno stranier così fedel ti sia.
 Ma non basta, o mio re; maggior riparo
 chiede il nostro destin.
 COSROE
                                            Sarai nel giro
805di questo dì tu mio compagno al soglio.
 E opporsi a due regnanti
 non potrà facilmente un folle orgoglio.
 MEDARSE
 Anzi il tuo amor l'irrita. Ha già sedotta
 del popolo fedel Siroe gran parte.
810Si parla e si minaccia. Ah! Se non svelli
 dalla radice sua la pianta infesta,
 sempre per noi germoglierà funesta.
 Atroce ma sicuro
 il rimedio sarà. Reciso il capo
815perde tutto il vigore
 l'audacia popolare.
 COSROE
                                     Ah! Non ho core.
 MEDARSE
 Anch'io gelo in pensarlo. Altro non resta
 dunque per tua salvezza
 che appagar Siroe e sollevarlo al trono.
820Volentier gli abbandono
 la contesa corona. Andrò lontano
 per placar l'ira sua. Se questo è poco,
 sazialo del mio sangue, aprimi il seno.
 Sarò felice appieno,
825se può la mia ferita
 render la pace a chi mi diè la vita.
 COSROE
 Sento per tenerezza
 il ciglio inumidir. Caro Medarse,
 vieni al mio sen. Perché due figli eguali
830non diemmi il ciel?
 MEDARSE
                                       Se ricusar potessi
 di scemar, per salvarti, i giorni miei,
 degno di sì gran padre io non sarei.
 
    Deggio a te del giorno i rai;
 e per te, come vorrai,
835saprò vivere o morir.
 
    Io vivrò, se la mia vita
 è riparo alla tua sorte;
 io morrò, se la mia morte
 può dar pace al tuo martir. (Parte)